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Pascoli, "La grande proletaria si è mossa": testo e commento

La grande proletaria si è mossa è un discorso pronunciato da Giovanni Pascoli nel novembre 1911 a Barga (Lucca), in occasione della campagna di Libia. È molto interessante leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento storico poichè svelano un Pascoli nazionalista e fortemente interventista, difficile da conciliare con il “socialista dell’umanità”, quale si definiva egli stesso negli anni giovanili; in tal senso, La grande proletaria, composta solo un anno prima della morte, è davvero un testo che segna un drastico cambiamento della visione del mondo pascoliana. Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria alla sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati, dopo anni di sfruttamento e ingiurie, dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui trarre il proprio sostentamento. Inoltre il paese aveva bisogno di dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia sembrava un’occasione ideale per potersi presentare come nazione "forte" agli occhi dell’Europa. Dominante è il tema patriottico, che è posto alla base del fenomeno emigratorio e, implicitamente, della guerra di Libia stessa:

 

Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar terrapieni, a gettar moli, a scavar Carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora. 

Questo tentativo di presentare la campagna di Libia come una guerra difensiva e non di attacco (che rigetta qualsiasi diritto della popolazione libica all'autodeterminazione) si unisce poi al tono nazionalista che percorre l'intero scritto: in occasione del cinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, Pascoli recupera la tradizione risorgimentale e i suoi "santi martiri" per giustificare l'imperialismo italiano, visto - in continuità storica con l'Impero di Roma - come un elemento di "pace". La Libia è anzi descritta da Pascoli come un paese naturalmente favorevole alla colonizzazione italiana, perchè vicina geograficamente e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offre erano però sprecate dall’inerzia e dall’arretratezza delle popolazioni locali, e gli italiani hanno il dovere “civilizzatore” d’intervenire per sfruttare a pieno il territorio, portandovi cultura e progresso. La Libia diventa così, nelle parole di Pascoli, una seconda patria a tutti gli effetti per il nostro paese. La penisola italica, nell'ottica di Pascoli, appare nelle sue parole fortemente unita dal punto di vista militare, tanto che si nullifica addirittura la lotta di classe, vero e proprio spauracchio della borghesia di inizio secolo:

 

Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo esercito. Li guardi ora in azione. Terra. mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno, vi sono perfettamente fusi. E vi sono le classi e le categorie anche là : ma la lotta non v'è o è lotta a chi giunge prima allo stendardo nemico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore. A questo modo là il popolo lotta con la nobiltà e con la borghesia. Così là muore, in questa lotta, l'artigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca.