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Aristotele, "Metafisica": estratti e commento

Oggetto d’indagine della filosofica aristotelica non è solo il mondo dei fenomeni naturali. Il pensatore di Stagira, nell’ampio corpus dei suoi testi, affronta infatti anche temi e problematiche che superano la dimensione dei fatti fisici; ed è la Metafisica, espressione utilizzata dal redattore Andronico di Rodi per indicare il complesso dei testi che seguono la Fisica, l’opera che sviluppa coerentemente la sua riflessione su alcuni concetti fondamentali, quali quelli di sostanza, potenza ed atto, mutamento e motore immobile.

 

Suddivisa in quattordici testi dall’identità abbastanza autonoma, la Metafisica è tuttavia profondamente legata con l’attenzione al mondo reale; le dieci “categorie” (dal greco gène katègorion, ovvero “generi delle predicazioni”) utili a suddividere i predicati (e cioè, le espressioni di senso compiuto con cui parliamo del mondo) vengono trattate nel primo libro degli Analitici. Queste sono, nell’ordine: la sostanza (ousìa), la quantità (posòn), la qualità (poiòn), la relazione (pròs ti), il dove (pou), il quando (potè), il giacere (keìsthai), l’avere (èchein), l’agire (poiein), il patire (pàschein). Proclamato, in apertura della Metafisica, che “tutti gli uomini tendono al sapere” e che “segno ne è l’amore per le sensazioni”, Aristotele sviluppa le sue argomentazione imperniandole attorno all’idea di studiare scientificamente “l’ente in quanto ente” (on hei on); è dunque nel quarto libro del trattato, intitolato convenzionalmente con la lettera greca Gamma, che il filosofo precisa la natura di ciò che intende:

 

C’è una scienza che studi l’ente in quanto ente e le proprietà che gli sono inerenti per la sua stessa natura. Questa scienza  on si identifica con nessuna delle scienze particolari, giacché nessuna delle altre ha come suo universale oggetto di indagine l’ente in quanto ente, ma ciascuna di esse ritaglia per conto proprio una qualche parte dell’essere e ne studia gli attributi, come fanno, ad esempio, le scienze matematiche. E poiché noi stiamo cercando i principi e le cause prime, non v’è dubbio che questi principi e queste cause sono propri di una qualsivoglia realtà in virtù della sua stessa natura.

Sempre nel libro Gamma, Aristotele preciserà alcuni requisiti fondamentali di tale scienza (che si contrappone sia alle filosofie dei naturalisti, sia al mondo delle idee platoniche), puntualizzandone alcuni capisaldi: la molteplicità dei significati del termine “ente”, il rapporto di ogni significato con la sostanza (ousìa), il principio di non contraddizione, secondo cui si afferma che “è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga alla medesima cosa e nella medesima relazione”. Più avanti, nel libro Zeta (il settimo della Metafisica), Aristotele sviluppa il ragionamento sulla ousìa, chiarendo che essa dev’essere concepita come forma, ovvero come causa formale della sostanza medesima:

 

È chiaro che noi non facciamo altro se non cercare per quale motivo la materia è “qualcosa”, come, ad esempio, alla domanda “per qual motivo queste determinate cose costituiscono una casa?”, noi risponderemo: “ perché in tali cose è presente l’essenza della casa”. E così anche si dirà : “Questa cosa, ovvero il corpo che ha questa determinata proprietà, è un uomo”. Sicché, ciò che noi stiamo cercando è la causa in virtù della quale la materia è qualcosa di determinato: e appunto questa è la sostanza.

Se esistono allora sostanze corruttibili e sostanze incorruttibili (a seconda degli effetti su di loro del mutamento), nel dodicesimo libro (Lambda) Aristotele, sviluppando delle premesse già affacciate nella Fisica, arriva a formulare l’idea di un “motore immobile”, identificabile con un dio e che, soprattutto nella tradizione a lui successiva (e in quella cristiana in particolar modo), conoscerà un notevolissimo successo:

 

Poiché, come abbiamo visto, ci sono tre specie di sostanze, di cui due sono quelle fisiche e la terza è la sostanza immobile, dobbiamo ora parlare di quest’ultima e dimostrare che necessariamente esiste una sostanza immobile che è eterna. Infatti le sostanze hanno il primato tra tutte le cose esistenti, e se esse sono tutte corruttibili, tutte le cose sono corruttibili; ma è impossibile che il movimento vada soggetto alla generazione e alla corruzione (abbiamo detto, infatti, che esso è eterno), e lo stesso dicasi per il tempo, giacché il prima e il poi non potrebbero esistere se non esistesse il tempo [...]. Esiste, quindi, qualcosa che è sempre mosso secondo un moto incessante , e questo moto è la conversione circolare (e ciò risulta con evidenza non solo in virtù di un ragionametno, ma in base ai fatti), e di conseguenza si deve ammettere l’eternità del primo cielo. Ed esiste, pertanto, anche qualcosa che provoca il moto del primo cielo. Ma poiché ciò che subisce e provoca il movimento è un intermedio, deve esserci un qualcosa che provoca il movimento senza essere mosso, un qualcosa che è eterno che è, insieme, sostanza e atto.