2'

Guittone d'Arezzo, "Ahi lasso, or è stagion de doler tanto": parafrasi e commento

Guittone d'Arezzo scrive la canzone Ahi lasso, or è stagion de doler tanto in occasione della battaglia di Montaperti. Il 4 settembre 1260, con l'aiuto delle truppe del re Manfredi di Sicilia, i ghibellini fiorentini sconfiggono i guelfi sotto la guida di Farinata degli Uberti: il componimento di Guittone è innanzitutto un testo di denuncia della violenza tra fazioni cittadine ed è una poesia politica che contribuisce a fissare le regole della canzone morale.

 

Per sostenere il suo stile alto, Guittone ricorre spesso a strumenti retorici quali l'interiezione, l'interrogazione e il sarcasmo, suoi elementi tipici. La canzone è costituita da sei stanze e un congedo, e presenta delle riprese (coblas capfinidas) per rendere più scorrevole il discorso. Si ritrovano dunque: “altezza/Altezza”; “leone/Leone”; “conquise/Conquis'è”; “folle/Folle”; “monete/Monete”, tra la fine delle precedenti e l'inizio delle nuove stanze. Le rime si articolano con due piedi simmetrici (ABBA, CDDC) e una coda più complessa (EFGg FfE). Per quanto riguarda il tema, la prima stanza è occupata per intero dal compianto per le difficoltà del presente e il crollo della potenza fiorentina. La seconda stanza, già anticipata dal verso 6 (con “e l'onorato antico uso romano”), contiene una rievocazione del passato in cui Firenze viene paragonata, per prestigio e stile, a Roma imperiale: “ed esercitava un tale ruolo per diritto, perché non perseguiva il suo tornaconto più della giustizia e della pace, e per questo motivo progredì così tanto che non esisteva angolo al mondo in cui non risuonasse la fama del Marzocco", e cioè il leone con lo scudo gigliato, emblema di Firenze. (Vv. 24-30). La terza stanza prosegue con la polemica contro i ghibellini: "Dio fa dono della guarigione ai suoi figli (e cioè dona a Firenze la pace tra fazioni), ma questi tornano alle armi per colpa dei ghibellini (nel 1258), e con la battaglia di Montaperti la città si fraziona senza rimedio". (Vv. 41-45). La quarta e la quinta stanza proseguono con l'elenco delle offese arrecate dalla fazione imperiale, e dal verso 69 della quinta l'autore introduce una lunga antifrasi per denunciare il grave declino dell'egemonia fiorentina. Nella sesta stanza rovescia il racconto dei fatti per mettere in risalto la serietà della crisi in cui Firenze è caduta, e suggella nei sette versi di congedo il proprio rimprovero: con alto sarcasmo deride i faziosi mentre elenca secondo logiche rovesciate gli esiti delle lotte appena trascorse.