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"Il sabato del villaggio" di Leopardi: analisi e commento

Parafrasi Analisi

Introduzione

 

Il sabato del villaggio di Leopardi viene composto nel mese di settembre del 1829. Il componimento è una canzone libera in endecasillabi e settenari, raggruppati in quattro strofe di lunghezza differente. La lirica è divisa in due parti asimmetriche (come sarà nella Quiete dopo la tempesta, composta nello stesso periodo, anche se in quel caso le due parti sono di uguale ampiezza). Anche tematicamente le due liriche sono simili: entrambe, infatti, trattano del piacere, inteso leopardianamente come l'attesa speranzosa di un bene.

 

Analisi del testo

 

Parte prima: il paesaggio del “Sabato del villaggio”

Nella prima parte del Sabato del villaggio (vv. 1-37) viene descritta una scena di vita quotidiana in un paese, nell'atmosfera serale di un sabato primaverile, quando gli abitanti si preparano con ansia al giorno di festa. La descrizione si concentra su alcune figure esemplari: innanzitutto, la "donzelletta", che porta in mano porta un mazzo di rose e viole (che tuttavia, come venne notato da Pascoli sono due fiori che sbocciano in mesi diversi dell'anno), e rappresenta una figura ideale della giovinezza ma anche del lavoro nei campi (v. 1: "la donzelletta vien dalla campagna”). C'è poi la "vecchierella" che, contemplando la fine del giorno, ricorda il "suo buon tempo" (v. 11), cioè la sua giovinezza, creando così un legame tra fine del giorno e vita umana; i "fanciulli", che giocano facendo "un lieto rumore", rappresentano l'infanzia lieta e spensierata. Infine troviamo i lavoratori, il contadino e falegname, cui Leopardi affida (vv. 28-37) altrettanti piccoli quadri delle loro attività quotidiane: la "parca mensa" (v. 28) dello "zappatore" (v. 29) e il lavoro - "l'opra" (v. 37) - del "legnaiuol" (v. 34) che fatica prima dell'alba, che è anche simbolo di una modernità che allontana l'uomo dallo stato di natura.

All'interno di queste descrizioni, fortemente intrise del sensismo leopardiano, l'autore inserisce un breve quadro paesaggistico della notte che scende:

Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giù da colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna. 1

Sono versi che rimandano alla tradizione classica e in particolare a due versi delle Bucoliche di Virgilio 2; non a caso, l’atmosfera di questa prima sezione del Sabato del villaggio è ricca di riferimenti letterari (oltre a Virgilio, è Petrarca l’autore cui Leopardi guarda con più attenzione), mentre la ricorrenza di versi brevi si adatta alla descrizione, idillica e rasserenante, del “sabato” e dei suoi abitanti.

 

Seconda parte: la riflessione di Leopardi

 

Nella seconda parte del Sabato del villaggio (vv. 38-51) il poeta riflette, specularmente alla tematica della prima sezione, sulla vanità dell'attesa della festa: il piacere, che ognuno degli abitanti si aspetta, non giungerà mai, ma permarranno la noia e la tristezza dell’esistenza umana (“diman tristezza e noia | recheran l’ore” vv. 40-41) . La riflessione si estende poi anche alla vita: la giovinezza è un periodo felice, perché si attende con ansia e gioia l'entrata nell'età adulta, come quando il sabato ci si prepara per il giorno di festa; tuttavia il passaggio di età non porterà gioia, ma si rivelerà doloroso e privo di piacere.

La poesia si conclude allora con un'apostrofe a un "garzoncello scherzoso" (v. 43), e cioè una figura retorica utilizzata per invocare sulla pagina un fanciullo ancora ignaro della dura legge della realtà umana: "Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo'…" (vv. 48-50). È un invito esplicito al "garzoncello" (simbolo dell'ingenuità umana e dell’inconsapevolezza di ogni fanciullo) a non desiderare di affrettare la crescita nell'ansia di diventare adulto. In questo componimento infatti il piacere è considerato da Leopardi come l'attesa di un benessere venturo, che, una volta raggiunto, si rivela vuoto e illusorio.

Si noti come il pessimismo cosmico leopardiano, che qui sancisce che ognuno di noi è destinato alla sofferenza, non assuma pose tragiche: lo stile è piano e pacato, come se quella del poeta fosse un malinconico monito al “garzoncello” inesperto della vita, e la sintassi non è spezzata né da enjambements né da inversioni o anastrofi marcate.

 

Tra il “Sabato del villaggio”, lo “Zibaldone” e “La quiete dopo la tempesta”

 

La tematica de Il sabato del villaggio viene sviluppata anche in alcune pagine dello Zibaldone, in cui viene affermato che:

il piacere umano si può dire ch'è sempre futuro, non è se non futuro, consiste solametne nel futuro. L’atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere; e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere 3.

Rispetto a questa riflessione sul piacere, la conclusione della Quiete dopo la tempesta (altro “canto” strettamente connesso con questo, e anch’esso profondamente influenzato dall’evoluzione radicalmente pessimistica del pensiero leopardiano dopo le Operette morali) si presenta più dura. Negli ultimi versi (vv. 42-54) della Quiete l’autore si rivolge contro la natura crudele e contro le riflessioni filosofiche legate all'ottimismo spiritualistico, con un tono aspramente sarcastico:

O natura cortese,
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
è diletto fra noi 4

La conclusione presenta anch’essa un’allocuzione, non al “garzoncello” ma alla “umana prole”; qui però il tono disilluso del Sabato del villaggio diventa amara climax che definisce addirittura “beata” la condizione degli uomini che la morte libera da “ogni dolor”:

[...] Umana
prole cara agli eterni! assai felice
se respirar ti lice
d'alcun dolor: beata
se te d'ogni dolor morte risana 5.

1 G. Leopardi, Il sabato del villaggio, in Canti, a cura di N. Gallo e C. Garboli, Torino, Einaudi, 1993, p. 203, vv. 16-19.

2 Bucoliche, I, 82-83: “Già esce il fumo dai tetti delle case lontane e le ombre calano più lunghe dagli alti monti".

3 G. Leopardi, Zibaldone, 20 gennaio 1821.

4 G. Leopardi, La quiete dopo la tempesta, in Canti, cit., p. 199, vv. 42-46.

5 Ibidem.