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L’unità d’Italia e Cavour: riassunto

Introduzione

 

Camillo Benso conte di Cavour è una delle figure più emblematiche del Risorgimento italiano tanto da essere giustamente accostato alle altre principali figure degli “artefici” dell’unità nazionale: Garibaldi e Mazzini. In questo ipotetico terzetto - i cui componenti, in realtà, furono in vita portatori di progetti assai diversi l’uno dall’altro e spesso opposti tra loro - Cavour rappresenta la figura del politico lungimirante, pragmatico e accorto, la cui azione si rivela più efficace di quella dell’uomo d’azione (Giuseppe Garibaldi) e dell’utopista repubblicano (Giuseppe Mazzini). Il progetto di unità italiana che risulta vincitore al termine del lungo processo risorgimentale, infatti, è proprio quello monarchico, conservatore e proprietario propugnato dallo statista torinese.

 

La giovinezza, tra formazione militare e interesse per l’economia

 

Camillo Cavour nasce a Torino il 10 agosto 1810, quando la città è capoluogo di uno dei dipartimenti dell’Impero francese in territorio italiano. Si trova quindi a crescere nel pesante clima della Restaurazione che domina la vita culturale piemontese dopo il rientro della dinastia dei Savoia nel 1815.

All’età di dieci anni, Camillo Benso è ammesso alla Regia Militare Accademia di Torino anche grazie ai favori del comandante della scuola, da anni amico della famiglia. Fin dall’inizio degli studi si dimostra assai dotato nelle scienze matematiche e questo interesse prevale ben presto su quello per la carriera militare. Nel 1824 è nominato tra i paggi del principe di Carignano (il futuro re Carlo Alberto) ma l’esperienza non è positiva e il giovane aristocratico si rende rapidamente conto di essere insofferente al cerimoniale di corte, al clima di adulazione continua e a “quella livrea da gambero”. Un tale malessere, sfociato in un gesto d’intemperanza alla presenza di Carlo Alberto, induce il futuro re a mettere alla porta il giovane Cavour.

Cavour si dedica nel frattempo alla lettura dei primi trattati di economia politica e recensisce con entusiasmo gli scritti di Adam Smith, David Ricardo e Thomas Malthus. Per quanto riguarda la teoria politica, invece, le sue letture sono orientate verso il liberalismo classico francese di François Guizot e Benjamin Constant. La rivoluzione parigina del 1830 esaspera ancora di più il partito legittimista che domina a Torino e lo porta a inasprire le misure di polizia contro liberali e democratici: questo per reazione spinge il Cavour a prendere contatti con circoli mazziniani e democratici, soprattutto genovesi. Tali contatti tuttavia non lo portano affatto ad abbracciare il loro punto di vista, poiché Cavour anche nella sua fase giovanile si mostra fedele ad una via mediana, ostile tanto al legittimismo reazionario che alla democrazia, che egli vede come un giacobinismo “rinato” dopo il 1830.

Due anni dopo, con il permesso paterno (preoccupato più che altro di allontanare l’intraprendente rampollo dalla capitale, dove si stava legando sempre di più all’ambasciatore francese, rappresentante scomodo di una monarchia costituzionale), Cavour lascia definitivamente i ranghi dell’esercito e si dedica all’amministrazione di alcuni poderi della sua famiglia. Camillo Benso è profondamente deluso dall’operato di Carlo Alberto, che considera “debole e crudele”; per quanto riguarda la sua formazione, guarda allora alla teoria liberale sia sul piano economico che su quello politico. Nel 1835 compie un viaggio d’istruzione in Europa dove, di passaggio nelle capitali di Francia, Svizzera e Regno Unito, studia i metodi di sviluppo di quei paesi europei già all'avanguardia. Tornato in Piemonte, continua ad amministrare i possedimenti di famiglia, sia applicando sperimentalmente nuovi modelli economici, sia dando vita a redditizie speculazioni.

Questo è anche il periodo in cui matura la riflessione cavouriana in tema religioso: pur essendo il suo pensiero fortemente improntato al razionalismo, questo non lo porta mai all’ateismo e nemmeno a toni antireligiosi nel dibattito pubblico. In occasione della sua seconda visita parigina nel 1843 entra in contatto con gli ambienti del cattolicesimo liberale, propugnatori del “giusto mezzo” tra democrazia ed assolutismo.

 

La questione italiana, il giornalismo, la vita politica

 

È solo nel 1846 che, negli scritti di Cavour, si affaccia l’esigenza di dare una risposta alla questione italiana: anche in questo caso, i toni sono lontani dal volontarismo dei carbonari o dall’idealismo mazziniano. La questione nazionale, in Cavour, si pone come problema eminentemente economico, e i primi scritti a tema italiano riguardano la necessità di abbattimento delle barriere doganali tra gli Stati della penisola. È dunque fortemente avverso ai progetti della Giovine Italia, che considera dannosi e controproducenti.

A partire dall’anno successivo, Camillo Benso è tra gli animatori del giornale Il Risorgimento, organo ufficioso della corrente politica liberale e moderata vicina aCesare Balbo. Quando tuttavia l’onda lunga delle rivolte del 1848 arriva al Regno di Sardegna, il foglio animato da Cavour è tra i più decisi a spingere Carlo Alberto verso l’adozione di una carta costituzionale, vista non come un arretramento ma come un rafforzamento del potere regale.

Un articolo del conte, intitolato L’ora suprema della monarchia propugna con fervore il soccorso a Milano che aveva cacciato gli austriaci con le Cinque giornate e, di conseguenza, il dovere per il re di Sardegna di guidare il proprio esercito contro Radetzky in una guerra nazionale. In generale contrario all’ingerenza di alleati esterni nella guerra, è tuttavia più favorevole alla ricerca dell’appoggio inglese che di quello francese, vedendo il sistema politico di Londra come ben più stabile e capace di garantire i diritti fondamentali dei cittadini.

Nei primi mesi del 1848, infine entra per la prima volta nella Camera piemontese, eletto come deputato del collegio di Torino. L’attività parlamentare del Cavour inizia quindi in un momento particolarmente concitato e caratterizzato dalle vicende della guerra contro l’Austria, dapprima estremamente favorevoli e poi culminate nella completa disfatta di Novara. Si tratta di un periodo destinato a segnare profondamente il percorso politico del conte, poiché la paura per le sollevazioni democratiche (in particolare la rivolta di Genova, pure prontamente repressa) potenzialmente capaci di rovesciare la monarchia lo spinge ad avvicinarsi agli ambienti della destra ed al “partito del trono”.

 

L’attività parlamentare ed il connubio Cavour-Rattazzi

 

Ormai diventato uno degli esponenti più significativi della Camera Piemontese, Cavour si vede offrire, nel 1849, l’opportunità di guidare una missione diplomatica a Londra; tuttavia decide di rifiutare, intuendo che restando a Torino avrebbe potuto influire più direttamente sulla politica dello Stato. Le sue previsioni si rivelano esatte e nel 1850Cavour, anche in grazia delle sue esperienze come amministratore e sperimentatore, è nominato Ministro dell’Agricoltura nel governo guidato da Massimo D’Azeglio e, nell’anno successivo, assume la guida del Ministero delle Finanze. In questo ruolo, Camillo Benso propugna una generale modernizzazione dello Stato, che deve partire innanzi tutto da una riforma generale dell’amministrazione e dall’istituzione di una Camera dei Conti. Nonostante lo slancio riformista, Cavour teme uno spostamento in senso autoritario del gabinetto (che sarebbe stato facilitato dalla contemporanea svolta autocratica in Francia, dove Napoleone III aveva decretato la fine della seconda repubblica per dar nuovamente vita all’impero) ed in particolare critica D’Azeglio per l’eccessiva arrendevolezza che il governo sardo dimostra nei confronti della Chiesa.

Per questo, ad insaputa del Presidente del Consiglio, nel febbraio del 1852 inizia una manovra di avvicinamento allo schieramento di Centro-sinistra guidato da Urbano Rattazzi, allo scopo di sostenere il governo con i voti dei parlamentari più progressisti sostituendoli a quelli dell’ala più rigida dei conservatori. Un tale accordo, conosciuto come “connubio Cavour-Rattazzi” 1, segna l’abbandono, da parte del governo, delle ali estreme del Parlamento, sia di destra sia di sinistra, a favore di una convergenza delle ali moderate verso una politica di stampo marcatamente liberale.

La manovra indispone fortemente tanto D’Azeglio quanto Vittorio Emanuele II, assolutamente contrario alla richiesta di appoggio al Centro-sinistra anche perché, grazie all’accordo, Rattazzi diventa Presidente della Camera. Camillo Benso è costretto alle dimissioni ma per il re e D’Azeglio è impossibile formare una nuova maggioranza parlamentare poiché ormai tutti gli “uomini del connubio” mirano ad avere proprio Cavour Presidente del Consiglio, ruolo che è ufficialmente chiamato a ricoprire il 4 novembre del 1852 2.

 

Al governo del Regno di Sardegna

 

Il governo del conte di Cavour si caratterizza immediatamente in direzione di una modernizzazione economica del Regno di Sardegna. Lo Stato, infatti, si impegna per favorire la nascente industria attraverso pesanti esborsi per migliorare le infrastrutture (strade, porti, ferrovie…) e tramite sussidi a determinate categorie di imprese, come le compagnie di navigazione. Questo, se da un lato permette la formazione dei primi grandi gruppi industriali della penisola italiana (l’Ansaldo nasce a Genova nel 1853), determina d’altro canto un peggioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, una riduzione dei (già scarsi) servizi pubblici e l’incapacità di far fronte all’innalzamento del prezzo della farina dovuto alla contemporanea interruzione dell’importazione di grani per lacrisi politica del Mar Nero.

Dal punto di vista dei rapporti con la Chiesa cattolica, l’azione del governo è improntata alla massima separazione tra le due entità: Cavour è perfino contrario all’incameramento dei beni ecclesiastici poiché questo avrebbe reso parte del clero dipendente dallo Stato. Dal bilancio pubblico viene soppressa qualsiasi spesa per il culto e, il 29 maggio 1853, sono soppressi tutti gli ordini monastici senza finalità educative o di soccorso a infermi ed indigenti 3.

L’aspetto più importante dei governi Cavour per il Risorgimento italiano è tuttavia la politica internazionale; lo stesso Camillo Benso assume l’interim del Ministero degli Affari Esteri alla vigilia della Guerra di Crimea e le successive mosse del Regno di Sardegna possono essere tutte considerate frutto della sua volontà. È infatti Cavour che, sfidando una parte dell’opinione pubblica, decide la partecipazione sarda alla guerra di Crimea per “portare la causa degli italiani davanti al tribunale della pubblica opinione”. Le divisioni di bersaglieri piemontesi inviate in soccorso di Francia ed Inghilterra, come noto, permettono al Cavour di partecipare (pur senza ottenere alcuna ricompensa tangibile in termini territoriali) ai negoziati di pace e di iniziare il “corteggiamento” della Francia di Napoleone III.

Gli anni del cosiddetto “decennio di preparazione” non sono esenti da momenti difficili per il governo piemontese: dapprima gli effetti dell’attentato di Felice Orsini (che tuttavia Cavour riesce a volgere a proprio vantaggio) e in seguito le pretese di Napoleone III sulla libertà di stampa nel Regno di Sardegna (che invece Cavour deve far accettare al Parlamento). Una simile politica conduce alla fine del 1858 all’incontro segreto e agli accordi di Plombières: lo statista piemontese riesce ad ottenere l’aiuto francese nella seconda guerra d’indipendenza che il Piemonte conduce contro l’Impero d’Austria.

Durante il conflitto, Cavour si trova a gestire completamente da solo la politica del Regno, poiché tanto il re che il ministro della difesa La Marmorasi trovano sui campi di battaglia; malgrado quanto informalmente pattuito nella località termale francese,favorisce l’annessione al Piemonte delle province centrali mettendo un indispettito Napoleone III davanti al fatto compiuto dei plebisciti. Cavour rimane tuttavia profondamente amareggiato dal “tradimento” dell’imperatore e dall’armistizio di Villafranca: dà le dimissioni ed esorta Vittorio Emanuele II a salvare l’onore abdicando. Il ministro solo successivamente ritorna su posizioni più pragmatiche, riprende il suo posto nel governo e difende di fronte ai violenti attacchi che arrivano da più parti la scelta di rispettare i patti e di cedere Nizza alla Francia.

Gli avvenimenti della primavera del 1860 sono quelli decisivi per l’acquisizione al Regno di Sardegna delmeridione peninsulare e per la creazione del Regno d’Italia ed anche in essi il ruolo giocato da Cavour è tutt’altro che irrilevante. Sebbene con una nota sulla Gazzetta Ufficiale del 18 maggio 1860 egli smentisca recisamente di aver favorito la partenza dei Mille di Garibaldi salpati da Quarto tredici giorni prima, è certo che le operazioni preparatorie dell’impresa sono attentamente sorvegliate ed assolutamente non ostacolate dalle autorità piemontesi. Avuta la certezza che l’obiettivo designato di Garibaldi è il Regno delle Due Sicilie, Cavour lascia partire indisturbata la spedizione (avendo sempre la possibilità di negare qualsiasi rapporto in caso di fallimento) sapendo per certo che l’esercito sardo avrebbe bloccato e disperso con la forza i volontari garibaldini se la meta finale fosse stata lo Stato pontificio, poiché una simile azione militare avrebbe immancabilmente scatenato la reazione di Napoleone III.

Di fronte al successo di Garibaldi, Cavour  decide l’invasione di Marche e Umbria anche per frenare gli eccessivi ardori delle “camicie rosse” garibaldine, anch’esse pronte a consegnare a Vittorio Emanuele i territori conquistati solo dopo aver raggiunto Roma. Per la stessa ragione, Camillo Benso affretta i plebisciti di Napoli e Palermo, con i quali si sancisce l'annessione delle due parti dell’ex Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna. Nel novembre del 1860 le stesse consultazioni si svolgono nelle Marche e in Umbria.

 

Gli ultimi mesi di vita

 

Nonostante il trionfo sul “democratico” Garibaldi e il suo contributo fattuale all’unità territoriale della penisola, gli ultimi mesi della vita del conte di Cavour sono caratterizzati dalle polemiche con la Sinistra e dagli scontri personali con “l’eroe dei due mondi”. Il principale punto di contrasto tra Cavour e Garibaldi è lo scioglimento, voluto dal ministro torinese, del Corpo dei Volontari che avevano conquistato le Due Sicilie. Negli stessi giorni, Cavour afferma la propria contrarietà al provvedimento di amnistia per Giuseppe Mazzini, che egli giudica pericoloso per il nuovo Regno d’Italia. Cavour muore il 6 giugno 1861, probabilmente per il riacutizzarsi della malaria che aveva contratto in gioventù durante le visite alle risaie del vercellese.

Camillo Benso di Cavour rappresenta certamente la parte pragmatica, efficace e perfino “cinica” del movimento di unificazione nazionale italiano. Se sono indubbi i suoi meriti sia sul piano dello sviluppo economico piemontese sia, soprattutto, della straordinaria abilità politica e diplomatica, capace quasi da sola di creare le condizioni internazionali propizie alla nascita del Regno d’Italia, la relativa sensibilità sociale del nobile piemontese ed il suo infastidito dispetto per la presenza di una componente democratica del movimento patriottico nazionale anticipano le contraddizioni che il nuovo Stato unitario dovrà affrontare nei primi decenni di vita.

1 Connubio Cavour-Rattazzi: il termine “connubio”, che etimologicamente indica un matrimonio, è usato per la prima volta riguardo all’accordo tra Cavour e Rattazzi, ovviamente in senso ironico e denigratorio, dal deputato conservatore Ottavio Tahon di Revel che, proprio in grazia della manovra del Ministro dell’Economia, si vede privato della guida di un governo di chiara marca autoritaria che, d’accordo con D’Azeglio, stava preparando.

2 Cavour non deve nemmeno guardarsi da una possibile nuova nomina del D’Azeglio al suo posto poiché, nel frattempo, i rapporti tra questi e il sovrano si sono guastati a causa del parere favorevole del ministro all’introduzione nel Regno del matrimonio civile.

3 L’espressione “Libera Chiesa in libero Stato”, solitamente utilizzata per descrivere la concezione separatista di Cavour, è in realtà ripresa da alcuni teorici francesi del XVIII secolo ed utilizzata dallo statista piemontese solo all’indomani della nascita del Regno d’Italia nel 1861