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"Inferno", Canto 5: commento critico

Parafrasi Analisi
Il canto della Divina Commedia dedicato a Paolo e Francesca, letto e analizzato da Andrea Cortellessa.
 
Come si è visto nel canto primo dell'Inferno, i pericoli morali che Dante si trova ad affrontare sono la lussuria, la superbia e l'avarizia. Questi tre peccati rappresenteranno i momenti chiave dell'esperienza infernale del poeta, nei confronti dei quali egli proverà un naturale trasporto, di evidente rispecchiamento biografico. Il Canto V, dedicato alla vicenda di Paolo e Francesca, è forse in assoluto il più amato della Divina Commedia. L'immagine dominante è quella della bufera infernale, che trascina le anime dei lussuriosi: essa è un esempio della tecnica del contrappasso, dove il peccato di cui si macchiano gli esseri umani in vita viene ripetuto nell'Aldilà in forma iperbolica (come in questo caso) o rovesciata (cambiandolo radicalmente di segno). Prima di incontrare Paolo e Francesca, Virgilio mostra a Dante sette peccatori della tradizione classica: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride e Tristano. Questa composizione dice molto del sincretismo di Dante, il quale riesce a mettere insieme riferimenti biblici, mitologici e storici. Dalla cronaca locale sono tratti i personaggi di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, morti insieme uccisi da Gianciotto, fratello di Paolo e marito di Francesca. Francesca parla in prima persona raccontando a Dante la vicenda erotica che l'ha coinvolta con l'amato Paolo, che invece rimane in silenzio per tutto il canto. Ella riassume in sè il pensiero medioevale, come esplicitato nel trattato De Amore di Andrea Cappellano: esso imponeva che un sentimento d'amore rivolto da una persona "gentile" non potesse non essere ricambiato. Il peccato d'amore prende qui origine dalla lettura ("galeotto fu il libro e chi lo scrisse: | quel giorno più non vi leggemmo avante"). Mentre nel primo canto la letteratura aveva salvato Dante dal peccato, in questo caso essa è la causa della rovina dei due amanti.
 
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa-Tuttolibri.
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Come abbiamo visto nel I canto dell’Inferno, i peccati, i pericoli morali che Dante deve affrontare sono la lussuria, la superbia e l’avarizia. Questi tre peccati sono i momenti chiavi dell’esperienza infernale di Dante. Dante si rispecchia nei personaggi che si sono macchiati di questi peccati e ha per loro un particolare trasporto di evidente rispecchiamento biografico. 

Il primo è quello della lussuria, un tema evidentemente caro ai poeti di ogni epoca che viene trattato nel V canto dell’Inferno; forse è il canto più amato in assoluto della Divina Commedia, il canto di Paolo e Francesca. L’immagine che domina il canto è quella del vento, la bufera infernale che trascina le anime dei lussuriosi. È un esempio della tecnica del contrappasso: il peccato di cui si macchiano gli essere umani in vita viene ripetuto nell’aldilà in forma iperbolica (contrappasso diretto), come in questo caso, oppure in forma rovesciata, cambiandolo radicalmente di segno (contrappasso invertito).

Prima di incontrare Paolo e Francesca, Virgilio mostra a Dante sette peccatori della tradizione letteraria, del mito: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride e Tristano. Questo canone dei grandi peccatori del passato ci dice molto anche del sincretismo, cioè della capacità che ha Dante di mettere insieme tradizioni letterarie, mitologiche che appartengono a reami, tradizioni diversi: la tradizione biblica, la tradizione del poema dello stesso Virgilio (Didone, traccia sottile del IV libro dell’Eneide, una traccia sottile che attraversa il poema di Dante ogni qualvolta si parla di amore) e poi personaggi della storia come Cleopatra, personaggi dei poemi omerici (Elena, Achille, Paride) e un personaggio della letteratura più recente, della letteratura volgare medievale, cioè Tristano. Francesca e Paolo sono in realtà due personaggi della cronaca, del presente. Tipico della tecnica di Dante è questo insieme di cronaca e di letteratura, questa compresenza di personaggi letterari e di personaggi della storia reale o locale, come nel caso di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, i quali vengono uccisi da Gianciotto, fratello di Paolo e marito di Francesca.

Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».

Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido.

«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.

Le figure dell’aldilà hanno una concretezza storica, ma anche un’origine geografica: Francesca è originaria della foce del Po, il punto dove il Po “discende per aver pace”, cioè si immette nel mare con i suoi affluenti, i suoi “seguaci”. A seguire, la famosa anafora a cui il personaggio di Francesca per sempre è legata:

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».”

Il personaggio di Francesca parla in prima persona e indica un personaggio muto, il suo amante. Paolo non parlerà mai ed è a sua volta uno specchio di Dante, una controfigura del silenzio che Dante tende sulla sua vicenda biografica, erotica che si specchia in quella di Paolo e Francesca, ma che non viene esplicitata. In queste parole Francesca riassume il pensiero amoroso, erotico medievale e in particolare il pensiero del trattato De Amore di Andrea Cappellano; questo trattato imponeva che un amore, un sentimento amoroso rivolto a una persona gentile, cioè colma dei valori tradizionali di cortesia, non poteva non essere ricambiato. Quello stesso amore, in realtà, è la causa della morte che viene inflitta da Gianciotto agli amanti. Gli amanti hanno tradito Gianciotto, ma Gianciotto ha tradito la regola dell’amor cortese quindi, essendo traditore, verrà destinato nel più fondo dei ghiacci infernali, cioè nella “caina”, nel luogo che attende i peccatori di tradimento.

Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.

E caddi come corpo morto cade.”

Il peccato d’amore si origina dalla lettura. Nel primo canto la letteratura aveva salvato Dante dal peccato; qui, viceversa, Dante ci dice che la letteratura può portarci al peccato, nell’imitazione delle vicende che leggiamo nei libri e in particolare nel libro Galeotto dedicato agli amori del siniscalco Galehaut, libro che evidentemente Paolo e Francesca stavano leggendo insieme durante quel giorno cruciale. La letteratura è ambivalente: può condurci alla salvezza, al peccato e alla morte. Come un morto Dante si congeda da questo V canto.