Gli "Inni Sacri" di Manzoni: riassunto e spiegazione dell'opera

Lettura e commento degli Inni Sacri di Alessandro Manzoni, a cura di Alessandro Mazzini.
 
In origine, gli Inni Sacri avrebbero dovuto costituire un progetto di 12 testi, corrispondenti alle solennità del calendario liturgico, ma Manzoni si fermo al quinto.
Gli inni composti sono: La Resurrezione (1812), Il nome di Maria (1812-1813), Il Natale (1813), La Passione (1813-1814), La Pentecoste (1817). Ispirandosi deliberatamente al modello della poesia cristiana antica e medioevale, e nel tentativo di recuperare la corposità e coralità della tradizione biblica, Manzoni segna un deciso rinnovamento nella lirica del suo tempo, legata ancora al paradigma di Petrarca e ai suoi schemi armonici. Si tratta di una lirica di tipo argomentativo, che evita la fusione autoreferenziale dei sentimenti. Il senso profondo del "noi" presente in queste poesie, mira a superare le fratture della Storia e della società, rappresentata sempre con i termini della durezza e della crudeltà (ad esempio, nella Passione, vv. 93-94: "Che i dolori, onde il secolo atroce | Fa de’ boni più tristo l’esiglio"). Ad un contenuto così innovativo per il genere lirico, si affianca un altrettanto innovativo linguaggio che si caratterizza per una forte fisicità simbolizzata, unita all'espressione di una marcata conflittualità. Queste ultime si traducono in uso audace dell'analogia, dove l'elemento naturale ha corrispondenze sottili e simboliche con la realtà umana e divina.
 
Alessandro Mazzini è professore di Greco e Latino presso il Liceo Classico Manzoni. Si è laureato in Letteratura Greca con il professore Dario Del Corno presso L'Università degli Studi di Milano. Ha collaborato con riviste di divulgazione culturale e ha insegnato per 10 anni Lingua e Letteratura Italiana e Lingua e Letteratura Greca presso il Liceo della Scuola Svizzera di Milano. Dal 2001 è ordinario di Italiano e Latino nei Licei e dal 2003 ordinario di Greco e Latino al Liceo Classico.
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In origine gli Inni Sacri avrebbero dovuto costituire un progetto di 12 testi, uno per ciascuno delle solennità del calendario liturgico, ma Manzoni si fermò al quinto. Gli Inni che compose sono La Resurrezione, nel 1812, Il nome di Maria, fra il ’12 ed il ’13, Il Natale, nel 1813, La Passione, tra il 1814 ed il 1815, e nel 1817 poi La Pentecoste. Ricollegandosi deliberatamente l’autore al modello della poesia cristiana antica e medioevale, ed anche nel tentativo di recuperare la corposità e la coralità della poesia biblica, Manzoni realizza un decisivo rinnovamento della tradizione lirica italiana ancora legata al paradigma petrarchesco ed ai suoi schemi armonici, sia per quanto rigurada le forme espressive sia per i contenuti, dato che si tratta di una lirica di tipo argomentativo, che evita la fusione autoreferenziale dei sentimenti. Gli Inni infatti esprimono un bisogno di comunicazione corale, dall’io al noi, che recupera un senso profondo di comunità, cui si aderisce con un altrettanto profondo slancio emotivo che si esprime nei testi in frequenti proposizioni interrogative, stupite e perentorie come ad esempio nei versi iniziali fortemente frammentati nella punteggiatura e rimarcati dalle anafore della resurrezione.

 

E’ risorto, or come a morte la sua preda fu ritolta? come ha vinte l'atre porte,come è salvo un'altra volta quei che giacque in forza altrui? Io lo giuro per Colui che da' morti il suscitò. È risorto: il capo santo più non posa nel sudario: è risorto: dall'un canto dell'avello solitario sta il coperchio rovesciato: come un forte inebbriato il Signor si risvegliò.

Questo senso profondo del “noi” ha un preciso significato, mira infatti a superare le fratture della storia e della società rappresentata sempre negli Inni Sacri con i termini della durezza e della crudeltà, come ad esempio quando si parla della Passione ai versi 93-94:“I dolori, onde il secolo atroce (cioè il mondo) fa de boni più triste l’esiglio". I delitti sacri sono così celebrati come eventi originari che si ripetono e danno alla storia un significato definitivo ed eterno contro il suo perpetuo modificarsi. Ad un contenuto così innovativo per il genere lirico corrisponde un altrettanto innovativo linguaggio che si caratterizza per una forte fisicità simbolizzata, unita all’espressione di una marcata conflittualità, che si traducono in un uso audace dell’analogia, dove l’elemento naturale ha corrispondenze sottili e simboliche appunto con la realtà umana e divina. Esemplificativo a riguardo risulta l’articolata similitudine che apre Il Natale, nella quale l’elemento fonosimbolico e l’uso di aggettivi e sostantivi allusivi ad una specifica realtà etica espressa attraverso concreti oggetti tratti dalla realtà naturale creano corrispondenze simboliche di grande pregnanza. Oppure anche la similitudine contenuta nei versi 15-28 della Resurrezione che val la pena prendere in considerazione:

 

Come a mezzo del cammino, riposato alla foresta, si risente il pellegrino, e si scote dalla testa una foglia inaridita, che dal ramo dipartita, lenta lenta vi risté: tale il marmo inoperoso, che premea l'arca scavata, gittò via quel Vigoroso, quando l'anima tornata dalla squallida vallea, al Divino che tacea: sorgi, disse, io son con Te.

In particolar modo negli Inni la natura appare rivitalizzata dal divino e riscopre una sorta di nuova giovinezza comunicando in modo nuovo con gli esseri umani, come si evince dalla strofa compresa tra i versi 36 e 42 de Il Natale, in cui appunto viene detto: "Dalle magioni eteree sgorga una fonte, e scende, e nel borron de' triboli vivida si distende: stillano mele i tronchi dove copriano i bronchi, ivi germoglia il fior.” L’evento sacro, inoltre, non solo rivitalizza la natura, ma sconvolge le gerarchie sociali ed i pregiudizi disumani, con cui il mondo nella sua durezza di cuore pone ingiuste differenze fra le persone, come sempre ne Il Natale si afferma i versi 71-77: “L’Angel del cielo, agli uomini nunzio di tanta sorte, non de' potenti volgesi alle vegliate porte; ma tra i pastor devoti, al duro mondo ignoti, subito in luce appar.” Tuttavia spesso la presenza divina infonde anche un che di minaccioso nella natura, rivela anche il volto biblico di Dio, il suo aspetto inquietante ed incomprensibile per l’uomo, come si vede ad esempio nelle ultime due strofe de Il Natale, in cui dopo una sorta di ninna nanna cantata a Gesù Bambino si afferma: “Dormi, o Celeste: i popoli chi nato sia non sanno; ma il dì verrà che nobile retaggio tuo saranno; che in quell'umil riposo, che nella polve ascoso, conosceranno il Re.” Ed un atteggiamento analogo inquietante si trova anche nella parte conclusiva dell’inno forse più dolce degli Inni Sacri, cioè Il nome di Maria, quando alla fine si rivolge alla Vergine e si dice: “ Salve, o degnata del secondo nome, o Rosa, o Stella ai periglianti scampo, inclita come il sol, terribil come oste schierata in campo.” Persino la Vergine rivela nella sua dimensione divina un aspetto di inquietudine e di terribilità. Un ultimo aspetto che mette conto rilevare negli Inni Sacri è la lettura sintattica. La sintassi infatti è spesso molto elaborata con inediti accostamenti di immagini che tendono ad una certa asprezza, anche se nel complesso tutto ciò è realizzato con un lessico ancora prezioso e di tipo letterario, molto vicino ad un lessico classicistico, che supererà Manzoni solo in un secondo momento.