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Manzoni, coro dell'atto terzo dell'Adelchi: analisi e commento della seconda parte

L'Adelchi di Alessandro Manzoni: analisi della seconda parte del coro dell'atto III, a cura di Alessandro Mazzini.
 
La seconda parte del coro dell'atto III, dedicata al popolo dei Franchi, comincia al verso 41 con l'imperativo "Udite!", rivolto ai Latini, i quali si illudono di diventare liberi. E' un saggio di poesia storica, nel senso definito da Manzoni nella Lettera a Chauvet e in quello richiesto dalla letteratura romantica a lui contemporanea. Domina, anche in questo caso, la dimensione popolare: si immaginano le sofferenze subite dai Franchi per affrontare la guerra contro i Longobardi (l'abbandono dei castelli, delle case e delle persone amate, gli sforzi nelle battaglie, etc.), espresse con acuto realismo.
Se nella prima parte del coro, lo scontro - descritto dalla prospettiva dei Latini - era rappresentato come una caccia animalesca, qui si mostra il punto di vista umano dei vincitori, con le loro fatiche e i loro sacrifici. La voce poetica si chiede: "E il premio sperato, promesso a quei forti | Sarebbe o delusi, rivolger le sorti, | D’un volgo straniero por fine al dolor? | Tornate alle vostre superbe ruine, | All’opere imbelli dell’arse officine, | Ai solchi bagnati di servo sudor."
Senza dubbio Manzoni ha qui in mente la tematica risorgimentale, nella considerazione che l'Italia si liberi con le proprie forze e non con aiuti esterni. Eppure questa non è l'unica dimensione politica presente nel brano: anzi, prevale su di essa ancora una volta la dinamica storica di oppressi e oppressori. Secondo l'autore non è possibile sottrarsi a tale contrapposizione: nella Storia o si è tra gli uni o si è tra gli altri. Manzoni concretizza in questo brano un esempio di alta poesia popolare, i cui obiettivi sono l'intensità e la comunicazione immediata sul pubblico, come richiesto dalle istanze stesse della poesia romantica.
 
Alessandro Mazzini è professore di Greco e Latino presso il Liceo Classico Manzoni. Si è laureato in Letteratura Greca con il professore Dario Del Corno presso L'Università degli Studi di Milano. Ha collaborato con riviste di divulgazione culturale e ha insegnato per 10 anni Lingua e Letteratura Italiana e Lingua e Letteratura Greca presso il Liceo della Scuola Svizzera di Milano. Dal 2001 è ordinario di Italiano e Latino nei Licei e dal 2003 ordinario di Greco e Latino al Liceo Classico.
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La seconda parte del coro dell'atto III invece è dedicata al popolo dei Franchi. Inizia infatti al verso 31 con un forte imperativo "Udite!", rivolto ai Latini, che si illudono che il fatto di aver cambiato padrone farà si che saranno liberi. La seconda parte del coro è un saggio altissimo di poesia storica, nel senso definito dalla Lettera a Chauvet e nel senso richiesto dalla poesia e letteratura romantica e contemporanea. Un esempio di poesia storica in cui viene rappresentata l’epopea dei Franchi ancora una volta vista dalla dimensione popolare.

Si immagina cosa hanno subito i Franchi per affrontare la guerra contro i Longobardi, si immagina la fatica ed il dolore che hanno provato nell’abbandonare i propri castelli, le loro case, le persone amate, e quindi mostra con acuto realismo quali sono le sofferenze della guerra. Se la guerra nella prima parte del coro, era stata vista come una caccia animalesca, ecco che anche i vincitori soffrono ed infatti viene messa in luce la fatica, i rischi, che hanno affrontato i Franchi per venire in Italia. Ed allora si chiede la voce poetica del coro, titte queste fatiche sarebbero state per venire a liberare un altro popolo? Dice a partire dal verso 55: "E il premio sperato, promesso a quei forti Sarebbe o delusi”, si rivolge appunto ai Latini ed alle loro illusioni, “rivolger le sorti, D’un volgo straniero por fine al dolor?”. Ed ancora una volta vien fuori il termine "volgo", quel volgo che era stato già indicato nella prima strofa come un volgo disperso e che in chiusura sarà indicato come un volgo disperso che non ha neppure un nome, proprio diversamente da quel “nomarsi” di cui aveva parlato Manzoni nel Marzo 1821 in cui proprio il “nomarsi” identificava la riacquisizione dell’identità italiana da parte del popolo italiano. Ebbene prosegue:

Tornate alle vostre superbe ruine,
all’opere imbelli dell’arse officine,
ai solchi bagnati di servo sudor.

Non ci si può illudere che un popolo affronti tutta questa pena, tutta questa sofferenza legata alla guerra per liberarne un altro. Ora se questo tema ha chiaramente una dimensione politica attuale, che tradizionalmente deve viene ad essere messa in luce in questo coro, bisogna dire anche che non va esagerata, nel senso che è vero qui Manzoni parlando della vicenda tra Franchi, Latini e Longobardi ha in mente certo la tematica risorgimentale, e l’esigenza che gli italiani devono acquisire della necessità che devono liberarsi con le loro forze senza aspettare gli aiuti stranieri, in particolar modo gli aiuti della Francia. Però è pur vero che questa non è l’unica dimensione di natura politica che ha questo coro presente nel brano, anzi, forse è un aspetto particolare di una dimensione politica più generale. Franchi, Longobardi, Latini rappresentano i protagonisti in questa vicenda di una dinamica storica in cui si concretizza ancora una volta e come sempre nella storia, la dinamica di oppressi e oppressori. È una vicenda, è un ciclo per cui finchè si sta nella storia non c’è spazio per una terza possibilità: o si è oppressi o si è oppressori. È questa appunto la legge della storia. La chiusura del coro è molto dura, molto severa:

Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l’antico;
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha.

Non ha neppur un nome il "volgo" dei Latini. Rimane solo in chiusura la dimensione dei campi cruenti, che sono i campi che simboleggiano la storia, vicende di sofferenza, di sangue, di dolore, legati alla dinamica di oppressi ed oppressori. Certo la pagina che presenta il coro dell’atto terzo è una pagina di alta poesia popolare. Il ritmo così ribattuto, di cui si diceva all’inizio, presuppone la volontà di una intensità e di una comunicazione immediata sul pubblico, esempio appunto di quella poesia popolare che quelle istanze romantiche volevano esprimere. Ed oltretutto, focalizzando l’attenzione sulle masse popolari, sulle masse anonime, da anche una risposta a quel bisogno proprio della borghesia che si esprimeva nel movimento romantico di una letteratura che parlasse del quotidiano, che parlasse delle persone comuni, cioè una letteratura che fosse antieroica a cui Manzoni unisce le ragioni della più recente indagine storiografica rappresentata dagli studi del Thierry di cui si è già parlato in precedenza, e poi influenzata dalla visione cristiana che lo porta a concentrarsi sugli uomini come un atto di giustizia