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Integrale curvilineo e curve matematiche

Lo scopo di questa lezione è definire l’integrale di linea, o integrale lungo una curva, di una funzione reale di più variabili reali. I protagonisti saranno quindi due: in primo luogo, le funzioni di più variabili reali, della forma $f: \mathbb{R}^n \longrightarrow \mathbb{R} $; in secondo luogo, ma non per importanza, le curve. In questo contenuto ci concentreremo sulle seconde.

Si dice curva (parametrizzata) in $\mathbb{R}^n$ una funzione$$\phi: \ [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n$$ove $[a,b] \subset \mathbb{R}$ è un opportuno intervallo reale chiuso limitato, che sia continua sul suo insieme di definizione. Siccome il suo codominio è $\mathbb{R}^n$, $\phi$ avrà $n$ componenti $\phi_1$, $\phi_2$, $\dots$, $\phi_n$. 
Una curva associa a ciascun valore di un parametro in $[a,b]$, solitamente indicato con la lettera $t$, un punto dello spazio $P = \phi (t) = \left( \phi_1(t), \dots, \phi_n(t) \right) \in \mathbb{R}^n$.


L’immagine sotto $\phi$ dell’intero intervallo $[a,b]$ si dice sostegno supporto della curva $\phi$: è proprio questo che noi intendiamo, ususalmente, come “curva”, cioè una linea, in generale non retta, tracciata nello spazio. Una curva inoltre si dice: 

  • Semplice se è iniettiva su $(a,b)$ (da notare che, in questo caso, l’intervallo è aperto). 
  • Chiusa se $\phi (a) = \phi (b)$. 
  • Di regolarità $\mathcal{C}^k$ se la funzione $\phi$ è a sua volta $\mathcal{C}^k$. Ricordando quanto detto per le funzioni a valori in $\mathbb{R}^n$, una tale funzione è $\mathcal{C}^k$ se e solo se tutte le sue componenti lo sono. 
  • Regolare (in generale) se $\phi’$ è sempre un vettore non nullo: $\phi’$ è il vettore formato dalle derivate delle componenti di $\phi$, ossia se $\phi’ = ( \phi’_1 , \dots, \phi’_n)$; una curva è regolare, quindi, se $\phi’(t) \neq 0 \ \forall t \in [a,b] $.

Se pensiamo ad una curva, nel senso comune del termine, è facile immaginarsi la retta tangente in ciascun punto alla curva. Ricordiamoci ad esempio le rette tangenti alle circonferenze, alle parabole e in generale al grafico di una funzione: siamo in grado di descriverle e darne l’equazione.
Se la curva è sufficientemente regolare, possiamo dare una descrizione analitica della retta tangete alla curva stessa, in ciascun punto. Prendiamo in considerazione una curva $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n$, che sia $\mathcal{C}^1$, semplice e non chiusa. Prendiamo inoltre un punto $P$ sul suo sostegno, e sia $t_P \in [a,b]$ l’unico valore per cui $\phi (t) = P$ ($t_P$ è unico perchè $\phi$ è semplice e non chiusa). Consideriamo la derivata della curva, $\phi’$, cioè il vettore formato dalle derivate delle componenti. Se $\phi’ (t_P)$ è non nullo, come vettore, cioè se almeno una delle sue componenti non è uguale a $0$, allora possiamo definire la retta tangente alla curva $\phi$ nel punto $P$ come quella descritta, in $\mathbb{R}^n$, dalle equazioni parametriche$$ \begin{cases} x_1 = \phi_1 (t_P) + s \frac{\phi’_1(t_P)}{\left \| \phi’(t_P) \right \|} \\ \vdots \\ x_n = \phi_n (t_P) + s \frac{\phi’_n(t_P)}{\left \| \phi’(t_P) \right \|} \end{cases} $$Equivalentemente, usando una notazione vettoriale, possiamo scrivere $$ \underline{x} = \phi(t_P) + s \frac{\phi’(t_P)}{\left \| \phi’(t_P) \right \|} $$L’espressione $\frac{\phi’(t_P)}{\left \| \phi’(t_P) \right \|}$ sta ad indicare il versore tangente alla curva nel punto $P$, ossia il vettore tangente alla curva di norma $1$.

Un aspetto fondamentale delle curve, così come le abbiamo definite, è la loro lunghezza. Siccome il sostegno di una curva è un sottoinsieme di $\mathbb{R}^n$, potrebbe venire in mente di calcolarne la lunghezza mediante un integrale multiplo: tutti questi tentativi sono destinati a fallire, poichè le curve all’interno di $\mathbb{R}^n$ per $n \geq 2$ sono sottoinsiemi (quasi tutti) di misura nulla, e dunque otterremmo curve lunghe $0$, cosa che sicuramente non è vera  per la maggior parte delle curve. L’oridinario integrale multiplo di Riemann quindi non è utilizzabile
Ma possiamo sfruttare l’idea sottostante alla definizione dell’integrale per giungere ad uno strumento che ci permetta di calcolare la lunghezza di una curva, così come la intendiamo. L’integrale di Riemann, infatti, procede per approssimazioni, dall’alto e dal basso, del valore di una determinata area; quando queste approssimazioni possono essere migliorate a piacimento, è possibile calcolare l’area in questione.
In maniera del tutto analoga, procediamo per approssimazioni. Scegliamo un po’ di valori del parametro $t \in [a,b]$, diciamo $a = t_0 < t_1 < \dots < t_n = b$, e andiamo a considerare i punti corrispondenti sul sostegno della curva, ossia $P_0 = \phi (t_0), \dots, P_n = \phi (t_n)$; colleghiamo quindi questi punti con una spezzata poligonale, e calcoliamo la lunghezza di ciascun segmento di questa spezzata: sommando tutte queste lunghezze, otterremo un approssimazione (seppur grossolana) della lunghezza della curva $\phi$.

Chiamando $\mathcal{P}$ la partizione $t_0, t_1, \dots, t_n$ dell’intervallo $[a,b]$ selezionata, definiamo la somma di queste lunghezze variazione della curva $\phi$ rispetto alla partizione $\mathcal{P}$: la indichiamo con il simbolo $V(\phi, \mathcal{P})$. Ricordiamo che le lunghezze dei segmenti, in $\mathbb{R}^n$, si calcolano mediante l’usuale norma di vettori: possiamo quindi asserire che$$ V(\phi, \mathcal{P}) = \sum_{j = 1}^n \left \| \phi(t_j) - \phi(t_{j-1}) \right \|$$Quel che ora vogliamo è che questo numero approssimi sempre meglioal variare della partizione $\mathcal{P}$ di $[a,b]$, la lunghezza di $\phi$. La condizione che poniamo è quindi la seguente: richiediamo che al variare della partizione $\mathcal{P}$, l’estremo superiore delle variazioni di $\phi$ sia sempre finito, ossia, in simboli, $$\text{sup}_{\mathcal{P}} V (\phi, \mathcal{P}) < + \infty$$Se questo accade, diciamo che la curva $\phi$ è rettificalbile (perchè la posso approssimare “bene” con dei segmenti di retta), e chiamiamo quell’estremo superiore lunghezza della curva $\phi$. La lunghezza di una curva verrà indicata con $L(\phi)$.

Abbiamo una proposizione che ci garantisce una condizione sufficiente per la rettificabilità di una curva: 

Sia $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n$ una curva di regolarità $\mathcal{C}^1$ su $[a,b]$, ossia richiediamo che le derivate delle sue componenti, $\phi’_1, \dots, \phi’_n$ siano continue sull’intervallo $[a,b]$. Allora $\phi$ è rettificalbile. 

Ma come si calcola la lunghezza di una curva? Per fortuna, anche in questo caso sussite un teorema che ci permette di calcolare la lunghezza di una curva

Sia $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n$ una curva di regolarità $\mathcal{C}^1$ sull’intervallo $[a,b]$. Allora $ L(\phi) $ si può calcolare come$$L(\phi) = \int_a^b \left \| \phi’ (t) \right \| dt $$ 

La dimostrazione di questo teorema è piuttosto tecnica ed esula dagli scopi di questo articolo. Facciamo però notare che l’integrale che vi compare è un integrale reale di una funzione reale di una variabile reale: difatti, sebbene $\phi’ (t)$ sia una funzione da $\mathbb{R}$ ad $\mathbb{R}^n$, la norma $\| \ \|$ di un vettore è un numero reale, e dunque $\| \phi (t) \|$ è, a tutti gli effetti una fuznione reale di una variabile reale. L’integrale è quindi l’ordinario integrale di Riemann, per il quale possiamo usare tutte le tecniche che conosciamo, come l’integrazione per parti o il teorema fondamentale del calcolo integrale: possiamo calcolarlo direttamente mediante primitive, quindi.

Facciamo subito un esempio per convincerci che quanto abbiamo detto abbia un senso: cerchiamo di calcolare la lunghezza della curva $\phi: [0,2\pi] \rightarrow \mathbb{R}^2$ data dall’equazione $\phi(t) = \left( R \cos(t), R \sin(t) \right)$: il suo sostegno è una circonferenza di raggio $R$ centrata nell’origine, come mostrato dalla figura seguente: 

Se tutto va bene, dovremmo trovare che la lunghezza di questa curva, così come l’abbiamo definita, è $2 \pi R$, cioè la lunghezza della circonferenza.
Controlliamo innanzitutto che la curva $\phi$ sia rettificabile: siccome $\phi’ = (- R \sin (t), R \cos (t))$, abbiamo che $\phi \in \mathcal{C}^1([0,2\pi])$, e possiamo garantire, grazie alla proposizione precendente, che la curva sia rettificabile. Procediamo a calcolarne la lunghezza con la formula appena illustrata:$$ L(\phi) = \int_0^{2\pi}\left \| \phi’ (t) \right \| dt = \int_0^{2\pi} \left\| \left( \begin{array}{c} - R \sin (t) \\ R \cos (t) \end{array}{c} \right) \right\| dt = \int_0^{2\pi} \sqrt{R^2 \sin^2 (t) + R^2 \cos^2 (t)} dt = \int_0^{2\pi} R dt = R \ 2\pi$$Proprio quello che volevamo! Si faccia attenzione che nel calcolo dell’integrale abbiamo l’identità trigonometrica fondamentale

Non è detto però che l’integrale $\int \| \phi’ (t) \| dt$ sia affatto facile da calcolare: prendiamo come esempio la curva $\phi: [0,1] \rightarrow \mathbb{R}^2$ parametrizzata nel piano dall’equazione $\phi(t) = ( t , \frac{1}{2}t^2)$. Il suo sostegno è una parte del grafico della funzione $f(x) = \frac{1}{2} x^2$:

Il vettore tangente $\phi’$ ha componenti $\phi’(t) = (1, t)$, che è regolarissimo; quindi la curva è rettificabile. Ma per calcolare la sua lunghezza occorre risolvere l’integrale $\int_0^1 \sqrt{1 + t^2} dt$, che non è di semplice risoluzione (infatti coinvolge integrazione per sostituzione mediante funzioni iperboliche). 

Ora che abbiamo conosciuto tutti i protagonisti, possiamo definire l’integrale di linea di una funzione reale di più variabili reali

Sia $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n$ una curva, di regolarità $\mathcal{C}^1$, e sia inoltre $f: \mathbb{R}^n \longrightarrow \mathbb{R}$ una funzione reale di $n$ variabili reali, tali per cui il sostegno di $\phi$ sia contenuto all’interno del dominio di $f$. Allora definiamo l’integrale curvilineo di $f$ lungo $\phi$, come l’integrale$$ \int_a^b f ( \phi (t))\left \| \phi’ (t) \right \| \ dt$$Questo integrale si indica, di solito, con il seguente simbolo:$$\int_{\phi} f \ ds$$Anche in questo caso, facciamo notare che l’integrale $\int_\phi f \ ds$ è un usuale integrale di Riemann: $\| \phi’ (t) \|$ è un numero reale; $\phi(t)$ è un punto di $\mathbb{R}^n$, e $f$ associa a punti di $\mathbb{R}^n$ valori reali: partiamo da $[a,b]$, finiamo in $\mathbb{R}^n$ mediante la curva, e ritorniamo in $\mathbb{R}$ grazie ad $f$. 

Per fare un esempio, cerchiamo di calcolare l’integrale di linea della funzione $f: \mathbb{R}^3 \rightarrow \mathbb{R}$, definita da $f(x,y,z) = x^2 + y^2 + z^2$, lungo la curva $\phi: [- \pi, \pi] \rightarrow \mathbb{R}^3$ di equazione $\phi(t) = \left( \cos (t) , \sin(t), t \right)$. 
Innanzitutto scopriamo chi è $\phi’$: derivando otteniamo $\phi’(t) = \left( -\sin (t) , \cos(t), 1 \right)$, un vettore di $\mathbb{R}^3$ di norma $\sqrt{(-\sin (t))^2 + (\cos(t))^2 + 1} = \sqrt{2}$. Poi ricaviamo l’espressione di $f (\phi(t))$: abbiamo che $f(\phi(t)) = (\cos (t))^2 + (\sin(t))^2 + t^2 = 1 +t^2$. Siamo pronti per calcolare $\int_\phi f \ ds$: $$ \int_\phi f \ ds = \int_{-\pi}^{\pi} \sqrt{2} \left( 1 + t^2 \right) \ dt = \sqrt{2} \left[ t + \frac{1}{3}t^3\right]_{t= -\pi}^{t= \pi} = 2\sqrt{2} \pi \left( 1 + \frac{\pi^2}{3}\right)$$ 

Però c’è qualcosa che non torna: perchè nell’integrale di linea di indica un “$ds$”? E poi, che fine ha fatto l’intervallo $[a,b]$? Cerchiamo di chiarire questi due aspetti. 

Ora è necessario affrontare una questione alquanto spinosa, che non è possibile rimandare oltre. Abbiamo definito una curva come una funzione $\phi: [a,b] \rightarrow \mathbb{R}^n$; ma in realtà, quello che noi intendiamo come curva è il sostegno di una curva. C’è quindi un po’ di confusione a riguardo. Vorremmo avere uno strumento che stabilisca quando due curve sono in qualche modo “equivalenti” tra loro, nel senso che rappresentano la stessa “curva”, la stessa “linea storta nello spazio”, e non di una funzione $[a,b] \rightarrow \mathbb{R}^n$. Inoltre, vorremmo anche che lungo curve “equivalenti” l’integrale curvilineo di una determinata funzione rimanesse lo stesso. Urge quindi una definizione. 

Siano $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n $ e $\psi: [c,d] \longrightarrow \mathbb{R}^n$ due curve di regolarità $\mathcal{C}^1$ sui rispettivi domini. Si dice che $\phi$ $\psi$ sono curve equivalenti se esiste una funzione $\tau: [a,b] \rightarrow [c,d]$ con le seguenti caratteristiche: 

  1. $\tau$ è continuaderivabile con derivata continua sempre diversa da zero
  2. Come funzione composta, vale $\phi = \psi \circ \tau$, ovvero per ciascun valore del parametro $t \in [a,b]$ è $\phi (t) = \psi (\tau (t))$. 

Qualora esista, $\tau$ viene detto cambiamento ammissibile di parametro. Talvolta $\psi$ si dice anche riparametrizzazione di $\phi$. Per due curve, essere equivalenti è una relazione di equivalenza.

Con questa definizione, due curve equivalenti hanno per forza lo stesso sostegno. Ma ci sono curve con il medesimo sostegno che non sono tra loro equivalenti
Ad esempio, consideriamo le tre curve $\phi$, $\chi$ e $\psi$, definite tutte dall’intervallo $[0,1]$ ad $\mathbb{R}^2$, mediante le seguenti espressioni:$$\phi(t) = \left( \begin{array}{c} t \\ t \end{array} \right) \quad \chi(t) = \left( \begin{array}{c} t^2 \\ t^2 \end{array} \right) \quad \psi(t) = \left( \begin{array}{c} t^3 \\ t^3 \end{array} \right) $$Queste tre curve hanno tutte lo stesso sostegno: il segmento di estremi i punti $(0;0)$ e $(1;1)$. Tuttavia, per passare da $\phi$ a $\chi$, abbiamo bisogno di $\tau(t) = \sqrt{t}$: solo in questo modo, infatti, $\chi\left(\tau(t)\right) = \phi(t)$. Ma la funzione $\tau(t) = \sqrt{t}$, definita e continua sull’intervallo $[0,1]$, non è derivabile per $t=0$. Allo stesso modo, un cambiamento di parametro tra $\phi$ e $\psi$ implicherebbe una funzione $\tau(t) = t^{\frac{1}{3}}$, non derivabile per $t=0$. Invece, $\psi$ e $\chi$ non sono equivalenti per un’altra ragione: infatti, se $\psi(t) = \chi(\tau(t))$, necessariamente $\tau(t) = t^{\frac{3}{2}}$, la cui derivata, $\tau’(t) = \frac{3}{2}t^{\frac{1}{2}}$, vale $0$ per $t=0$. Quindi queste tre curve, che hanno lo stesso sostegno e delle espressioni quasi innocue, non sono equivalenti tra di loro, nel senso della definizione precedente. 

Perchè le curve equivalenti sono importanti? Innanzitutto, sussiste il seguente risultato:

Siano $\phi$ e $\psi$ due curve equivalenti. Allora esse hanno la medesima lunghezza (ossia $L(\phi) = L( \psi)$) e comunque presa una funzione $f$ tale per cui esista $\int_\phi f \ ds$, gli integrali curvilinei di $f$ lungo $\phi$ e $\psi$ hanno il medesimo valore (cioè $\int_\phi f \ ds = \int_\psi f \ ds$).

Quindi lungo curve equivalenti le funzioni hanno il medesimo integrale di linea! Dal punto di vista degli integrali, almeno, curve equivalenti sono la “stessa” curva.

Veniamo ora a rispondere a una delle domande che ci siamo posti all’inizio: chi è “$ds$”? Data una curva $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n $ di regolarità $\mathcal{C}^1$, definiamo il suo parametro di lunghezza d’arco $s$ come$$ s(t) = \int_a^t \left \| \phi’ (u) \right \| \ du $$Notiamo che $s: [a,b] \rightarrow [0, L(\phi)]$, ed $s(t)$ misura proprio la lunghezza di $\phi$, dal punto $\phi(a)$ sino al punto $\phi(t)$. 

Si può facilmente mostrare che, per una curva $\phi$, $s$ è un cambiamento ammissibile di parametro se la curva $\phi$ non passa mai dall’origine di $\mathbb{R}^n$, ossia se $\phi (t) \neq 0 $ per ogni $ t \in [a,b]$. 
Che particolarità hanno le curve parametrizzate secondo la propria lunghezza d’arco? Sfruttando il teorema per il cambio di variabili sotto segno di integrale, si può dimostrare, detto $s$ il parametro lunghezza d’arco di $\phi$, che$$ \int_\phi f \ ds = \int_0^{L(\phi)} f(\phi(s)) ds$$Da questa formula deriva proprio la scelta per indicare un integrale curvilineo. Come si può notare dalla precedente formula, a differenza dell’integrale curvilineo che abbiamo definito, sembrerebbe mancare la parte “$\| \phi’ \|$”. In realtà non manca: infatti, se parametrizzata secondo la lunghezza d’arcoil vettore tangente $ \phi’ $ ha sempre norma pari a $1$. 
 
Ed ora risponderemo all’ultima questione: curve con lo stesso sostegno sono equivalenti? Se così fosse, l’integrale curvilineo dipenderebbe soltanto dalla forma di una curva, e non da come questa viene percorsa: la scrittura $\int_\phi f \ ds$ acquisterebbe senso compiuto, intendendo con “$\phi$” la “forma” di $\phi$, cioè il suo sostegno, e non sua sua particolare parametrizzazione. 
Come spesso accade in matematica, purtroppo la risposta a questa domanda è, in generale, no. Lo abbiamo visto in precedenza: le tre curve parametrizzate da $(t,t)$, $(t^2,t^2)$ e $(t^3,t^3)$ rispettivamente, tutte definite sull’intervallo $[0,1]$, hanno medesimo sostegno ma non sono equivalenti. Come possiamo fare? 

C’è un ultimo risultato che riguarda quelle che all’inizio abbiamo definito come curve regolari. La seguente proposizione chiude definitivamente la questione:

Siano $\phi: [a,b] \longrightarrow \mathbb{R}^n $ e $\psi: [c,d] \longrightarrow \mathbb{R}^n$ due curve semplici, regolari e con il medesimo sostegno. Allora $\phi$ e $\psi$ sono curve equivalenti.

La condizione aggiuntiva di regolarità garantisce che curve con lo stesso sostegno siano equivalenti. Questo ci suggerisce di controllare, ogni volta che andiamo ad eseguire degli esercizi, che le curve in questione siano regolari.