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Catullo, “Odi et amo”: traduzione, metrica, analisi

Il carme 85 di Catullo non è solo una pagina fondamentale del suo Liber, ma anche un testo emblematico per tutta la poetica catulliana; qui il poeta condensa in due soli versi l’intera esperienza amorosa con Lesbia 1. Odi et amo, che compare nella sezione degli “epigrammi” (la terza e ultima della raccolta catulliana) riassume infatti i temi centrali che attraversano l’opera di Catullo (e che ritroviamo anche nel carme 1 proemiale o nel celebre Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, oltre che nel ciclo dei carmina docta): l’importanza assoluta assegnata al mondo privato dell’amore e della passione in contrapposizione con il mos maiorum della società romana, il disinteresse per l’impegno politico e pubblico (in antitesi con i doveri del buon civis romanus), la scelta per la letteratura colta ed estetizzante dell’alessandrinismo, in accordo con il modello del poeta greco Callimaco (310 ca. - 240 ca. a.C.).

Soprattutto, il carme 85 si impone nella storia letteraria (non solo latina) perché nel suo ossimoro in incipit prende corpo uno dei topoi di maggior successo di tutta la cultura occidentale, ovvero quello del confronto irresolubile tra amore e odio, tra slanci della passione e tormenti del rifiuto da parte dell’amata, o di sofferenza per i suoi continui tradimenti 2. È un tema, già noto alla letteratura greca, e che poi si diffonderà in tutta la cultura antica e moderna, fino al Romanticismo e ai giorni nostri; all’interno del Liber, si tratta del passo estremo dell’amante disperato, che da un lato riconosce la differenza tra amare e bene velle (carme LXII, Dicebas quondam solum te nosse Catullum) e dall’altro cercherà una cura alla sua sofferenza (si vedano il carme VIII, Miser Catulle, desinas ineptire e il carme LXXVI, Si qua recordanti benefacta priora voluptas).

L’epigrammaticità del testo concede però spazio anche ad una sottile raffigurazione della psicologia dell’autore, nonostante il termine nugae (“sciocchezze, frivolezze”) che Catullo usa per i propri componimenti nel carme I: l’esperienza totalizzante dell’amore sconvolge il mondo interiore del poeta, che “sente” qualcosa che non sa né può identificare, e si tormenta in una passione che insegue e da cui fugge al tempo stesso. L’emersione del dualismo odio-amore non altera tuttavia la scrupolosa cura formale della poetica dei neoteroi (o poetae novi). Catullo infatti gioca con la disposizione sintattica dei predicati (la poesia è composta di frasi brevi o brevissime), sfruttando un’inversione rilevata in quello che è il periodo centrale della poesia (“Quare id faciam, fortasse requiris”) e la coordinazione di predicati verbali semanticamente discordanti tra loro. Precisa anche la scelta lessicale: “sentio” e “nescio” (v. 2) sono verbi tipici per la percezione sensoriale o per l’attività della ragione, mentre “excrucior” ha valore drammatizzante, in quanto deriva da crux, crucis (e la condanna alla croce, nel mondo romano, era la condanna a morte più umiliante, e come tale riservata solo a schiavi e rivoltosi, e non applicabile ai cittadini romana). Il filtro della cultura letteraria di Catullo traduce così nei versi del carme 85 “l’amoroso odio verso la vita” del poeta, poiché:

[...] la sua vocazione era quella di concentrarsi in affetti totali che lo svolgersi impietoso dell’esistenza non avrebbe potuto non mutilare. Del dolore, Catullo aveva bisogno come della gioia 3.

Metro: distici elegiaci.

 

  1. Òdi 4 et amò 5. Quare ìd faciàm, fortàsse requìris 6.
  2. Nèscio, sèd fierì sèntio et èxcruciòr. 7.
  1. Odio e amo. Forse ti chiedi come io faccia.
  2. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.

 

1 Dietro allo pseudonimo letterario, la critica ha individuato in maniera attendibile Clodia, moglie del console Quinto Metello Celere e soprattutto sorella di Clodio, tribuno della plebe e nemico giurato di Cicerone (106-43 a.C.), che l’attacca pesantemente nella sua celebre orazione Pro Caelio (56 a.C.).

2 Sono temi che torneranno anche in altri componimenti, come Miser Catulle, desinas ineptire, oppure ne l’esplosione di felicità di: “Da mi basia mille, deinde centum, | dein mille altera, dein secunda centum” (Liber, V, vv. 7-8).

3 L. Canali, Antologia della letteratura latina, Torino, Einaudi, 1999, pp. 185-186.

4 Odi: si tratta del perfetto indicativo del verbo difettivo odi, odisti, odisse; va quindi inteso come un “perfetto logico”, da tradurre con il presente.

5 Odi et amo: è la prima delle contrapposizioni su cui si regge il componimento, come: faciam e fieri (vv. 1-2; da un lato c’è ciò che il poeta-amante fa razionalmente, dall’altro il volere cieco della passione) e sentio e nescio (v. 2; il primo verbo, da sentio, -is, sensi, sensum, -ire, indica una percezione oggettiva delle proprie passioni, mentre nescio, -is, nescii, nescitum, nescire allude al fatto che Catullo non sappia spiegarsi razionalmente le ragioni dal proprio agire).

6 Il primo verso, composto di due frasi epigrammatiche, ha un forte valore programmatico: tutto il rapporto con Lesbia, ormai esaurito, si riduce ad una tragica opposizione bipolare.

7 excrucior: il verbo ha una particolare valenza semantica, in quanto deriva dal verbo di forma attiva excrucio, -as, -avi, -atum, -are, “torturare, mettere in croce”. La sofferenza amorosa diventa così, nell’explicit del carme 85, una sofferenza fisica di natura violenta e umiliante. Si tenga poi presente che il secondo verso, letto secondo la pronuncia restituta (e non quella “ecclesiastica”, diffusa oggi nelle scuole), abbonda dei suoni consonantici duri ed aspri di “c”, “r”, “t”: nescio (da leggere quindi: “neskio”), sentio, excrucior (da leggere: “eskrukior”).