5'

Verga, "Prefazione" a "Eva": sintesi e commento

Eva, romanzo verghiano pubblicato dall’editore Treves nel 1873 ma iniziato ben quattro anni prima, non è solo il romanzo della drammatica passione di Enrico Lanti per la ballerina che dà il titolo all’opera, ma anche un’occasione per lo scrittore siciliano per definire con nettezza alcuni punti fondamentali della poetica verista (che anche le novelle di Vita dei campi contribuiranno a sviluppare) che si concretizzerà nel decennio successivo nelle sue opere maggiori.

 

La vicenda di Eva resta ancora sostanzialmente legata ad un immaginario romantico, vicino al clima della Scapigliatura milanese di quegli anni: il protagonista, Enrico, pittore siciliano a Firenze su cui probabilmente il giovane Verga proietta le proprie ansie di successo letterario, si innamora perdutamente di Eva, una bellissima e spregiudicata ballerina di successo. Eva rinuncia alla fama nel mondo dello spettacolo per seguire Enrico, ma il loro sogno d’amore, travolgente e romantico, deve fare i conti con la realtà quotidiana: simbolo di tutto questo è proprio la figura della "ballerina", che rappresenta il modo in cui l'arte, nel mondo moderno, è costretta a piegarsi ai gusti poco raffinati del grande pubblico. La passione di Enrico ed Eva entra progressivamente in crisi, finché la donna decide di abbandonare il protagonista, che torna ad inseguire il proprio sogno di affermarsi come pittore. Quando i due si incontrano nuovamente, Enrico, desideroso di riconquistare la propria donna, uccide in duello il nuovo compagno di lei ma, respinto da Eva e ormai minato dalla tisi, non può che rifugiarsi presso la casa familiare, in Sicilia, dove morirà.


Il tema degli esiti tragici della passione amorosa rimane costante, rispetto a Storia di una capinera (e proseguirà anche negli altri romanzi di quegli anni, Eros e Tigre reale), ma più interessante appare, nella breve Prefazione che accompagna l’opera, la posizione che l’autore assume su temi e questioni che caratterizzeranno di qui in poi la sua produzione. Cruciale che, già nella prima riga, la narrazione sia definita come “vera, com’è stata o come potrebbe essere, senza rettorica e senza ipocrisie” 1; da qui Verga infatti muove per proclamare il valore conoscitivo della propria attività di romanziere, collocata all’interno di una società moderna ed perbenista, che l’autore sferza con salace ironia:

Voi ci troverete [nel mio romanzo] qualche cosa di voi, che vi appartiene, ch’è il frutto delle vostre passioni, e se sentite di dover chiudere il libro allorché si avvicina vostra figlia - voi che non osate scoprirvi il seno dinanzi a lei se non alla presenza di duemila spettatori e alla luce del gas, o voi che, pur lacerando i guanti nell’applaudire le ballerine, avete il buon senso di supporre che ella non scorga scintillare l’ardore dei vostri desideri nelle lenti del vostro occhialetto - tanto meglio per voi, che rispettate ancora, qualche cosa.

In gioco per Verga è allora la missione dell’arte, in un frangente storico in cui essa, inserita all’interno del sistema economico e produttivo (o, per dirla con lo scrittore: “in un’atmosfera di Banche ed di Imprese industriali”), può anche assegnare allo scrittore fama, onori e laute ricompense monetarie. È però inutile che la classe borghese protesti scandalizzata contro questo “lusso da scioperati” (è così che Verga, con amara consapevolezza, definisce il frutto del proprio impegno); Eva non è altro che la “manifestazione” dei gusti dominanti del pubblico, e se in tutto questo c’è qualcosa che spiace al lettore, chi scrive non può farsene carico. Anzi, le righe conclusive della Prefazione, quasi anticipando la ricerca verista delle conseguenze sconosciute e drammatiche del Progresso 2 suonano come un perentorio atto d’accusa contro quello stesso mondo da cui Verga si aspettava un riconoscimento sociale e letterario:

Non accusate l’arte, che ha il solo torto di avere più cuore di voi, e di piangere per voi i dolori dei vostri piaceri. Non predicate la moralità, voi che ne avete soltanto per chiudere gli occhi sullo spettacolo delle miserie che create, - voi che vi meravigliate come altri possa lasciare il cuore e l’onore là dove voi non lasciate che la borsa, - voi che fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini inverniciati dove folleggiano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti, che l’arte raccoglie e che vi getta in faccia.

È da qui che lo sguardo di Verga sul mondo comincia a complicarsi e a stratificarsi; ed è sempre da qui che, sottotraccia, prende corpo l’idea di proiettare in un mondo “altro” (quale quello della Sicilia rurale de I Malavoglia) l’analisi disincantata del mondo con gli strumenti della parola romanzesca.

1 Comincia insomma ad affacciarsi l'idea che una narrazione - definita qui "vera" o comunque verosimile, possa portare un suo contributo di analisi sulla realtà stessa.

2 In tal senso, già da Eva si possono rintracciare indizi del rapporto tra Verga e il Positivismo, che appunto individuava nel Progresso, sospinto dalle scienze esatte, la soluzione di tutti i mali della società: se in questa prima fase lo scrittore sottolinea ancora, da una posizione tardo-romantica, l'antitesi tra l'artista-genio e la rincorsa ai beni materiali da parte della società, più avanti, come teorizzato nella Prefazione all'Amante di Gramigna, sarà proprio l'arte letteraria, fattasi impersonale, a provare e produrre dei "documenti umani" che abbiano la stessa oggettività degli studi scientifici.