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Marx e il concetto di “alienazione”

Il confronto di Marx con la filosofia hegeliana, attraverso la mediazione della sinistra hegeliana e di Ludwig Feuerbach (cui Marx dedica le Tesi poi pubblicate postume da Friedrich Engels), conosce una tappa importante nei Manoscritti economico-filosofici, composti nel 1844 e poi pubblicati solo nel 1932. Già da qui - sono del resto gli anni in cui inizia il sodalizio con Engels, con cui Marx scriverà a breve la Sacra Famiglia, sarcastica critica delle idee di Bruno Bauer - possiamo individuare la genesi e la formazione di quelle che saranno le idee e gli strumenti metodologici fondamentali de Il Capitale. In particolare, è il concetto di “alienazione e la sua applicazione al mondo del lavoro che permette a Marx di innovare profondamente la filosofia post-hegeliana, contrapponendosi all’impostazione del predecessore e “smascherando” alcuni falsi concetti dell’ideologia borghese. L’analisi di Marx parte appunto dal concetto che, nel lessico di Hegel, indicava il fondamentale passaggio dialettico per cui lo Spirito si oggettivizza nella realtà. Se già in Feuerbach “alienazione” conosce un significativo mutamento semantico (identificando il processo per cui l’uomo proietta su Dio qualità sue proprie), qui la rottura - o meglio, il capovolgimento - del processo tesi-antitesi-sintesi della Filosofia dello Spirito è ancor più netta. Ponendo al centro la figura nuova - sia dal punto di vista sociale che economico-produttivo - dell’operaio, Marx afferma che “alienazione” non è (solo) un concetto filosofico, ma “un fatto economico, attuale”; da essa dipende concretamente la sorte vitale di chi lavora, le sue stesse possibilità di esistenza e sopravvivenza. Da qui, cambiano completamente i rapporti tra lavoratori, merce, e “messa in valore” del mondo:

Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere. Questo fatto non esprime nient’altro che questo: che l’oggetto, prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente.

Questa alienazione/oggettivizzazione nei termini dell’economia politica classica (da cui Marx prende polemicamente le distanze) è una privazione dell’operaio, mentre essa in realtà sottointende una schiavitù più profonda e subdola, che è da intendere “sotto il dominio del suo prodotto, del capitale”. Spiega infatti Marx: 

Abbiamo finora considerato l’alienazione, l’espropriazione dell’operaio solo secondo un lato: quello del suo rapporto con i prodotti del suo lavoro. ma l’alienazione non si mostra solo nel risultato, bensi anche nell’atto della sua produzione, dentro la stessa attività producente. [...] In che cosa consiste ora l’espropriazione del lavoro? Primariamente in questo: che il lavoro resta esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensì mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito.

La spersonalizzazione alienante del lavoro capitalista, che richiama quella religiosa di Feuerbach (“Più l’uomo mette in Dio e meno serba in se stesso. L’operaio mette nell’oggetto la sua vita, e questa non appartiene più a lui, bensì all’oggetto”), e l’appropriazione del lavoro altrui da parte del capitalista si saldano con la definizione di proprietà privata, poi al centro delle analisi critiche del Capitale:

La proprietà privata non è dunque il prodotto, il risultato, la necessaria conseguenza del lavoro espropriato, del rapporto estrinseco dell’operaio alla natura e a se stesso. La proprietà privata risulta così dall’analisi del concetto del lavoro espropriato, cioè dell’uomo espropriato, del lavoro alienato, della vita alienata, dell’uomo alienato. [...] Solo all’ultimo punto culminante dello sviluppo della proprietà privata questa mostra di nuovo in risalto il suo segreto: cioè che, da una parte, essa è il risultato del lavoro espropriato, e secondariamente ch’essa è il mezzo col quale il lavoro si espropria, la realizzazione di questa espropriazione.