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Gavrilo Princip e l’attentato di Sarajevo a Francesco Ferdinando

Introduzione 

 

Il 28 giugno 1914 lo studente panslavista 1 serbo-bosniaco Gavrilo Princip spara e uccide l’erede al trono d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia mentre si trovano in visita a Sarajevo. Seppure Princip venga subito arrestato, l’avvenimento fa precipitare la già tesa situazione europea, costituendo la scintilla che dà il via alla Prima guerra mondiale

  

Le cause politiche dell’attentato 

 

Gavrilo Princip è un giovane serbo-bosniaco di umili origini che nel 1912 si reca a Belgrado per proseguire i suoi studi. È qui che entra in contatto con realtà come Norodna Odbrana (Difesa Nazionale), un gruppo nazionalista serbo, e in generale con l’ambiente antiaustriaco e ultranazionalista e diventa membro del gruppo rivoluzionario studentesco Giovane Bosnia. È in questi ambienti che viene pianificato l’assassinio dell’erede al trono d’Austria-Ungheria a Sarajevo. Nel progetto, insieme a Princip, sono coinvolti altri giovani serbo-bosniaci appartenenti a Giovane Bosnia, che però non sono altro che delle pedine nella mani dell’organizzazione Mano Nera (in serbo, Crna Ruka) e in particolare del suo capo Apis, ovvero il colonnello dell’esercito serbo Dragutin Dimitrijević, vera mente dell’operazione.

La Mano Nera è un gruppo nazionalista serbo nato nel 1911 sull’onda della radicalizzazione ideologica seguita ai fatti del 1908-1909, ovvero l’annessione della Bosnia da parte dell’Impero Austro-Ungarico, alla quale sia la Serbia che la Russia avevano provato ad opporsi senza successo. Lo scopo dell’organizzazione, che si muove in segreto, è l’unificazione degli slavi del sud, cominciando dall’annessione della Bosnia dove la minoranza serba era molto numerosa. In questo processo si rivendica per la Serbia un ruolo guida simile a quello avuto dal Piemonte nel Risorgimento italiano. Capo del gruppo è il colonnello Apis, membro dei servizi segreti come anche altri affiliati dell’organizzazione.

La Serbia in questi anni si è rafforzata grazie alle vittorie ottenute nelle due guerre balcaniche del 1912 e 1913, ampliando il suo territorio e consolidando il ruolo di guida per i popoli slavi dei Balcani. L’Austria-Ungheria rappresenta senza dubbio il maggiore nemico serbo ma, nonostante il coinvolgimento di membri dei servizi segreti di questo paese nella Mano Nera, non si può affermare con certezza la diretta implicazione del governo serbo e del primo ministro Nikola Pašić negli attentati di Sarajevo. Il primo ministro, infatti, era a conoscenza di un complotto in corso ed aveva allertato l’Austria-Ungheria: non era però stato ascoltato e in ogni caso non sembra sia mai stato a conoscenza né dell’obiettivo, né della reale gravità del complotto stesso. 

È quindi la Mano Nera ad organizzare nel dettaglio il piano per l’uccisione dell’arciduca. Francesco Ferdinando viene scelto come obiettivo perché non solo è l’erede al trono del maggiore nemico della Serbia, ma rappresenta anche il principale avversario al progetto di unificazione degli slavi del sud. L’arciduca infatti è promotore di una nuova idea di impero di tipo trialista, ovvero caratterizzato dal riconoscimento di una forte autonomia alla componente slava, idea che si poneva in concorrenza alla volontà serba di porsi come guida all’unione dei popoli slavi e in quanto tale si configurava come una minaccia agli occhi dei gruppi di irredentisti serbi

  

L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando 


Francesco Ferdinando e la moglie nel giugno del 1914 si trovano in Bosnia-Erzegovina per una visita ufficiale: passano in rassegna le truppe locali impegnate in un’esercitazione e successivamente, il 28 giugno 1914, giungono a Sarajevo. La data stessa scelta dall’arciduca, il giorno di San Vito, rappresenta una ricorrenza infelice: infatti in quel giorno, nel 1389, gli ottomani avevano pesantemente sconfitto l’esercito serbo, ponendo fine al loro dominio nei Balcani e creando le condizioni per l’annessione della Serbia all’Impero ottomano

A Sarajevo è quindi pronta ad entrare in azione la cellula composta dai tre giovani, addestrati e fatti entrare clandestinamente in Bosnia dalla Mano Nera, e da altri quattro uomini, reclutati dalla stessa organizzazione tra i serbo-bosniaci di Sarajevo. I cospiratori si incontrano nella capitale bosniaca: ognuno di loro è armato di bombe a mano e revolver e possiede una dose di cianuro: una volta commesso l’attentato terroristico è infatti previsto che i congiurati si uccidano per non far trapelare nulla sulle responsabilità nel complotto. 

Il giorno stabilito i membri del gruppo si spargono per le vie di Sarajevo nelle quali è previsto il passaggio del corteo di auto tra cui si trova quella dell’arciduca. Verso del 10 del mattino il convoglio di auto, tutte con la capote abbassata, passa sul lungo fiume per dirigersi verso il municipio. Il primo dei congiurati che si trova davanti all’auto dell’arciduca viene preso dal panico e non agisce, mentre il secondo, Nedeljko Čabrinović, lancia una bomba a mano che rimbalza e finisce per colpire la vettura successiva. Un funzionario che si trova in questa automobile e alcuni passanti rimangono feriti, mentre Francesco Ferdinando e la moglie vengono portati via velocemente in direzione del municipio, togliendo così agli altri congiurati l’opportunità di entrare in azione. Intanto Čabrinović prova a togliersi la vita gettandosi nel fiume, ma il livello troppo basso dell’acqua lo salva; il terrorista viene quindi catturato dalle forze dell’ordine. 

L’arciduca si sofferma circa un’ora in municipio e poi chiede di poter andare a trovare i feriti. Nonostante tutto, le misure di sicurezza non vengono rafforzate: le auto ripartono alla volta dell’ospedale e, come unica azione cautelativa, si decide di compiere un percorso più breve rispetto a quello precedentemente stabilito, ma nessuno pensa di comunicarlo agli autisti. Così, quando il corteo è per la seconda volta sul lungo fiume, la macchina dell’arciduca svolta per seguire il percorso iniziale: l’autista viene fermato e redarguito, e si accinge quindi ad invertire la marcia. È proprio in questo momento che Princip, trovandosi fortunosamente proprio in prossimità dell’auto, ha l’opportunità di sparare all’arciduca e alla moglie da una distanza ravvicinata. Uditi gli spari l’autista riparte verso la residenza del governatore austroungarico di Bosnia, ma vi arriva quando i due reali sono già morti

Intanto in strada la gente aggredisce e cerca di linciare Princip, che viene salvato solo dall’intervento della polizia. In pochi giorni tutti i sette membri operativi del complotto vengono arrestati e condannati al carcere a vita in quanto ancora minorenni; solo Danilo Ilić, il congiurato che si era occupato del coordinamento dei due gruppi di giovani, viene condannato a morte. I mandanti di questa operazione invece non vengono invece catturati: tuttavia, l’appartenenza dei giovani al gruppo della Giovane Serbia basta all’Austria-Ungheria come pretesto per mandare alla Serbia l’ultimatum che, di lì a breve, scatenerà la guerra in tutta Europa.

1 Il panslavismo movimento nato nel corso dell’ottocento che promulga la creazione di uno Stato nazionale dei popoli slavi.