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Boccaccio, “Madonna Oretta”: riassunto e commento della novella

Introduzione

 

La novella di Madonna Oretta è la prima della sesta giornata e introduce alla seconda metà del Decameron di Giovanni Boccaccio. La regina della giornata, Elissa (cioè la narratrice più giovane della compagnia, il cui personaggio rimanda alla Didone dell’Eneide di Virgilio), sceglie come tema la capacità di imbastire una risposta arguta e pronta, efficace per esempio quando occorre liberarsi da una situazione imbarazzante o persino pericolosa. La prima novella, appunto quella di madonna Oretta, raccontata da Filomena, è non a caso una sorta di manifesto del “parlar bene” e di riflessione programmatica sulla capacità di narrare.

 

Riassunto

 

Dopo un’introduzione sul valore di una narrazione ben fatta, Filomena racconta un aneddoto che ha avuto per protagonista la nobildonna fiorentina Oretta, sposata con il nobile Geri Spina. Durante un soggiorno in campagna, Oretta partecipa ad una lunga escursione insieme ad un gruppo di uomini e donne cortesi; per alleviare la noia e la fatica uno dei suoi compagni le propone di farle passare il tempo raccontandole una delle storie più belle mai sentite, al punto che invece che a piedi le sembrerà di essere a cavallo. Madonna Oretta accetta volentieri l’offerta e il cavaliere comincia il suo racconto.

Egli però non è abile con le parole e la storia, che di per sé sarebbe stata molto piacevole, si prolunga senza motivo, tra ripetizioni, errori e correzioni. Il narratore si confonde, anticipa i colpi di scena, rovina gli effetti della trama. Oretta, non potendo più sostenere lo strazio dell’ascolto, ormai certa che il suo accompagnatore non sarà in grado di portare a termine il racconto, gli domanda di lasciarla proseguire a piedi, poiché il cavallo che lui le aveva fornito per abbreviare il viaggio, cioè la novella, si era rivelato inefficace:

“Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto; per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè”.

Il cavaliere comprende l’allusione e accetta di buon grado il suggerimento, passando ad altre novelle e lasciando perdere quella storia cominciata così male.

 

Madonna Oretta: l’arte di saper narrare

 

La sesta giornata non è dedicata genericamente all’abilità nel comunicare e al piacere nel narrare, ma ad una sua forma particolare, il motto di spirito. Ne deriva una forma di racconto particolare, breve e dalla trama molto lieve, addirittura scarna, che ben si accorda alle parole con cui Filomena introduce la novella di Madonna Oretta: l’arte di raccontare ben si addice alle donne, persino più che agli uomini, a patto che il racconto non superi la giusta lunghezza.

In perfetta coerenza, questa novella, posta in posizione volutamente rilevata all’inizio della seconda metà di tutto il Decameron, si risolve interamente intorno ad un semplice schema narrativo: la proposta di raccontare (mediata dalla metafora del cavallo; raccontando, il giovane “la porterà a cavallo”), e la promessa di un beneficio, l’insuccesso del cavaliere, il motto di spirito giocato proprio sulla metafora utilizzata dal narratore (ovvero, Oretta chiede di scendere ed andare a piedi). L’idea che il racconto “abbrevi” il viaggio è antica, già classica; Boccaccio perciò sfrutta un elemento tradizionale e topico per costruire il proprio discorso, appogginadosi così sulla memoria “letteraria” del proprio uditorio, con cui quindi si instaura una sottile riflessione metaletteraria sulla tipologia narrativa della novella. A ciò si aggiunge l’eco della tradizione enigmistica, in particolar modo nello scambio di battute giocose basate sulla metafora del cavalcare.

Dietro questi dettagli convenzionali si nasconde un intento argomentativo molto più complesso e significativo: l’autore vuole infatti evidenziare la difficoltà di raccontare bene e l’importanza di controllo tecnico sullo stile e sulla materia. In effetti le pecche del cavaliere riguardano proprio questi due elementi, ovvero l’incapacità di gestire l’argomento nel modo più efficace e l’imperfetta corrispondenza tra contenuto e forma. Non basta insomma che il tema sia promettente: i narratori hanno una grande responsabilità nei confronti dei loro lettori, cui hanno promesso (come ad esempio Boccaccio fa nel Proemio della sua opera) un piacere di tipo estetico. Non è la prima volta che Boccaccio insiste su questi aspetti metapoetici, cioè sulla natura del proprio impegno letterario: il medesimo intento si coglie nelle parole di Pampinea alla fine della decima novella della prima giornata (Maestro Alberto da Bologna, non a caso esplicitamente citata da Filomena proprio nella novella di Madonna Oretta) e soprattutto in quelle dello stesso autore all’inizio della quarta giornata, il quale, per una volta, non si nasconde dietro i suoi dieci giovani narratori ma racconta in prima persona la “novella delle papere”, per sostenere i principi narrativi della propria opera.

Per esaltare la propria concezione di una narrazione complessa e raffinata sul piano letterario, Boccaccio dedica particolare attenzione alla struttura della novella di Madonna Oretta. L’elemento centrale, cioè l’inefficace racconto del cavaliere, è incastonato tra la presentazione della protagonista femminile e il motto finale. A dare ulteriore significato all’impostazione complessiva del testo sono l’introduzione metapoetica affidata a Filomena e la sua notazione finale sulla saggia decisione del cavaliere di abbandonare il suo racconto. Si notano poi diversi livelli rispetto alla voce narrante: Boccaccio è l’autore, presenta Filomena nella cornice e poi le cede la parola, la quale a sua volta cede il testimone a un giovane che racconta; c’è poi il cavaliere che si fa narratore della confusa vicenda che annoia Madonna Oretta. Questa sfaccettatura progressiva dell’istanza narrante si riflette anche dal lato di ascoltatori e pubblico: Oretta (e i giovani e le giovani della “allegra brigata”) rappresenta al contempo il pubblico del cavaliere e il pubblico di Boccaccio, che presumibilmente avrebbe avuto le medesime reazioni della protagonista di fronte ad una vicenda narrata male.

La novella replica insomma in piccolo ciò che in grande è l’intero Decameron: Oretta e i suoi compagni si trovano nel contado fiorentino, come i dieci giovani della cornice, e apprezzano i medesimi passatempi, nel rispetto delle regole di cortesia, cui deve rispondere anche il motto di Oretta, che incoraggia il suo accompagnatore a desistere nel modo più leggiadro possibile. Il motto può essere un po’ provocatorio, ma non è mai un insulto o l’espressione di durezza o rozzezza. Infine, gli stessi aspetti che abbiamo identificato come corrispondenti tra novella e raccolta suggeriscono un’altra caratteristica significativa del testo: il suo realismo, come nel caso del fastidio quasi fisico di Oretta mentre ascolta il racconto non riuscito.

 

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