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Petrarca, "Ascesa al Monte Ventoso": riassunto e commento

Introduzione

 

La raccolta di lettere di Francesco Petrarca, detta Familiari, comprende 350 lettere, suddivise in 24 libri, composte tra il 1350 e il 1366. Una delle più note è la prima lettera del quarto libro, indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro, monaco agostiano e teologo, che aveva regalato al poeta le Confessioni di Sant’Agostino.

In quest’epistola, l’autore ricorda (ricostruendola a posteriori e arricchendola di particolari e dettagli pensati ad arte) un’ascesa al Monte Ventoso 1, compiuta nel 1336 con il fratello Gherardo. La scalata diventa occasione per un esame intimo della propria morale e, al tempo stesso, un modo per tratteggiare una propria autobiografia ideale.

 

Riassunto e tematiche

 

L’allegoria della crisi spirituale: Francesco e Gherardo

 

In apertura della lettera, Petrarca confessa all’amico Dionigi di aver intrapreso la scalata del Ventoso sia per soddisfare una curiosità personale sia su suggestione di un precedente letterario, ovvero la salita di Filippo V di Macedonia (238 - 179 a.C.) sul monte Emo in Tessaglia, descritta da Tito Livio nella sua monumentale Ab urbe condita (Xl, XXI, 2).

La scalata diventa in realtà un’allegoria della crisi spirituale del poeta, e quindi il raggiungimento della cima può divenire esplicito simbolo della salvezza eterna. La descrizione geografica si unisce a quella psicologica, per rendere più chiara la comprensione del senso metaforico testo: Petrarca, che si accinge all’ascesa in compagnia del fratello Gherardo, parte nonostante gli avvertimenti di un anziano pastore sulla difficoltà del cammino, assai impervio e difficile. Subito si palesa una chiara differenza tra i due personaggi: se Gherardo sale rapidamente per la via più erta e veloce, Petrarca, per scansare la fatica, preferisce il sentiero più basso, attardandosi nella ricerca del sentiero più comodo e facile.

La lettura simbolica è immediata: Gherardo Petrarca, che prende i voti monacali nel 1343, sale senza difficoltà perché è libero dalla schiavitù dei beni materiali, mentre Francesco si riconosce ancora legato ai peccaminosi piaceri della Terra 2.

 

L’esame di coscienza e il modello delle “Confessioni”

 

L’esame di coscienza del poeta parte proprio dal riconoscimento delle proprie mancanze; quando vede salire agilmente il fratello, Petrarca ammette di essere “mollior” (ovvero, “assai debole e voluttuoso”) e che la via più facile lo affatica inutilmente, senza portargli reali vantaggi. È l’autore stesso a stabilire il parallelismo tra questa condizione concreta e la propria condizione morale; la difficoltà e il tormento interiore nel seguire la retta via verso la salvezza eterna è esplicitata grazie ad una citazione da Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.):

Sic est enim; amo, sed quod non amare amem, quod odisse cupiam; amo tamen, sed invitus, sed coactus, sed mestus et lugens. Et in me ipso versiculi illius famosissimi sententiam miser experior: “Odero, si potero; si non, invitus amabo” 3.

La crisi spirituale viene risolta una volta raggiunta la cima, quando di fronte alla bellezza naturale del paesaggio, Petrarca legge un passo delle Confessioni di Sant’Agostino, ch’egli ha con sé in una copia “tascabile” regalatagli proprio da Dionigi da Borgo San Sepolcro. Qui, con grande sorpresa, Petrarca trova la seguente “massima”:

Et eunt homines admirari alta montium et ingentes fluctus maris et latissimos lapsus flumininum et oceani ambitum et giros siderum, et reliquunt se ipsos 4.

Il brano, che invita gli uomini alla riflessione intima e a dare poco peso alle cose terrene, sembra adattarsi alla situazione in cui si trova Petrarca, che allora può affermare:

[...] librum clausi, iratus mihimet quod nunc etiam terrestria mirarer, qui iampridem ab ipsis gentium philosophis discere debuissem nihil preter animum esse mirabile, cui magno nihil est magnum 5.

La narrazione si conclude con la discesa a valle e la presa di coscienza da parte del poeta dell’importanza del cambiamento interiore e del grande impegno necessario non tanto per scalare il monte quanto per vincere “terrenis impulsibus appetitus”, ovvero i “desideri suscitati dalle passioni terrene”.

 

Le fonti e lo stile

 

La datazione e la finalità del testo

 

L’epistola del monte Ventoso è assai emblematica delle caratteristiche delle Familiares di Petrarca, sia per lo stile - colto, elaborato e ricchissimo di citazioni, com’è tipico delle Familiari - sia per il processo di rielaborazione cui l’autore sottopone i suoi testi. Se Petrarca afferma di aver scritto la lettera nel 1336 “raptim et ex tempore” (“in fretta e di getto”), in realtà è stato chiaramente dimostrato che si tratta di una costruzione letteraria, che mette volutamente insieme elementi interpretabili simbolicamente (la monacazione di Gherardo, le citazioni dai classici, l’ambientazione nel giorno di Venerdì Santo) per dare un’immagine ideale del percorso di maturazione interiore del poeta.

In particolare il filologo e critico letterario Giuseppe Billanovich ha proposto di datare l’epistola al 1352-1353 (successiva anche alla morte del destinatario Dionigi, avvenuta nel 1342), considerandola come una delle molte lettere fittizie con cui Petrarca costruisce la propria raccolta.

 

Il rapporto di Petrarca con i classici

 

Ciò che emerge dalla lettura della “ascesa al monte Ventoso” è la serie di auctoritates classiche e volgari con cui Petrarca intesse il suo cammino fisico e spirituale. Nel testo della lettera si susseguono rimandi intertestuali e citazioni esplicite di Livio, Virgilio (in particolare, le Bucoliche e le Georgiche), Ovidio (gli Amores e le Epistulae ex Ponto), dal Vangelo di Matteo e dai Salmi.

Tuttavia, le due fonti privilegiate sono San Paolo e Sant’Agostino; l’autore, anzi, si pone su una linea di continuità con i due autorevoli precursori con l’episodio della lettura delle Confessiones sulla cima del monte Ventoso. Infatti, anche Agostino confida (Confessioni, VIII, XII, 29) d’aver cambiato vita avendo letto un passo della Lettera ai Romani 6. In tal senso, l’ascesa alla montagna diventa un modo per tratteggiare un biografia ideale di sé come uomo e come intellettuale umanista, dimostrando come l’insegnamento dei classici sia vivo e presente e ricollegandosi al tema della spiritualizzazione delle passioni terrene che attraversa tutto il Canzoniere.

1 Il Mont Ventoux è un rilievo di 1.912 metri sul livello del mare, che si trova nella regione francese della Provenza, a circa una trentina di chilometri da Carpentras.

2 Si tenga poi presenta un altro dato significativo: l’ascesa è collocata al 26 aprile 1336, giorno di Venerdì Santo; si crea così un evidente parallelismo tra l’autore e Gesù Cristo durante la sua salita al Golgota.

3 Traduzione: “Del resto è così: amo ciò che non vorrei amare, anzi proprio ciò che vorrei odiare; l’amo, ma contro voglia, forzato, mesto e in lacrime. Io, misero, provo su me stesso i versi di quel gran poeta: «Desidero odiarti, potendo farlo; oppure, ti amerò a malincuore»”; il passo è tratto dagli Amores di Ovidio (III, II, 35).

4 Traduzione: E gli uomini vanno ad ammirare le alte cime dei monti, gli ingenti flutti del mare, gli estesissimi corsi dei fiumi, la distesa dell’oceano e i moti delle stelle, e trascurano se stessi”; il passo è tratto da Sant’Agostino, Confessioni, X, 8.

5 Traduzione: “[...] chiusi il libro, adirato con me stesso, poiché ancora ammiravo le cose terrestri, proprio io che già in precedenza avrei dovuto imparare dai filosofi pagani stessi che nulla è ammirabile ad eccezione dell’animo, alla cui grandezza non c’è niente di paragonabile”.

6 S. Paolo, Lettera ai Romani, 13, 13-14: “Non vivete nei festeggiamenti e nelle crapule, non nei postriboli impuri, non nelle gare e nelle contese, ma vivete nel Signore Gesù Cristo, né preoccupatevi del corpo per i vostri desideri”.