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“Purgatorio”, Canto 11: analisi e commento

Introduzione

 

Nel canto XI del Purgatorio Dante e Virgilio, passati finalmente dall’Antipurgatorio al Purgatorio vero e proprio, giungono alla prima cornice, dove le anime dei superbi espiano i loro peccati camminando con un masso sulla schiena, che li costringe a stare chinati in segno di umiltà. In questo canto si presenta nuovamente la riflessione sulla preghiera, importante in tutto l’arco della cantica; dapprima, infatti, Dante trascrive la preghiera innalzata dai peccatori, cioè il Padre Nostro, poi ripropone l’idea che i vivi, pregando, possano aiutare le anime purganti a completare il percorso di purificazione e a raggiungere la beatitudine eterna. Dante incontra tre personaggi: Omberto Aldobrandeschi, nobile e antisenese, Oderisi da Gubbio, miniatore umbro accecato dal desiderio di raggiungere l’eccellenza, e Provenzano Salvani, ghibellino di Siena, con cui però il poeta non parla direttamente.

 

Riassunto

 

Dante e Virgilio sono alla prima cornice del Purgatorio, dove si trovano i superbi, condannati a camminare portando un pesante masso sulla schiena, che cantano il Padre Nostro. La più nobile preghiera della liturgia cristiana viene quindi associata a coloro che, tra le anime purganti, hanno compiuto il peccato maggiore 1. Al termine della preghiera, che Dante parafrasa liberamente, Virgilio interroga le anime per sapere come passare dalla prima alla seconda cornice, e quale via sia meno ripida, affinché compiere il cammino sia possibile anche per Dante, il cui corpo è mortale e quindi più pesante. Risponde loro uno spirito, che invita i due poeti a seguire il cammino delle anime; dapprima non si capisce chi abbia parlato, perché le ombre sono chinate e non se ne vede il volto. L’interlocutore però si identifica come Omberto Aldobrandeschi, la cui superbia, dovuta all’appartenenza a una famiglia nobile e alle imprese cavalleresche dei suoi antenati, lo ha condotto al peccato e poi alla morte durante la battaglia di Campagnatico, nel 1259. Gli stessi suoi parenti, dice, sono stati trascinati alla rovina dalla medesima superbia. Adesso è costretto a portare un masso sulla schiena, finché Dio non riterrà espiata la sua colpa.

Allora prende la parola un altro penitente, Oderisi da Gubbio (1240 ca. - 1299), famoso miniatore umbro, che Dante riconosce forse perché suo amico personale; egli ammette la propria colpa sostenendo di essere stato incapace, in vita, di riconoscere i meriti altrui, mentre ora può dire senza vergogna che sono migliori le miniature del “rivale” Franco Bolognese 2. Oderisi insiste su come la superbia e il desiderio di fama dominino la vita degli uomini senza una reale ragione. In primo luogo, richiama la simile situazione del pittore Cimabue (Bencivenni di Pepo, 1240 ca. - 1302) che aveva creduto di poter restare il migliore mentre la sua fama sarebbe stata scalzata dal suo allievo Giotto (1267-1337), e di Guinizzelli, superato per quanto riguarda la poesia da Cavalcanti. Insomma, la gloria ottenuta con gli sforzi umani - si tratti di arte o di potere politico - è precaria e labile come la vita stessa. Attraverso diversi paragoni (con il vento o con l’erba) o più distese perifrasi Oderisi precisa questo importante concetto.

A questo punto l’anima indica uno dei propri compagni che cammina davanti a loro, dicendo che si tratta di un uomo un tempo celebre in tutta la Toscana, ma ormai ricordato a malapena a Siena. Si tratta di Provenzano Salvani (1220 ca. - 1269), senese e ghibellino, che ebbe un ruolo di preminenza nella vittoria di Siena alla battaglia di Montaperti (4 settembre 1260). Dopo aver acquistato ulteriori cariche e potere morì nella battaglia di Colle di Val d’Elsa, vinta dai fiorentini nel 1269. Dante, che ricorda la vicenda di questo personaggio, si chiede come sia possibile che gli sia stato già concesso di salire su nella prima cornice, visto che coloro che hanno aspettato l’ultimo attimo di vita per pentirsi sono destinati ad attendere nell’Antipurgatorio. Allora Oderisi racconta di un episodio della vita di Provenzano, che gli valse la misericordia divina: per salvare un amico dalla prigionia pagando il riscatto all’esercito di Carlo d’Angiò, si era ridotto a chiedere l’elemosina in mezzo alla Piazza del Campo, a Siena. Il canto si chiude con una predizione di Oderisi in merito al futuro di Dante: il poeta non tarderà a capire il senso delle sue parole, quando i fiorentini gli faranno sperimentare la medesima vergogna costringendolo all’esilio.

 

Analisi e commento

 

Il canto XI del Purgatorio è organizzato in due momenti principali: la parafrasi del Padre Nostro e l’incontro con i primi tre peccatori del Purgatorio in senso stretto. La scelta del poeta di dedicare numerosi versi alla reinterpretazione, in parte letterale in parte personale, della preghiera si spiega grazie a due motivazioni principali. Da una parte, all’epoca in cui Dante scrive la riflessione e il rifacimento di testi sacri come esperimento retorico-dottrinale erano assolutamente tipici e diffusi. A ciò si aggiunge la sfida poetica dell’autore, che deve rendere la forza teologica dei contenuti senza perdere il coinvolgimento emotivo di chi, peccatore, si rivolge direttamente a Dio attraverso l’invocazione più nota e conosciuta.

Strettamente collegato con questo punto c’è il secondo aspetto significativo di questo canto: Dante sa - e il suo atteggiamento in questi versi lo conferma - che anche nel suo caso personale la superbia è il peccato più grande, tanto nella sua arte letteraria (di cui il poeta sarà sempre consapevolissimo) quanto nelle faccende pubbliche e politiche. Non sarà dunque un caso che, nella seconda metà del canto, il poeta incontri entrambi i tipi di superbi: ovvero quelli che per la propria arte (come Oderisi) o per il proprio ruolo sociale 3 (come Provenzano e Omberto) hanno sovrastimato le proprie doti. Questa prima parte è tutta focalizzata, come ovvio, sul tema della preghiera, e perciò essa risulta coerente con l’intera cantica, in cui non a caso simili concetti tornano più volte, sia nel delineare le aspirazioni delle anime rispetto a Dio e alla beatitudine, sia rispetto alla questione, chiarita già nel canto VI, delle preghiere dei vivi a vantaggio della penitenza dei defunti. Infine, in perfetta assonanza con il contesto della prima cornice, la loro preghiera insiste sulla necessità immancabile della Grazia divina, poiché da solo l’uomo è impotente. Nel testo di questo originale Padre Nostro si coglie allora il senso di partecipazione delle anime purganti rispetto all’umanità, le cui sorti non sono indifferenti a chi infine si è salvato: i bisogni di tutti sono propri, per spirito di carità, anche di queste anime ormai lontane dal mondo.

La seconda parte, dominata dal punto di vista narrativo dai tre superbi incontrati da Dante, e dunque suddivisibile in ulteriori tre parti, è in realtà una lunga riflessione sulla vanità del mondo, delle sue passioni e soprattutto della fama.Questi aspetti morali sono legati per lo più nell’episodio centrale, attraverso le parole di Oderisi da Gubbio, incardinato al centro della serie. Prima, l’incontro con Omberto degli Aldobrandeschi, che serve principalmente da esempio della sventura a cui può condurre una sconfinata superbia, attraverso il riferimento alla battaglia di Campagnatico, un evento ben noto ai contemporanei di Dante. L’orgoglio di Omberto rappresenta uno specifico tipo di superbia, quella legata alla nobiltà di stirpe; al contempo però, quando egli nomina i suoi antenati non esprime un senso di vanagloria, ma piuttosto di amore familiare, che sempre caratterizza il Purgatorio. Dopo, il racconto sulla vita di Provenzano Salvani (che non parla in prima persona ma viene proposto da Oderisi), che mette in luce sia la superbia sia la generosità fonte di redenzione. L’atto di umiliarsi nel chiedereidentifica un motivo molto presente nella poetica dantesca, perché strettamente legato a quello dell’esilio che Dante sarà costretto a subire. Più volte tale infelice destino viene predetto al poeta, come anche in questo stesso canto, che infatti si chiude con la profezia di Oderisi.

Il colloquio con Oderisi da Gubbio si colloca dunque al centro. Non si tratta qui di gloria famigliare o di potere politico, quanto di arte e di ingegno terreno, ovvero gli aspetti che Dante sentiva più vicini alla propria esperienza e al proprio peccato di superbia. Ecco perché il tema non può che essere trattato evidenziando i limiti e la fugacità della gloria artistica. Qui l’aspetto autobiografico, esaltato anche dal fatto che Oderisi sia stato conoscente e forse addirittura amico di Dante, potrebbe essere sottinteso anche nel riferimento a Guinizzelli e Cavalcanti, per la possibilità implicita che il poeta destinato a superarli sia proprio Dante stesso. Questa interpretazione non complicherebbe comunque l’impostazione morale del canto: l’apparente elemento di autocelebrazione in questo testo tutto intessuto di umiltà e coscienza matura dei limiti della condizione mortale si riduce in realtà a poca cosa nella reiterata ripetizione della futilità e della fugacità della fama terrena.

1 bisogna ricordare che nel Purgatorio l’ordine di peccati e punizioni è inverso a quello dell’Inferno, e dunque procede dal più grave al meno grave.

2 Le anime purganti hanno infatti superato i limiti della loro colpa e si comportano ormai in modo retto e saggio; da qui il tono di compatimento per la cecità della loro vita terrena.

3 Si ricordi comunque che Dante non è mai stato un sostenitore della nobiltà di sangue, ma anzi, in quanto stilnovista, un suo fiero avversatore; dunque in questo la sua posizione è del tutto opposta a quella di Omberto.