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“Chi sono?” di Aldo Palazzeschi: analisi del testo

Vita e poetica di Aldo Palazzeschi

 

Aldo Giurlani - meglio noto come Aldo Palazzeschi - nasce nel 1885 a Firenze. Dopo aver studiato ragioneria si dedica agli studi teatrali, durante i quali conosce Marino Moretti. I cavalli bianchi, la sua prima raccolta poetica, esce nel 1905 e attira l’attenzione dei crespucolari romani, tra cui, oltre a Moretti stesso, Corrado Govoni e Sergio Corazzini. Seguono la raccolta Lanterna del 1907 e quella Poemi del 1909 (in cui compare La fontata malata) che, a differenza delle precedenti, presenta già i caratteri di ironia e parodia dissacrante delle tematiche classiche, che diverranno poi la nota tipica della poetica di Palazzeschi; ad esse si affianca l’introduzione del verso libero, secondo le tendenza rivoluzionarie della poesia di inizio Novecento. Già nel 1908, con il racconto Riflessi, Palazzeschi estende la sua ricerca anche alla prosa.

Nel 1910 con L’incendiario Palazzeschi si avvicina invece al Futurismo e a Filippo Tommaso Marinetti, anche se, più che all’esaltazione della macchina e della velocità, a Palazzeschi interessano soprattutto la carica demistifcatoria del riso e il sovvertimento dei canoni tradizionali attraverso il gioco e il paradosso dissacrante (come si vede bene nel “manifesto” di poetica E lasciatemi divertire) 1. Nel 1913 il poeta si reca a Parigi, per allontanarsi dal clima chiuso e provinciale dell’Italia; qui ha modo di conoscere il poeta Guillaume Apollinaire (1880-1918) e i più interessanti pittori delle avanguardie europee, come Picasso, Matisse e Braque. Di questo periodo sono due romanzi (Il codice di Perelà, 1911; La piramide, 1914) in cui si avverte la lezione futurista di sovvertimento dei canoni e di rivolta contro i codici convenzionali dell’arte e della società. Già nel 1914 tuttavia matura il distacco di Palazzeschi dal Futurismo, da cui, con una Dichiarazione sul periodico «La Voce», l’autore dichiara la propria estraneità sia in merito alle posizioni politiche del movimento (che, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, sono di carattere interventista) sia a quelle stilistiche, che coincidevano con la tecnica del paroliberismo.

La vena romanzesca si dimostra fervida anche nel corso dei decenni successivi: in particoalre il romanzo Le sorelle Materassi (1932) metterà in luce gli aspetti paradossali e stranianti della vita della piccola borghesia italiana. Le opere successive (Il palio dei baffi, 1937; I fratelli Cuccoli, 1948; Bestie del ‘900, 1951; Roma, 1953) si dimostrano meno convincenti. Palazzeschi torna alla poesia con le ultime raccolte Cuor mio (1968) e Via delle Cento Stelle (1972), confermando la propria natura di artista “irregolare” e libero da definizioni di genere o da incasellamenti in scuole, correnti, tendenze letterarie.

 

Analisi di Chi sono?

 

La poesia Chi sono? compare per la prima volta nella raccolta Poemi del 1909 e costituisce un ottimo identikit del profilo poetico ed intellettuale di Palazzeschi, in cui il verso libero si fa lo strumento con cui ribaltare l’immagine tradizionale del letterato-poeta per contrapporgli quella di un poeta-giocoliere, un “saltimbanco” (v. 21) che, tuttavia, non priva di valore l’espressione poetica, ancora in grado “mettere una lente” sul cuore dell’uomo. La demistificazione della tradizione lirica precedente, che agli occhi di Palazzeschi si è ormai trasformata in una riproduzione acritica di tematiche e forme, viene quindi condotta con le armi dell’ingenuità (tanto che il poeta pare regredire al livello di un bambino innocente) e della negazione, con il rifiuto esplicito della varie “etichette”, tra cui quella di poeta, che gli vengono attaccate. Il riferimento ad oggetti comuni e quotidiani (la “penna”, v. 4; la “tavolozza”, v. 9; la “tastiera”, v. 14; la “lente”, v. 17) è un indizio della ricerca di qualcosa di concreto rispetto alla vuota astrattezza delle convenzioni letterarie e della tradizione passata, che viene percepita come priva di reale valore comunicativo.

Tuttavia questa ricerca - che è innanzitutto la ricerca di un’identità - non è priva di inquietudini o di drammi: il poeta-saltimbanco parla esplicitamente di “follia” (v. 5), “malinconia” (v. 10), “nostalgia” (v. 15), termini che diventano le parole-chiave del componimento.

Sul piano stilistico, è importante notare che l’atteggiamento libero e disimpegnato di Palazzeschi si traduce in realtà in una struttura attentamente studiata e calibrata. La poesia è composta da gruppi pressoché simmetrici di versi (tre gruppi di cinque versi, l’ultimo gruppo di sei versi) costruiti su un meccanismo di botta e risposta (quasi un dialogo immaginario del “poeta” con se stesso), scanditi dalla parola-rima “l’anima mia”. L’effetto è quella di una filastrocca in versi liberi.

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
“follia”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
“malinconia”.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
“nostalgia”.
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

1 Il rilievo del riso, tanto in letteratura quanto in filosofia, è del resto un Leitmotiv della riflessione di quegli anni; si pensi all’ironia sottile e disincantata del dandy crepuscolare Gozzano ne La signorina Felicita (1909) ma anche al celebre saggio pirandelliano su L’umorismo (1908), che approfondisce i risvolti tragicomici della nostra esistenza. Sul piano più prettamente filosofico, è il francese Henri Bergson a dedicare a Il riso (1900) un fondamentale studio, incentrato soprattutto sul concetto di “comico”.