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“Paradiso”, Canto 3: parafrasi del testo

Parafrasi


Nel terzo canto del Paradiso, Dante giunge al cielo della Luna, dove dimorano coloro che sulla Terra non hanno portato a compimento i loro voti. Qui Dante incontra Piccarda Donati, che in vita fu dapprima suora per vocazione e poi costretta al matrimonio; ella gli spiega come il Paradiso sia perfetta beatitudine in ogni suo cielo, a prescindere dalla condizione superiore o inferiore dei singoli beati. Infatti la concordia con la volontà divina qui è assoluta.  Accanto a Piccarda Dante scorge un’altra anima, quella di Costanza d’Altavilla, che mantenne fede in cuore al suo voto benché costretta a tornare alla vita mondana dopo essere divenuta monaca, per sposare l’imperatore Enrico VI di Svevia. Il Canto si chiude con la descrizione del bagliore accecante dello spirito di Beatrice.

  1. Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto 1,
  2. di bella verità m’avea scoverto,
  3. provando e riprovando 2, il dolce aspetto;
  4. e io, per confessar corretto e certo
  5. me stesso, tanto quanto si convenne
  6. leva’ il capo a proferer più erto 3;
  7. ma visïone apparve che ritenne
  8. a sé me tanto stretto, per vedersi,
  9. che di mia confession non mi sovvenne.
  10. Quali per vetri trasparenti e tersi,
  11. o ver per acque nitide e tranquille,
  12. non sì profonde che i fondi sien persi,
  13. tornan d’i nostri visi le postille
  14. debili sì, che perla in bianca fronte 4
  15. non vien men forte a le nostre pupille;
  16. tali vid’io più facce a parlar pronte;
  17. per ch’io dentro a l’error contrario corsi
  18. a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte 5.
  19. Sùbito sì com’io di lor m’accorsi,
  20. quelle stimando specchiati sembianti,
  21. per veder di cui fosser, li occhi torsi;
  22. e nulla vidi, e ritorsili avanti
  23. dritti nel lume de la dolce guida,
  24. che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
  25. "Non ti maravigliar perch’io sorrida",
  26. mi disse, "appresso il tuo püeril coto,
  27. poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
  28. ma te rivolve, come suole, a vòto 6:
  29. vere sustanze 7 son ciò che tu vedi,
  30. qui rilegate per manco di voto 8.
  31. Però parla con esse e odi e credi;
  32. ché la verace luce che le appaga 9
  33. da sé non lascia lor torcer li piedi".
  34. E io a l’ombra che parea più vaga
  35. di ragionar, drizza’ mi, e cominciai,
  36. quasi com’uom cui troppa voglia smaga:
  37. "O ben creato 10 spirito, che a’ rai
  38. di vita etterna la dolcezza senti
  39. che, non gustata, non s’intende mai,
  40. grazïoso 11 mi fia se mi contenti
  41. del nome tuo e de la vostra sorte".
  42. Ond’ella, pronta e con occhi ridenti 12:
  43. "La nostra carità non serra porte
  44. a giusta voglia, se non come quella
  45. che vuol simile a sé tutta sua corte.
  46. I’ fui nel mondo vergine sorella;
  47. e se la mente tua ben sé riguarda,
  48. non mi ti celerà l’esser più bella,
  49. ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda 13
  50. che, posta qui con questi altri beati,
  51. beata sono in la spera più tarda 14.
  52. Li nostri affetti, che solo infiammati
  53. son nel piacer de lo Spirito Santo,
  54. letizian del suo ordine formati 15.
  55. E questa sorte che par giù cotanto 16,
  56. però n’è data, perché fuor negletti
  57. li nostri voti, e vòti in alcun canto".
  58. Ond’io a lei: "Ne’ mirabili aspetti
  59. vostri risplende non so che divino
  60. che vi trasmuta da’ primi concetti 17:
  61. però non fui a rimembrar festino 18;
  62. ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
  63. sì che raffigurar m'è più latino.
  64. Ma dimmi: voi che siete qui felici,
  65. disiderate voi più alto loco
  66. per più vedere e per più farvi amici?".
  67. Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco 19;
  68. da indi mi rispuose tanto lieta,
  69. ch’arder parea d’amor nel primo foco 20:
  70. "Frate 21, la nostra volontà quïeta
  71. virtù di carità 22, che fa volerne
  72. sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
  73. Se disïassimo esser più superne,
  74. foran discordi li nostri disiri
  75. dal voler di colui che qui ne cerne;
  76. che vedrai non capere 23 in questi giri,
  77. s’essere in carità è qui necesse,
  78. e se la sua natura ben rimiri.
  79. Anzi è formale ad esto beato esse
  80. tenersi dentro a la divina voglia,
  81. per ch’una fansi nostre voglie stesse 24;
  82. sì che, come noi sem di soglia in soglia 25
  83. per questo regno, a tutto il regno piace
  84. com’a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
  85. E ’n la sua volontade è nostra pace:
  86. ell’è quel mare al qual tutto si move
  87. ciò ch’ella crïa o che natura face".
  88. Chiaro mi fu allor come ogne dove
  89. in cielo è paradiso, etsi la grazia
  90. del sommo ben d’un modo non vi piove.
  91. Ma sì com’elli avvien, s’un cibo sazia
  92. e d’un altro rimane ancor la gola,
  93. che quel si chere 26 e di quel si ringrazia,
  94. così fec’io con atto e con parola,
  95. per apprender da lei qual fu la tela 27
  96. onde non trasse infino a co la spuola.
  97. "Perfetta vita e alto merto inciela 28
  98. donna più sù 29", mi disse, "a la cui norma
  99. nel vostro mondo giù si veste e vela,
  100. perché fino al morir si vegghi e dorma
  101. con quello sposo 30 ch’ogne voto accetta
  102. che caritate a suo piacer conforma.
  103. Dal mondo, per seguirla, giovinetta
  104. fuggi’ mi, e nel suo abito mi chiusi
  105. e promisi la via de la sua setta.
  106. Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
  107. fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
  108. Iddio si sa qual poi mia vita fusi 31.
  109. E quest’altro splendor che ti si mostra
  110. da la mia destra parte e che s’accende
  111. di tutto il lume de la spera nostra,
  112. ciò ch’io dico di me, di sé intende;
  113. sorella fu 32, e così le fu tolta
  114. di capo l’ombra de le sacre bende.
  115. Ma poi che pur al mondo fu rivolta
  116. contra suo grado e contra buona usanza,
  117. non fu dal vel del cor già mai disciolta 33.
  118. Quest’è la luce de la gran Costanza
  119. che del secondo vento 34 di Soave
  120. generò ’l terzo e l’ultima possanza 35".
  121. Così parlommi, e poi cominciò ’Ave,
  122. Maria’ cantando 36, e cantando vanio
  123. come per acqua cupa cosa grave.
  124. La vista mia, che tanto lei seguio
  125. quanto possibil fu, poi che la perse,
  126. volsesi al segno di maggior disio,
  127. e a Beatrice tutta si converse;
  128. ma quella folgorò nel mïo sguardo
  129. sì che da prima il viso non sofferse;
  130. e ciò mi fece a dimandar più tardo.
  1. Quel sole che dapprima mi aveva scaldato il cuore d’amore,
  2. mi aveva ora svelato il dolce aspetto della bella verità,
  3. dimostrando e confutando le varie tesi;
  4. e io, per confessare di essermi corretto dai miei errori
  5. e di essere certo della verità, alzai il capo quanto
  6. era necessario per poter parlare;
  7. ma mi apparve una visione che attrasse
  8. tanto la mia attenzione a sé, per esser veduta,
  9. che non mi ricordai più di voler parlare.
  10. Come attraverso vetri trasparenti e puliti,
  11. o attraverso acque nitide e prive di increspature,
  12. non così profonde da non poter vedere il fondale,
  13. si riflettono i contorni dei nostri volti
  14. così debolmente, che una perla su una bianca fronte
  15. non sarebbe meno visibile per i nostri occhi;
  16. vidi numerosi volti altrettanto tenui, pronti a parlarmi;
  17. tanto ineffabili che io incorsi nell’errore opposto
  18. di Narciso che si innamorò di sé riflesso nell’acqua.
  19. Appena mi accorsi di loro,
  20. pensando che quelle fossero immagini riflesse,
  21. per vedere a chi appartenessero, volsi il mio sguardo;
  22. ma non vidi nulla, e dunque lo volsi nuovamente
  23. dritto negli occhi della mia dolce guida,
  24. a cui, sorridendo, brillavano gli occhi.
  25. “Non meravigliarti se sorrido”,
  26. mi disse, “per il tuo pensiero puerile,
  27. poiché non si fonda ancora sulla verità,
  28. ma ti fa andare in senso opposto a vuoto, come è
  29. solito fare: quelle che vedi sono anime vere,
  30. destinate a questo cielo per inadempienza dei voti.
  31. Perciò parla con esse e ascolta e credi a quello che ti diranno;
  32. perché la luce della verità che le appaga
  33. non le lascia allontanare da sé”.
  34. E io, all’ombra che sembrava più desiderosa
  35. di parlare, mi rivolsi, e cominciai a dire,
  36. quasi come una persona turbata da un desiderio eccessivo:
  37. “O spirito destinato alla salvezza, che dai raggi
  38. della vita eterna senti quella dolcezza che,
  39. se non è gustata, non può essere compresa,
  40. gradito mi sarà se mi renderai noti
  41. il tuo nome e la vostra condizione”.
  42. Quindi lei mi rispose, pronta e con gli occhi sorridenti:
  43. “La nostra carità non si oppone ad un giusto desiderio,
  44. non diversamente da quella di Dio, che rende simile
  45. a sé quella di tutte le sue schiere di beati.
  46. Io, sulla terra, fui monaca; e se cerchi con attenzione
  47. nella tua memoria, l’esser diventata più bella
  48. per la luce del Paradiso non ti impedirà di capire chi sono,
  49. ma riconoscerai che sono Piccarda, che, collocata
  50. in questo cielo con questi altri beati, godo della mia beatitudine
  51. nel cielo della Luna, quello più lento.
  52. I nostri affetti, che sono infiammati soltanto
  53. dall’ardore dello Spirito Santo,
  54. gioiscono di essere disposti secondo il suo ordine.
  55. E questo grado di beatitudine che sembra così basso,
  56. ci è stato attribuito perché i nostri voti furono
  57. trascurati, e in parte manchevoli”.
  58. Quindi io a lei: “Nelle vostre meravigliose sembianze
  59. risplende qualcosa di divino
  60. che vi trasforma rispetto al vostro aspetto originario:
  61. per questo non sono stato veloce nel riconoscerti;
  62. ma ora mi aiuta ciò che mi dici,
  63. cosicché mi è più facile riconoscerti.
  64. Ma dimmi: voi che siete beati qui, non desiderate mai
  65. essere in un cielo superiore per conteplare meglio
  66. Dio ed essere più a lui più familiari?”.
  67. Ella dapprima sorrise un poco insieme alle altre ombre;
  68. poi mi rispose con tanta gioia,
  69. che sembrava ardere del fuoco dell’amore di Dio:
  70. “Fratello, la nostra volontà è appagata
  71. dalla virtù di carità, che ci fa desiderare
  72. solo ciò che abbiamo, e non ci rende bramosi d’altro.
  73. Se desiderassimo trovarci in un cielo più alto,
  74. i nostri desideri sarebbero discordi
  75. dal volere di colui che qui ci colloca;
  76. il che, vedrai, non è possibile in queste sfere,
  77. se qui è necessario ed inevitabile vivere in carità,
  78. e se consideri bene la natura di questa.
  79. Anzi è essenziale allo stato di beato
  80. rimanere entro la volontà divina,
  81. per cui le nostre volontà divengono una sola;
  82. cosicché, il modo in cui noi siamo poste nei diversi
  83. cieli in questo regno, piace a tutto il Paradiso e a Dio,
  84. che ne è il re, e che ci fa volere ciò che Lui vuole.
  85. E nella sua volontà consiste la nostra pace:
  86. lui è come un mare al quale tende
  87. tutto ciò che è stato generato da lui o dalla natura”.
  88. Mi fu allora chiaro come in ogni parte del cielo
  89. si vive in perfetta beatitudine, anche se la grazia
  90. divina non vi è dispensata in modo uniforme.
  91. Ma così come avviene, se si è sazi di un cibo
  92. e di un altro resta ancora il desiderio,
  93. che si chiede di questo e si ringrazia di quello,
  94. così feci io con gesti e con parole
  95. per scoprire da lei quale fosse la tela
  96. che non aveva portato a termine con la spola.
  97. “Una vita perfetta e un alto merito colloca
  98. una donna in un cielo più alto”, mi disse “secondo la cui Regola
  99. si indossano giù nel mondo l’abito e il velo monacali,
  100. perché fino alla morte si vegli e si dorma
  101. in comunione con quello sposo che accetta ogni voto
  102. che la carità renda conforme al suo volere.
  103. Ancora molto giovane, per seguirla, abbandonai la vita nel mondo,
  104. e mi rinchiusi nel suo convento e mi impegnai
  105. a seguire la Regola del suo ordine.
  106. Ma poi degli uomini, dediti al male più che al bene,
  107. mi rapirono dall’amato convento:
  108. Iddio sa quale fu poi la mia vita.
  109. E quest’altra anima luminosa che vedi
  110. alla mia destra e che risplende
  111. di tutta la luce propria del nostro cielo,
  112. ciò che racconto di me stessa, può intenderlo
  113. anche per sé; fu una monaca, e come a me
  114. le fu tolto con forza il velo monacale.
  115. Ma anche dopo essere stata ricondotta
  116. alla vita mondana contro la sua volontà e contro ogni pratica
  117. onesta, rimase nel cuore sempre fedele ai suoi voti.
  118. Questa è l’anima luminosa della nobile Costanza,
  119. che al marito, il secondo imperatore della casa Sveva,
  120. generò il terzo ed ultimo erede.
  121. Così mi parlò e poi cominciò a cantare l’Ave Maria,
  122. e cantando scomparve come nell’acqua profonda
  123. sparisce un oggetto pesante.
  124. Il mio sguardo, che la seguì per quanto fu possibile,
  125. dopo averla persa, si volse
  126. all’oggetto del suo maggior desiderio,
  127. e si concentrò quindi del tutto su Beatrice;
  128. ma questa abbagliò il mio sguardo
  129. tanto che dapprima non riuscì a sopportarne la vista;
  130. e ciò mi fermò nel farle la domanda che desideravo.

 

 

1 L’immagine è coerente con quanto Dante dice nella Vita nova, dove l’amore per la donna nasce nella primissima giovinezza, a nove anni. La rappresentazione dell’amata come sole è consueta nella lirica, ma nel Paradiso rimanda anche alla luce che caratterizza tutte le anime dei beati.

2 provando e riprovando: i due termini corrispondono tecnicamente ai momenti dimostrazione e confutazione, cioè i due momenti dell’argomentazione scolastica.

3 Nel canto precedente Dante aveva ascoltato la correzione di Beatrice sulla sua concezione delle macchie lunari e ora vorrebbe rassicurarla del fatto che ha compreso bene

4 Dante fa qui riferimento ad una moda del tempo, per cui si portava sulla fronte una perla appesa a una coroncina o a una retina che avvolgeva i capelli. È implicita inoltre la consuetudine estetica per cui la carnagione femminile era tanto più bella quanto più era bianca.

5 Nel mito classico, ricordato anche nelle Metamorfosi di Ovidio, Narciso, un giovane bellissimo, si innamora di se stesso vedendosi riflesso nell’acqua limpida. Cercando di raggiungere quell’immagine, cade nell’acqua ed annega. Qui l’errore del poeta è contrario: invece di credere reale un’immagine fittizia, Dante crede che anime reali (anche se non corporee) siano immagini illusorie.

6 Interessante considerazione di Beatrice: alla lettera, l’errore fa voltare Dante dietro di sé, alla ricerca delle immagini veritiere. Ci si riferisce più in generale alle concezioni erronee di un intelletto mortale, che spesso ci spingono in direzioni, fisiche o mentali, sbagliate.

7 È un termine tecnico della filosofia scolastica.

8 I voti per cui avevano fatto giuramento non sono arrivati a compimento. Tuttavia si tratta di anime degne e buone, altrimenti non si troverebbero in Paradiso: infatti nei due esempi che Dante propone in questo canto la colpa per la manchevolezza dei voti non è dell’anima ma di chi le ha fatto violenza.

9 Come poi spiegherà in modo approfondito Piccarda, l’anima con cui Dante parla nel corso del canto, la gioia dei beati è strettamente connessa alla volontà di Dio.

10 ben creato: in quanto destinato alla salvezza, e quindi opposto a “mal creato”, cioè destinato alla dannazione, come spesso sono chiamate le anime dell’Inferno.

11 grazïoso: ovvero, “gradito”. La domanda è posta con un tono particolarmente gentile: esso sarà caratteristico di tutta la cantica, dominata ancor più della precedente dall’amore e dall’armonia.

12 In coerenza con il senso di gioia, luminosità e soddisfazione che dominano in Paradiso, spesso Dante sottolinea come le anime siano sorridenti.

13 Piccarda Donati, fiorentina, era sorella di Forese, amico di Dante protagonista del XXIV canto del Purgatorio, e del malvagio Corso, capo dei Guelfi Neri, dichiarato prossimo alla dannazione nel già citato canto purgatoriale. La giovane si fece monaca presso il convento di Santa Chiara, ma Corso la rapì e la costrinse a sposare, per convenienza politica, Rossellino della Tosa, un altro Guelfo di parte Nera.

14 spera più tarda: le sfere celesti ruotano più velocemente mano a mano che si allontanano dalla Terra, poiché aumenta il raggio della loro orbita; quindi il cielo della Luna, essendo il più vicino alla Terra, è anche il più lento.

15 È l’apoteosi della carità e dell’armonia paradisiache.

16 Il grado di beatitudine di questo cielo, che sembra così basso, è dovuto all’inadempienza in vita dei voti professati.

17 Alla lettera con “concetti” si intende l’immagine così come si è conservata nella memoria. Quell’immagine è molto mutata nella realtà per gli effetti della beatitudine (trasparenza, luminosità) e quindi non coincide con quella fissata nella memoria del visitatore, che infatti dapprima non riconosce Piccarda, che pure aveva frequentato in vita.

18 festino: latinismo per “pronto”, “veloce”.

19 I beati sorridono di come gli esseri viventi ragionino in termini e secondo valori del tutto diversi da quelli che dominano nel Paradiso.

20 Dio è il primo oggetto e la prima fonte dell’amore di carità, che poi si riflette nei rapporti fra le creature

21 Appellativo affettuoso già caratteristico del Purgatorio, che era già dominato dall’amore e dal senso di comunanza

22 La struttura di questo verso e di tutta la terzina è notevole perché mette in evidenza la carità, virtù centrale nel Paradiso e soprattutto in questo Canto.

23 Come già “festino”, anche “capere”, “necesse” e poi “esse” e “etsi” sono tutti latinismi: il linguaggio di Piccarda è sostenuto perché deve veicolare alcuni fondamentali concetti dottrinali.

24 Viene ribadito che è fondamentale, per la condizione dei beati, quella di avere una volontà che stia nei limiti di quella divina. Pur nella dolcezza delle sue parole, non c’è alcuna esitazione, dubbio o possibilità di controbattere nel discorso di Piccarda.

25 di soglia in soglia: “di gradino in gradino”; si tratta di una metafora per indicare i gradi di beatitudine celeste.

26 chere: forma arcaica dal latino quaerere (quaero, quaeris, quaesii, quaesitum, quaerere).

27 tela: il voto mancato viene rappresentato metaforicamente come una tela che non si è finito di tessere.

28 inciela: neologismo dantesco con questa sola occorrenza

29 Si riferisce a Santa Chiara, al cui ordine, detto delle Clarisse, Piccarda ha aderito.

30 Lo sposo è, in termini cristiani, sempre Cristo; la metafora è diffusissima e molto antica, perché già caratteristica dei Vangeli che però ne traevano la fonte dal Cantico dei Cantici.

31 fusi: sta per “si fu”, dove il “si” è pleonastico. Piccarda non offre alcun dettaglio, con chiaro senso del pudore: ciò esprime bene la sua triste nostalgia e il dolore per la cattiveria umana, che però non diviene ira, per la quale non c’è spazio in Paradiso.

32 Si riferisce a Costanza, figlia di Ruggero II re di Sicilia, erede del regno normanno. Fu costretta a sposare Enrico VI di Svevia, che così ottenne il dominio sull’Italia meridionale che non era riuscito a conquistare con le armi, e dal matrimonio nacque Federico II (1194-1250). In realtà Costanza non è mai stata monaca: la leggenda era stata creata dagli oppositori di Federico II per sostenere che la sua nascita fosse derivata da un atto di violenza e peccato, e che dunque egli fosse davvero l’Anticristo. Dante opera una mediazione: accetta la leggenda, ma la intende in senso positivo, cioè solo per illustrare la bontà di Costanza.

33 Questa frase, che detta di sé sarebbe risultata poco umile, può essere però pronunciata a proposito di Costanza: solo in questo modo indiretto Piccarda fa riferimento anche a se stessa, visto che le due anime sono state vittime della medesima sorte.

34 Alla lettera, l’immagine del vento indica una potenza impetuosa e la gloria; si riferisce all’imperatore Enrico VI di Svevia. Bisogna però ricordare che nella concezione cristiana e dantesca la gloria terrena è fittizia e destinata in breve ad essere dimenticata, dunque non ha davvero valore in sé.

35 Si riferisce a Federico II, ultimo imperatore della casa sveva.

36 La musica, già segno della speranza degli spiriti purganti, torna come elemento ricorrente nella beatitudine del cielo.