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“La locandiera” di Carlo Goldoni: riassunto della trama e analisi

Introduzione

 

La locandiera è una commedia in tre atti di Carlo Goldoni, composta nel 1751, al termine della collaborazione tra il commediografo e il teatro Sant’Angelo, e messa in scena all’apertura della stagione di carnevale 1752-1753. La trama verte attorno al personaggio della locandiera Mirandolina, che, aiutata dal cameriere Fabrizio, si trova a doversi difendere dalle proposte amorose dei clienti dell’albergo da loro gestito nei pressi di Firenze. Al centro delle vicende c’è sempre la vigile e smaliziata intelligenza di Mirandolina, che sa far prosperare la sua attività commerciale e mettere in scacco l’altezzoso cavaliere di Ripafratta, uno dei suoi pretendenti.

La locandiera è considerata uno degli esempi più riusciti della “commedia di carattere” goldoniana, con cui l’autore veneziano capovolge e rinnova la tradizione della Commedia dell’Arte.

 

Riassunto

 

Nel primo atto Mirandolina, una giovane ed affascinante locandiera abituata a ricevere attenzioni e lusinghe dai clienti, viene corteggiata da due ospiti: il Marchese di Forlipopoli, un nobile decaduto, e il Conte di Albafiorita, un mercante arricchito che ha comprato il titolo nobiliare grazie ai suoi commerci. Anche nel corteggiamento i due si comportano in modo conforme al proprio ruolo sociale: il Marchese è convinto che basti il prestigio del suo titolo per conquistare l’amore di Mirandolina, mentre il Conte crede di poterla comprare per mezzo di regali e doni. Arriva però alla locanda un terzo ospite, il Cavaliere di Ripafratta, burbero e misogino, che si prende gioco perché insistono a dimostrare interesse per una donna (per giunta popolana), mentre egli, preferendo di gran lunga la libertà del celibato, non si abbasserebbe mai  tale condizione. Mirandolina, offesa e stimolata dal comportamento del Cavaliere, spiega in un monologo voler di minare le sue convinzioni, facendolo innamorare di lei. Segue quindi uno screzio tra lei e il conte sulla biancheria dell’albergo: entrambi ribadiscono di preferire la libertà piuttosto che il matrimonio. Entrano in scena Dejanira e Ortensia, due attrici di commedia che si fingono gran dame e che si contendono le attenzioni del Marchese di Forlipopoli e del Conte di Albafiorita. Mirandolina ribadisce il suo progetto di conquistare il Cavaliere.

Il secondo atto vede quindi Mirandolina mettere in atto i suoi propositi. Durante un pranzo in cui si siedono alternativamente a tavola i due nobile, Dejanira e Ortensia, il Cavaliere e Mirandolina, quest’ultima fa sfoggio del proprio carattere indipendente e sincero, come quando dichiara al Marchese che il vino da lui ritenuto eccelso è in realtà pessimo o come quando spiega al Cavaliere che anche lei disprezza la superficialità del genere femminile. Le due finte dame provano anch’esse a sedurre il Cavaliere ma quest’ultimo, quando scopre che sono solo attricette teatrali, vorrebbe andarsene sdegnato. Mirandolina, nell’accomiatarsi da lui, finge di piangere e, ad un certo punto, sviene di fronte a lui. Il Cavaliere cade nel tranello della protagonista, innamorandosi di lei.

Nel terzo atto acquista visibilità il cameriere Fabrizio, cui il padre di Mirandolina, in punto di morte, ha affidato la figlia. Il Cavaliere dona a Mirandolina una preziosa boccetta d’oro ma la donna rifiuta, ignorando pure la successiva dichiarazione d’amore dell’uomo. Il Marchese smaschera la passione del Cavaliere che, in un ultimo disperato assalto, provoca la reazione di gelosia di Fabrizio, che, innamorato di Mirandolina, la difende. Il Cavaliere, ormai preda di quella passione amorosa che aveva sempre sfuggito, è a tal punto furente da far scoppiare una lite col Conte, che rischia di degenerare in un duello. Mirandolina, ormai soddisfatta per aver realizzato il suo piano, interviene annunciando che sposerà il cameriere Fabrizio: il Cavaliere non può che abbandonare la locanda su tutte le furie, mentre il Marchese e il Conte sono invitati a trovare un altro alloggio e a desistere dai loro propositi. Mirandolina, del resto, promette al futuro sposo di smetterla di sedurre gli uomini per divertimento. Nel monologo finale, Mirandolina mette in guardia il pubblico dalle abilità di una donna e dalle sue lusinghe.

 

Analisi e commento

 

La locandiera è una delle opere di Goldoni che hanno goduto di maggior fortuna critica e di pubblico e una di quelle che meglio riassume le caratteristiche del teatro goldoniano. Si nota innanzitutto la riuscita caratterizzazione dei personaggi che, in maniera opposta a quanto succede con le “maschere” fisse della Commedia dell’arte, sono definiti ciascuno in modo individuale e peculiare. A svettare su tutti è ovviamente la figura di Mirandolina: intelligente e determinata, bella e consapevole di sé, la “locandiera” ha come primo interesse il profitto della sua attività e quindi sa sia disimpegnarsi con stile dalle mediocri tentativi di seduzione del Conte e del Marchese e sia tener testa all’orgoglio borioso del Cavaliere, facendolo infine capitolare. Mirandolina è così regista e attrice dell’azione scenica, tanto da rivolgersi spesso al pubblico coinvolgendolo nella sua finzione e spiegando in dettaglio come agirà per battere il “nemico”. La locandiera si sdoppia infatti tra l’azione e la premeditazione delle battute in controscena. Attraverso di lei, Goldoni da un lato stabilisce un dialogo diretto con il suo pubblico e dall’altro pone in rilievo l’arma con cui Mirandolina trionfa, ovvero l’intelligenza.

È del resto questa, insieme con l’intraprendenza e il senso del dovere, la dote della nuova classe borghese, che nella Venezia di metà Settecento è in piena ascesa; tutt’altra cosa rispetto all’inutilità e al parassitismo della vecchia classe aristocratica, improduttiva ed arroccata sul superato concetto del prestigio e del rispetto del titolo. Il dinamismo di Mirandolina è anche la dote che mette in scacco la misoginia e il carattere superbo del Cavaliere. La conclusione della commedia è però nel segno dell’ordine: Mirandolina, pur vincente, ammette d’aver esagerato e rientra nei ranghi con il matrimonio con Fabrizio, come le era stato consigliato dal padre morente. Questo del resto è in linea con la finalità etica che, con un pizzico d’ironia, Goldoni indica nella prefazione intitolata L’autore a chi legge: la storia de La locandiera deve mettere in guardia gli uomini dalle illusioni e dagli amari tranelli che le donne sanno, con somma astuzia, architettare.