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Effetto punta: spiegazione

Per chi viene sorpreso da lampi e fulmini in campo aperto la prima raccomandazione è: se non ci tieni a venire folgorato accucciati e sta’ lontano dagli alberi! Ma qual è la ragione per cui cercare riparo sotto un pino può essere fatale?

Un fulmine altro non è che il passaggio di carica elettrica dalla nube temporalesca al suolo, che avviene in modo repentino e violento: quella che si chiama scarica elettrica. Le cariche elettriche si possono spostare all’interno di materiali conduttori, provocando una corrente elettrica; il loro moto in materiali non conduttori (detti isolanti) è, invece, ostacolato: per far sì che una carica elettrica giunga da un corpo carico ad un altro passando attraverso un isolante è necessario vincere questa resistenza, il che costa molta energia.

 

Si potrebbe pensare che un pino (o un albero, un campanile, la torre Eiffel), essendo più alto del suolo di qualche decina di metri, presenti una qualche sorta di “facilitazione” alla caduta del fulmine, in relazione alla minore distanza che questo dovrebbe percorrere per giungere al suolo.

La questione però non è tanto dovuta al fatto che la distanza con il serbatoio di carica elettrica (la nube, che è carica di energia elettrostatica) viene ridotta e quindi la scarica elettrica facilitata. D’altronde le nubi temporalesche si trovano solitamente a ben più di un chilometro di altezza e fa ben poca differenza avvicinarci di qualche metro.

Piuttosto la spiegazione sta nell’effetto punta, il fenomeno per cui le cariche elettriche distribuite sulla superficie di un conduttore si concentrano nelle parti che presentano un raggio di curvatura minore, cioè quelle più appuntite.

Per capire un simile comportamento consideriamo un caso semplificato. Si prendano due sfere conduttrici cariche, di raggio differente: $r_1 < r_2$. Poniamole a contatto l’una con l’altra: come sappiamo, la carica si distribuirà su entrambe le superifici sferiche. Ciascuna di esse dunque possiederà, sulla propria superficie, una certa carica superficiale. Ci interessa ora scoprire quanta carica elettrica si è addensata su ciascuna sfera: chiamiamo $Q_1$ la carica sulla sfera di raggio minore, $r_1$, e $Q_2$ quella sulla sfera di raggio $r_2$.
Poste a contatto, le sfere vengono a costituire un unico corpo conduttore, il quale è un’unica superficie equipotenziale: il potenziale elettrico di ciascuna sfera quindi sarà il medesimo. Sia $V$ il potenziale elettrico. Ricordiamo che, per una carica $q$ distribuita su una sfera di raggio $r$, il potenziale elettrico raggiunto dalla sfera è $ V = \frac{1}{4 \pi \varepsilon_0}\frac{q}{r}$, ove $\varepsilon_0$ è la costante dielettrica del vuoto. Nel nostro caso, considerando le due sfere, avremo$$ V = \frac{1}{4 \pi \varepsilon_0}\frac{Q_1}{r_1} = \frac{1}{4 \pi \varepsilon_0}\frac{Q_2}{r_2}$$Da questa equivalenza ricaviamo che la carica distribuita su ciascuna delle due sfere è proporzionale al raggio della sfera su cui si distribuisce:$$ \frac{Q_1}{r_1} = \frac{Q_2}{r_2}$$Occorre ora introdurre il concetto di densità superficiale di carica. Se una carica elettrica $q$ è distribuita su di un’area $S$, si definisce la densità superficiale di carica, e si indica con il simbolo $\sigma$ (che si legge “sigma”), il rapporto tra la carica e l’area della superficie su cui è distribuita: con una formula,$$ \sigma = \frac{q}{S}$$Cerchiamo ora di capire qual è la densità della carica distribuita sulle nostre sfere. L’area $S$ di una sfera di raggio $r$ è data dalla formula $S = 4\pi r^2$; indicando con $\sigma_1$ e $\sigma_2$, rispettivamente, la densità di carica distribuita sulla superficie sferica di raggio $r_1$ ed $r_2$, otteniamo che$$ \sigma_1 = \frac{Q_1}{4 \pi r_1^2} \qquad \sigma_2 = \frac{Q_2}{4 \pi r_2^2}$$Ricordando che $\frac{Q_1}{r_1} = \frac{Q_2}{r_2}$, e chiamando questa quantità costante $k$, possiamo riscrivere le densità di carica come$$ \sigma_1 = \frac{k}{4 \pi} \frac{1}{r_1} \qquad \sigma_2 = \frac{k}{4 \pi} \frac{1}{r_2}$$Ricordando infine che $r_1 < r_2$, otteniamo che $\sigma_1 > \sigma_2$: concludiamo quindi che la densità di carica è maggiore in presenza del raggio minore.

Tutto questo ragionamento si può estendere a corpi di forma qualsiasi. Sebbene i calcoli siano molto più complicati, il risultato è comunque il medesimo: la carica elettrica, sulla superficie di un conduttore carico, si addensa maggiormente ove il raggio di curvatura è minore. In presenza di maggiori quantità di carica, il campo elettrico è più intenso e, di conseguenza, l’energia potenziale elettrostatica è a sua volta più grande: da queste zone con maggiori concentrazioni di energia partirà con molta più facilità una scarica elettrica.

È quindi questo il motivo per cui, circondati dalla furia degli elementi, è meglio ridurre al minimo il proprio raggio di curvatura acquattandosi a terra invece di indicare ammirati col nostro sottile dito lo spettacolo naturale cui stiamo assistendo.