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Guido Guinizzelli, "Al cor gentile rempaira sempre amore": parafrasi e commento

Composta da sei stanze di dieci versi ciascuna, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli è a tutti gli effetti una “canzone dottrinaria”, in quanto le argomentazioni dell'autore si discostano dal genere propriamente lirico per avvicinarsi ai sistemi della riflessione filosofica. È infatti costante nella canzone l'utilizzo retorico dell'"analogia", che alimenta la riflessione intorno all'argomento centrale del cuore nobile (“il cor gentil”). La fonte più importante di questo concetto cardine dello Stilnovo è la composizione Chantar no pot gaires valer del trovatore Bernart de Ventadorn, per il quale la nobiltà di cuore genera come necessario il “talento d'amore”, e cioè si trova alla base della capacità di provare amore e di metterlo in versi.

 

Guinizzelli raccoglie dunque dal repertorio provenzale il suo argomento e lo ripropone in veste filosofico-dottrinale. Nella prima stanza di Al cor gentil, l'autore dichiara che “nel cuore nobile dimora sempre amore, come l'uccello abita i boschi e le piante, e l'amore non fu creato dalla natura prima del cuore nobile, né il cuore nobile fu creato prima di amore; allo stesso modo il sole e la luce furono creati insieme, né venne prima il sole, e perciò amore si accende nella nobiltà di cuore come il calore deriva dal chiarore del fuoco”, (vv. 1-10). Nelle prime stanze ogni riferimento al “cor gentil” si accompagna a paragoni col mondo fisico e naturale. Con la tecnica della ripresa (coblas capfinidas) Guinizzelli recupera nella seconda stanza il concetto del fuoco, ricorrendo questa volta a una metafora: “il fuoco d'amore attecchisce nel cuore nobile, come la virtù nella pietra preziosa, la quale non discende dalla stella se il sole (in precedenza) non la rende pura; dopo che il sole ha estratto dalla pietra ciò che la rende impura, la stella le da valore: allo stesso modo, il cuore, che dalla natura è reso eletto, puro e nobile, si innamora di una donna come se questa fosse la sua stella” (vv. 11-20). Nella terza stanza proseguono poi i paragoni naturali, tra cui “amore prende dimora nel cuore nobile come il luogo a lui proprio, tale e quale il diamante dimora nella miniera di ferro” (vv. 28-30). La quarta stanza presenta invece la tradizionale polemica contro la nobiltà di sangue (un tema distintivo per i poeti di estrazione borghese): con un'argomentazione dimostrativa, Guinizzelli spiega perché il cuore nobile non si genera per diritto ereditario. Nelle ultime due stanze il tono argomentativo si innalza a dottrine metafisico-teologiche: la donna risplende negli occhi del suo nobile fedele come Dio nelle sostanze angeliche, e per questo l'innamorato non può che obbedirle. Ma Dio chiede al fedele di rendergli conto di questa eresia, e questi si giustifica spiegando che ella ha la sembianza di un angelo e che, credendola del Suo regno, non commette alcuna colpa nell'amarla.