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I biocarburanti: il biobutanolo

Nel mercato dei combustibili esiste una forte competizione fra i vari produttori e i vari prodotti che essi propongono al consumatore. Allo stesso modo anche nel mondo delle rinnovabili esiste una sorta di “concorrenza” fra biocarburanti, alla base della quale si trova proprio la capacità delle cellule di produrre diverse molecole. L’avversario più “agguerrito” del bioetanolo è un altro alcol, chiamato butanolo (C4H9OH).

Il butanolo, al contrario del bioetanolo, è infatti abbastanza simile alla benzina per poter essere utilizzato in motori a combustione, senza chiedere al vostro meccanico di fiducia di smontarvi la macchina per cambiarvelo. Altrimenti, se non vi fidate abbastanza, potete sempre usarlo come additivo per carburanti. Rispetto al bioetanolo, il butanolo presenta ulteriori vantaggi.:

  • Ha un maggiore contenuto energetico: la struttura del butanolo presenta quattro atomi di carbonio, due in più rispetto all’etanolo, che si traduce in un aumento del 25% di energia disponibile (E dite poco?).
  • È meno volatile: il butanolo evapora molto più difficilmente dell’etanolo e della benzina, e questa maggior maneggevolezza permette un suo utilizzo in percentuali maggiori all’interno delle miscele. Inoltre è meno igroscopico, ovvero assorbe meno acqua dall’ambiente, evitando di diluirsi con essa.
  • È meno corrosivo: ciò ne facilita il trasporto e la qualità dei vostri motori.

 

Il butanolo può essere prodotto per via chimica e per via biochimica: ma perché andare a complicarsi la vita con la chimica classica, quando in natura esistono microrganismi che producono spontaneamente butanolo (chiamato ora biobutanolo)?

Infatti, molti microrganismi del genere Clostridium sono in grado di fermentare il glucosio per generare butanolo.
Nello specifico, la via metabolica che porta dall’acetil-CoA alla sintesi del butanolo è costituita da sei enzimi, la maggior parte dei quali catalizzano reazioni di ossido-riduzione, utilizzando NADH o NAD(P)H come cofattori.

Purtroppo il processo attualmente utilizzato per sintetizzare il biobutanolo presenta alcuni difetti, legati proprio alle caratteristiche dei Clostridium utilizzati. Questi microrganismi sono infatti anaerobi obbligati, ovvero non crescono in presenza di ossigeno, comportando l’impossibilità di iniettare nel bioreattore aria dall’esterno, e producono butanolo durante la fase di sporificazione, che li porterà a una “forma” in cui le loro funzioni vitali sono momentaneamente sospese, la spora appunto. Il batterio entra in questa fase a causa di condizioni ambientali avverse, come la presenza di elevate concentrazioni di solventi prodotti dall’organismo stesso, fra quali il più tossico è proprio il butanolo.

Di conseguenza questi microrganismi non sono  in grado di sostenere una produzione industriale.
In attesa che si riesca a rendere più resistenti questi ceppi di Clostridium, alcuni ricercatori hanno pensato di introdurre questa via metabolica in altri microrganismi più conosciuti e utilizzati industrialmente, come E. coli, utilizzando tecniche di ingegneria genetica, proteica e metabolica per vedere se almeno loro riuscivano a produrre butanolo in quantità sufficiente.
Così, i geni codificanti gli enzimi coinvolti nella sintesi del biobutanolo, sono stati trasferiti nei nuovi microrganismi, anche se in molti casi alcuni di loro sono stati sostituiti con geni che codificano enzimi simili, ma più efficienti.

Nonostante i nuovi ceppi produttori siano in grado di sintetizzare butanolo (spesso in condizioni più favorevoli rispetto ai ceppi di Clostridium), anche in questo caso la produzione è molto bassa.
La strada per ottenere un pieno di butanolo è ancora lunga, ma, grazie al costante lavoro di tanti ricercatori, la meta non è poi così lontana.