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Leopardi, "La ginestra": parafrasi del testo

Parafrasi Analisi

Canzone composta nel 1836 presso la Villa Ferrigni (ora rinominata Villa della Ginestra, e situata lungo il cosiddetto “miglio d’oro”, un tratto di strada celebre per le bellezze storico-paesaggistiche e per le splendide ville d’età settecentesca) di Torre del Greco, La ginestra o il fiore del deserto viene pubblicata per la prima volta nell’edizione napoletana dei Canti curata da Antonio Ranieri (1845). Il componimento, che si apre con una citazione dal Vangelo di Giovanni, è considerato il testamento poetico di Leopardi, che, osservando una ginestra sulle pendici del Vesuvio, riflette sulla condizione umana e sulla Natura.

Metro: Canzone di strofe libere, con presenza di rime al mezzo.

 

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.

(Giovanni, III, 19)

  1. Qui su l’arida schiena
  2. del formidabil monte 1
  3. sterminator Vesevo 2,
  4. la qual null’altro allegra arbor né fiore,
  5. tuoi cespi solitari intorno spargi,
  6. odorata ginestra,
  7. contenta dei deserti 3Anco ti vidi
  8. de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
  9. che cingon la cittade
  10. la qual fu donna de’ mortali un tempo 4,
  11. e del perduto impero
  12. par che col grave e taciturno aspetto
  13. faccian fede e ricordo al passeggero.
  14. Or ti riveggo in questo suol, di tristi
  15. lochi e dal mondo abbandonati amante
  16. d’afflitte fortune 5 ognor compagna.
  17. Questi campi cosparsi
  18. di ceneri infeconde, e ricoperti
  19. dell’impietrata lava,
  20. che sotto i passi al peregrin risona;
  21. dove s’annida e si contorce al sole
  22. la serpe, e dove al noto
  23. cavernoso covil torna il coniglio;
  24. fur liete ville e cólti 6,
  25. e biondeggiar di spiche, e risonaro
  26. di muggito d’armenti;
  27. fur giardini e palagi,
  28. agli ozi de’ potenti
  29. gradito ospizio; e fur città famose 7,
  30. che coi torrenti suoi l’altero monte
  31. dall’ignea bocca fulminando oppresse
  32. con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
  33. una ruina involve,
  34. ove tu siedi, o fior gentile, e quasi
  35. i danni altrui commiserando, al cielo
  36. di dolcissimo odor mandi un profumo,
  37. che il deserto consola. A queste piagge
  38. venga colui che d’esaltar con lode
  39. il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
  40. è il gener nostro in cura
  41. all’amante natura. E la possanza
  42. qui con giusta misura
  43. anco estimar potrá dell’uman seme,
  44. cui la dura nutrice 8, ov’ei men teme,
  45. con lieve moto in un momento annulla
  46. in parte, e può con moti
  47. poco men lievi ancor subitamente
  48. annichilare in tutto.
  49. Dipinte in queste rive
  50. son dell’umana gente
  51. le magnifiche sorti e progressive 9.
  52. Qui mira e qui ti specchia,
  53. secol superbo e sciocco 10,
  54. che il calle insino allora
  55. dal risorto pensier segnato innanti
  56. abbandonasti, e vòlti addietro i passi,
  57. del ritornar ti vanti,
  58. e procedere il chiami.
  59. Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
  60. di cui lor sorte rea padre ti fece,
  61. vanno adulando, ancora
  62. ch’a ludibrio talora
  63. t’abbian fra sé 11. Non io
  64. con tal vergogna scenderò sotterra;
  65. ma il disprezzo piuttosto che si serra
  66. di te nel petto mio,
  67. mostrato avrò quanto si possa aperto;
  68. bench’io sappia che obblio
  69. preme chi troppo all’etá propria increbbe.
  70. Di questo mal, che teco
  71. mi fia comune, assai finor mi rido.
  72. Libertá vai sognando, e servo a un tempo
  73. vuoi di novo il pensiero 12,
  74. sol per cui risorgemmo
  75. della barbarie in parte, e per cui solo
  76. si cresce in civiltá, che sola in meglio
  77. guida i pubblici fati.
  78. Cosí ti spiacque il vero
  79. dell’aspra sorte e del depresso loco
  80. che natura ci die’. Per queste il tergo
  81. vigliaccamente rivolgesti al lume
  82. che il fe’ palese; e, fuggitivo, appelli
  83. vil chi lui segue, e solo
  84. magnanimo colui
  85. che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
  86. fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
  87. Uom di povero stato e membra inferme
  88. che sia dell’alma generoso ed alto,
  89. non chiama sé né stima
  90. ricco d’or né gagliardo,
  91. e di splendida vita o di valente
  92. persona infra la gente
  93. non fa risibil mostra;
  94. ma sé di forza e di tesor mendíco
  95. lascia parer senza vergogna, e noma
  96. parlando, apertamente, e di sue cose
  97. fa stima al vero uguale.
  98. Magnanimo animale
  99. non credo io giá, ma stolto,
  100. quel che nato a perir, nutrito in pene,
  101. dice: - A goder son fatto 13, -
  102. e di fetido orgoglio 14
  103. empie le carte, eccelsi fati e nove
  104. felicità, quali il ciel tutto ignora,
  105. non pur quest’orbe, promettendo in terra
  106. a popoli che un’onda
  107. di mar commosso, un fiato
  108. d’aura maligna, un sotterraneo crollo
  109. distrugge sí, ch'avanza
  110. a gran pena di lor la rimembranza 15.
  111. Nobil natura è quella
  112. ch’a sollevar s’ardisce
  113. gli occhi mortali incontra
  114. al comun fato 16, e che con franca lingua,
  115. nulla al ver detraendo,
  116. confessa il mal che ci fu dato in sorte,
  117. il basso stato e frale;
  118. quella che grande e forte
  119. mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
  120. fraterne, ancor piú gravi
  121. d’ogni altro danno, accresce
  122. alle miserie sue, l’uomo incolpando
  123. del suo dolor, ma dà la colpa a quella
  124. che veramente è rea, che de’ mortali
  125. madre è di parto e di voler matrigna 17.
  126. Costei chiama inimica; e incontro a questa
  127. congiunta esser pensando,
  128. siccom’è il vero, ed ordinata in pria
  129. l’umana compagnia,
  130. tutti fra sé confederati estima
  131. gli uomini, e tutti abbraccia
  132. con vero amor, porgendo
  133. valida e pronta ed aspettando aita
  134. negli alterni perigli e nelle angosce
  135. della guerra comune. Ed alle offese
  136. dell’uomo armar la destra, e laccio porre
  137. al vicino ed inciampo,
  138. stolto crede cosí, qual fora in campo
  139. cinto d’oste contraria, in sul piú vivo
  140. incalzar degli assalti,
  141. gl’inimici obbliando, acerbe gare
  142. imprender con gli amici,
  143. e sparger fuga e fulminar col brando
  144. infra i propri guerrieri.
  145. Cosí fatti pensieri
  146. quando fien, come fur, palesi al volgo;
  147. e quell’orror che primo
  148. contra l’empia natura
  149. strinse i mortali in social catena,
  150. fia ricondotto in parte
  151. da verace saper 18, l’onesto e il retto
  152. conversar cittadino,
  153. e giustizia e pietade altra radice
  154. avranno allor che non superbe fole 19,
  155. ove fondata probità del volgo
  156. cosí star suole in piede
  157. quale star può quel c’ha in error la sede.
  158. Sovente in queste rive,
  159. che, desolate, a bruno
  160. veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
  161. seggo la notte; e su la mesta landa,
  162. in purissimo azzurro
  163. veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
  164. cui di lontan fa specchio
  165. il mare, e tutto di scintille in giro
  166. per lo vòto seren brillare il mondo.
  167. E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
  168. ch’a lor sembrano un punto,
  169. e sono immense, in guisa
  170. che un punto a petto a lor son terra e mare
  171. veracemente; a cui
  172. l’uomo non pur, ma questo
  173. globo, ove l’uomo è nulla,
  174. sconosciuto è del tutto; e quando miro
  175. quegli ancor piú senz’alcun fin remoti
  176. nodi quasi di stelle,
  177. ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
  178. e non la terra sol, ma tutte in uno,
  179. del numero infinite e della mole,
  180. con l’aureo sole insiem, le nostre stelle
  181. o sono ignote, o cosí paion come
  182. essi alla terra, un punto
  183. di luce nebulosa; al pensier mio
  184. che sembri allora, o prole
  185. dell’uomo? E rimembrando
  186. il tuo stato quaggiú, di cui fa segno
  187. il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte,
  188. che te signora e fine
  189. credi tu data al Tutto; e quante volte
  190. favoleggiar ti piacque 20, in questo oscuro
  191. granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
  192. per tua cagion, dell’universe cose
  193. scender gli autori, e conversar sovente
  194. co’ tuoi piacevolmente; e che, i derisi
  195. sogni rinnovellando 21, ai saggi insulta
  196. fin la presente età, che in conoscenza
  197. ed in civil costume
  198. sembra tutte avanzar; qual moto allora,
  199. mortal prole infelice, o qual pensiero
  200. verso te finalmente il cor m’assale?
  201. Non so se il riso o la pietá prevale.
  202. Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
  203. cui là nel tardo autunno
  204. maturità senz’altra forza atterra,
  205. d’un popol di formiche i dolci alberghi
  206. cavati in molle gleba
  207. con gran lavoro, e l’opre,
  208. e le ricchezze ch’adunate a prova
  209. con lungo affaticar l’assidua gente
  210. avea provvidamente al tempo estivo,
  211. schiaccia, diserta e copre
  212. in un punto; cosí d’alto piombando,
  213. dall’utero tonante
  214. scagliata al ciel profondo,
  215. di ceneri e di pomici e di sassi
  216. notte e ruina 22, infusa
  217. di bollenti ruscelli,
  218. o pel montano fianco
  219. furiosa tra l’erba
  220. di liquefatti massi
  221. e di metalli e d’infocata arena
  222. scendendo immensa piena,
  223. le cittadi che il mar là su l’estremo
  224. lido aspergea, confuse
  225. e infranse e ricoperse
  226. in pochi istanti: onde su quelle or pasce
  227. la capra, e città nove
  228. sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
  229. son le sepolte, e le prostrate mura
  230. l’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
  231. Non ha natura al seme
  232. dell’uom piú stima o cura
  233. ch’alla formica: e se piú rara in quello
  234. che nell’altra è la strage,
  235. non avvien ciò d’altronde
  236. fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.
  237. Ben mille ed ottocento
  238. anni varcar poi che spariro, oppressi
  239. dall’ignea forza, i popolati seggi 23,
  240. il villanello intento
  241. ai vigneti, che a stento in questi campi
  242. nutre la morta zolla e incenerita,
  243. ancor leva lo sguardo
  244. sospettoso alla vetta
  245. fatal, che nulla mai fatta più mite
  246. ancor siede tremenda, ancor minaccia
  247. a lui strage ed ai figli ed agli averi
  248. lor poverelli. E spesso
  249. il meschino in sul tetto
  250. dell’ostel villereccio, alla vagante
  251. aura giacendo tutta notte insonne,
  252. e balzando piú volte, esplora il corso
  253. del temuto bollor, che si riversa
  254. dall’inesausto grembo
  255. sull’arenoso dorso, a cui riluce
  256. di Capri la marina
  257. e di Napoli il porto e Mergellina 24.
  258. E se appressar lo vede, o se nel cupo
  259. del domestico pozzo ode mai l’acqua
  260. fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
  261. desta la moglie in fretta, e via, con quanto
  262. di lor cose rapir posson, fuggendo,
  263. vede lontan l’usato
  264. suo nido, e il picciol campo,
  265. che gli fu dalla fame unico schermo,
  266. preda al flutto rovente,
  267. che crepitando giunge, e inesorato
  268. durabilmente sovra quei si spiega.
  269. Torna al celeste raggio
  270. dopo l’antica obblivion 25, l’estinta
  271. Pompei, come sepolto
  272. scheletro, cui di terra
  273. avarizia o pietà rende all’aperto;
  274. e dal deserto foro
  275. diritto infra le file
  276. de’ mozzi colonnati il peregrino
  277. lunge contempla il bipartito giogo 26
  278. e la cresta fumante,
  279. ch’alla sparsa ruina ancor minaccia 27.
  280. E nell’orror della secreta notte
  281. per li vacui teatri,
  282. per li templi deformi e per le rotte
  283. case, ove i parti il pipistrello asconde,
  284. come sinistra face
  285. che per voti palagi atra s’aggiri,
  286. corre il baglior della funerea lava,
  287. che di lontan per l’ombre
  288. rosseggia e i lochi intorno intorno tinge 28.
  289. Cosí, dell’uomo ignara e dell’etadi
  290. ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
  291. dopo gli avi i nepoti,
  292. sta natura ognor verde, anzi procede
  293. per sí lungo cammino
  294. che sembra star. Caggiono i regni intanto,
  295. passan genti e linguaggi: ella nol vede:
  296. e l’uom d’eternità s’arroga il vanto.
  297. E tu, lenta ginestra,
  298. che di selve odorate
  299. queste campagne dispogliate adorni,
  300. anche tu presto alla crudel possanza
  301. soccomberai del sotterraneo foco,
  302. che ritornando al loco
  303. giá noto, stenderà l’avaro lembo
  304. su tue molli foreste. E piegherai
  305. sotto il fascio mortal non renitente
  306. il tuo capo innocente:
  307. ma non piegato insino allora indarno
  308. codardamente supplicando innanzi
  309. al futuro oppressor; ma non eretto
  310. con forsennato orgoglio inver le stelle,
  311. né sul deserto, dove
  312. e la sede e i natali
  313. non per voler ma per fortuna avesti;
  314. ma piú saggia, ma tanto
  315. meno inferma dell’uom, quanto le frali
  316. tue stirpi non credesti
  317. o dal fato o da te 29 fatte immortali.
  1. Qui sulle brulle pendici
  2. del terribile vulcano
  3. Vesuvio, distruttore di genti,
  4. che non sono rallegrate da nessun altro albero
  5. né fiore, o profumata ginestra, spargi i tuoi rami
  6. solitari, felice di trovarti
  7. nei deserti. Ti ho già visto
  8. abbellire con i tuoi steli le campagne disabitate
  9. che circondano Roma
  10. che fu sovrana dei mortali nell’antichità,
  11. e sembra che questi luoghi col loro aspetto
  12. severo e silenzioso facciano da ricordo
  13. e testimonianza del perduto potere a chi passa.
  14. Ti rivedo ora su questo suolo, amante
  15. di luoghi tristi e abbandonati da tutti e sempre
  16. compagna di sorti sventurate.
  17. Questi terreni, cosparsi
  18. di ceneri non produttive, e ricoperti
  19. di lava fattasi pietra,
  20. che risuona sotto i passi del viandante;
  21. dove il serpente si annida e si contorce
  22. sotto il sole, e dove il coniglio torna
  23. all’abituale tana tra le caverne;
  24. furono pieni di città ricche e campi coltivati,
  25. biondeggiarono per i campi di grano e
  26. risuonarono per i muggiti delle mandrie;
  27. giardini e reggie furono
  28. un gradito rifugio
  29. per gli ozi dei potenti; e ci furono città famose
  30. che il vulcano superbo
  31. con i suoi torrenti di lava distrusse, insieme ai suoi abitanti,
  32. eruttando dalla bocca di fuoco. Ora qui intorno
  33. la rovina ricopre tutto, là dove tu hai radici,
  34. o fiore gentile, e come per commiserare
  35. i danni prodotti da altri, spandi verso il cielo
  36. un profumo assai dolce, che allieta
  37. il paesaggio desertico. A questi luoghi deserti
  38. si rechi chi è solito lodare in maniera esaltata
  39. la condizione umana, e si renda conto
  40. di quanto la natura affettuosa si preoccupa
  41. dell’uomo. E in maniera opportuna
  42. potrà anche aver cognizione
  43. della potenza del genere umano,
  44. che la natura crudele, quando l’uomo meno se l’aspetta,
  45. annulla in parte e in un solo momento
  46. con un moto impercettibile, e può
  47. con una scossa un po’ più netta
  48. cancellare del tutto in un istante.
  49. Qui rappresentate
  50. sono le “sorti magnifiche e progressive”
  51. delle stirpi umane.
  52. Guarda qui e qui specchiati,
  53. secolo stupido e arrogante,
  54. che hai abbandonato la strada segnata
  55. sin qui dal pensiero rinascimentale
  56. e materialistico, e torni sui tuoi passi,
  57. ti vanti della tua svolta all’indietro,
  58. la addirittura la chiami progresso.
  59. Tutti gli ingegni, di cui una sorte sciagurata
  60. ti ha fatto padre, sono intenti ad adulare
  61. il tuo atteggiamento bamboccesco, benché
  62. a volte, tra di loro, si facciano
  63. beffe di te. Io non andrò sotto terra
  64. con tal vergogna;
  65. ma piuttosto il disprezzo nei tuoi confronti
  66. che ho rinchiuso nel cuore,
  67. l’avrò mostrato il più apertamente possibile;
  68. anche se so che la cancellazione dalla
  69. memoria schiaccia chi troppo biasima il proprio tempo.
  70. Di questo male, che sarà in comune
  71. tra me e te, finora me ne rido molto.
  72. Vai sognando la libertà, e tuttavia vuoi
  73. che il pensiero sia di nuovo servo, quel pensiero
  74. per cui, solo, risorgemmo dalla barbarie,
  75. e per cui solo si può crescere in civilizzazione,
  76. che unica tra tutte guida
  77. il destino comune al meglio.
  78. Perciò ti ha dato fastidio la verità
  79. sulla sorte amara e sul mondo infelice
  80. che la natura ci ha assegnato. Per questo motivo,
  81. da vigliacco, hai voltato le spalle alla luce
  82. che ci ha mostrato queste cose; e, mentre fuggi,
  83. chiami vile chi segue quella via,
  84. e definisci magnanimo solo chi,
  85. astuto o stolto, illudendo gli altri o se stesso,
  86. eleva il genere umano fin sopra le stelle.
  87. Un uomo di condizioni modeste e salute
  88. cagionevole, nobile ed elevato d’animo,
  89. non definisce né reputa se stesso
  90. ricco di beni o di vigore fisico,
  91. e non si mette ridicolmente in mostra
  92. tra la gente per la vita lussuosa
  93. o per il suo bell’aspetto;
  94. ma senza vergogna si mostra privo
  95. di forza fisica e di beni materiali, e chiama
  96. apertamente le cose col loro nome, e stima
  97. le sue cose in modo aderente alla verità.
  98. Non penso che sia un essere
  99. magnanimo ma sciocco chi,
  100. destinato a morire, educato attraverso le sofferenze,
  101. afferma: “Sono nato per essere felice”
  102. e riempie con il suo nauseante orgoglio
  103. fogli su fogli, promettendo in terra,
  104. a genti che un’onda di tempesta,
  105. una pestilenza, un terremoto
  106. possono distruggere in modo che
  107. ne sopravviva a stento il ricordo,
  108. un destino sublime
  109. e straordinarie felicità,
  110. che il cielo stesso ignora.
  111. Uno spirito nobile è quello
  112. che ha il coraggio di sollevare
  113. i propri occhi mortali contro
  114. il destino comune, e che con parole oneste
  115. e sincere e senza nulla togliere alla verità,
  116. e confessa il male che ci è stato assegnato,
  117. la nostra condizione meschina e fragile;
  118. una natura nobile è quella che mostra sé
  119. coraggiosa e forte nella sofferenza, e che non
  120. aggiunge alle sue sciagure né gli odi
  121. né le violenze tra simili, che sono ancora
  122. più gravi del resto, dando la responsabilità
  123. all’uomo del suo dolore, ma dà la colpa
  124. alla natura che è davvero colpevole, e che
  125. per gli uomini è madre per il parto e matrigna
  126. per come ci tratta. L’umanità definisce
  127. questa come nemica;
  128. e pensando di essere, com’è vero, unita
  129. e schierata contro di lei,
  130. ritiene tutti gli uomini confederati tra loro
  131. e tutti li stringe in un abbraccio
  132. con vera partecipazione, offrendo
  133. ed aspettando un valido e rapido aiuto
  134. nelle alterne difficoltà e nelle sofferenze
  135. della comune lotta. E crede che sia stolto
  136. armare la propria mano per le offese dell’uomo,
  137. e gettare un tranello e tramare un danno contro
  138. il proprio vicino, così come sarebbe stupido,
  139. in un campo di battaglia circondato dai nemici,
  140. nel momento più feroce dell’assalto,
  141. dimenticando i nemici, intraprendere
  142. con i commilitoni duri battibecchi
  143. e disseminare la fuga o tirare colpi di spada
  144. tra i propri guerrieri.
  145. Quando considerazioni di questo tipo
  146. saranno, come lo sono state in passato,
  147. evidenti a tutti; e quando il terrore che per primo
  148. unì gli uomini contro la natura malvagia
  149. in una catena di solidarietà,
  150. quando il discorso pubblico
  151. onesto e retto sarà
  152. in parte recuperato dal vero sapere,
  153. allora la giustizia e il senso di pietà avranno
  154. un’altra radice che non l’ottusa fede,
  155. sulle cui fondamenta la mentalità del popolo
  156. è solita star in equlibrio come può stare
  157. chi ha il proprio appiglio nell’errore.
  158. Sovente siedo nottetempo in queste lande,
  159. che, deserte, il flutto solidificatosi della lava
  160. - e sembra muoversi ancora - ricopre di colore
  161. marrone cupo; e sul paesaggio tristissimo,
  162. sotto un cielo terso e pulitissimo
  163. vedo risplendere le stelle nel cielo, alle quali
  164. il mare, da lontano, fa da specchio,
  165. e tutto il mondo brilla di scintille
  166. per l’universo sereno.
  167. E quando fisso lo sguardo a quegli astri,
  168. che ai miei occhi paiono solo dei puntini,
  169. e invece sono immensa, così che in realtà
  170. terra e mare sono un punto al loro
  171. cospetto; e per queste stelle
  172. non solo l’uomo ma la stessa Terra,
  173. dove l’uomo vale nulla,
  174. è completamente ignota; e quando contemplo
  175. quelle costellazioni di stelle
  176. lontanissime e senza fine,
  177. che ci sembrano come una nebbia, alle quali
  178. non l’uomo, non la terra soltanto,
  179. ma tutte insieme le nostre stelle,
  180. insieme con il sole dorato,
  181. infinite per numero e per mole, o sono ignote
  182. o appaiono come loro sembrano a noi, e cioè
  183. un punto di luce fioca; allora che puoi
  184. sembrare al mio pensiero,
  185. stirpe umana? E ricordando
  186. il tuo stato sulla terra, di cui è testimonianza
  187. il suolo vulcanico che io calpesto; e d’altra parte
  188. considerando che ti reputi padrona
  189. e fine dell’universo; e pensando a quante volte
  190. ti è piaciuto fantasticare su come i creatori
  191. del mondo siano scesi su questo dimentico
  192. granello di sabbia, che ha nome di Terra,
  193. e su come abbiano spesso conversato
  194. piacevolmente con i tuoi simili; e ricordando
  195. che, raccontando nuovamente illusioni
  196. già derise a suo tempo, il nostro secolo,
  197. che pretende di superare le ere precedenti
  198. in sapere e in civiltà, si burla dei saggi; 
  199. che sentimento d’animo, o umanità infelice,
  200. che pensiero nei tuoi confronti mi prende il cuore?
  201. Non so so prevale il riso o la pietà.
  202. Come un piccolo frutto cadendo dall’albero,
  203. che nell’autunno inoltrato la maturazione
  204. fa precipitare a terra senza altra forza,
  205. e schiaccia, annienta e cancella
  206. in un attimo gli accoglienti nidi
  207. di un popolo di formiche, scavati nella terra molle
  208. con gran fatica, e le gallerie
  209. e le riserve di cibo che con fatica indefessa
  210. le infaticabili formiche in gara tra loro hanno
  211. raccolto con previdenza
  212. nella stagione estiva; così, piombando dall’alto,
  213. dalla bocca del vulcano e dopo essere stata
  214. scagliata in alto verso il cielo,
  215. un turbine che copre il sole
  216. fatto di cenere, pomice e sasso,
  217. mescolata di ruscelli
  218. di colate laviche,
  219. o un’immensa piena
  220. che scende furiosa tra l’erba,
  221. fatta di massi liquefatti e di metalli fusi
  222. di terra infuocata,
  223. sconvolse e distrusse e ricoprì
  224. in pochi attimi
  225. le città che il mare bagnava
  226. sull’ultima spiaggia; così ora su quelle città
  227. pascola una capra, e nuove città
  228. sorgono all’esterno della colata, a cui fanno
  229. da sgabello le città sepolte, e l’erto monte
  230. quasi calpesta col suo piede le mura crollate.
  231. La natura non ha per il genere umano
  232. più stima o cura
  233. che per le formiche: e se la strage
  234. è più rara tra quelli che tra queste,
  235. ciò avviene d’altra parte solo perché
  236. le sue generazioni sono meno feconde.
  237. Sono passati ben mille e ottocento
  238. anni da quando scomparirono, schiacciati
  239. dalla forza della lava, le affollate città
  240. il contadino al lavoro
  241. nei vigneti, che la zolla morta ed incenerita,
  242. nutre a fatica in questi campi,
  243. leva tuttora lo sguardo
  244. sospettoso al vulcano
  245. portatore di morte, che per nulla resa più mite,
  246. ancor si siede orrendo, ancora minaccia
  247. una strage al contadino, ai suoi figli
  248. e ai loro miseri averi. E spesso
  249. il poverello sul tetto
  250. della sua rustica casa, restando sveglio
  251. insonne tutta la notte all’aperto,
  252. e sobbalzando molte volte, osserva ansioso
  253. il procedere del temuto ribollire, che cola
  254. dall’inesausta fornace
  255. sul crinale di roccia, a cui splende
  256. la marina di Capri
  257. e il porto di Napoli e il quartiere Mergellina.
  258. E se lo vede avvicinarsi, o se sente
  259. per caso sente gorgogliar in fermento
  260. nel profondo del pozzo di casa, sveglia i figli
  261. e la moglie in frettta, e subito via,
  262. con quanto delle loro cose possono raccattare,
  263. e, in fuga, vede da lontano la cara
  264. e quotidiana abitazione, e il modesto campo,
  265. che fu per lui unica difesa alla fame,
  266. preda della colata incandescente
  267. che giunge con mille crepitii, e inesorabile
  268. si stende per sempre sopra quelli.
  269. Ai raggi del sole torna
  270. dopo un oblio secolare, l’estinta
  271. Pompei, come uno scheletro
  272. sepolto, che dalla terra viene all’aperto
  273. per desiderio di ricchezza o pietà umana;
  274. e dalla piazza deserta
  275. dritto in mezzo alle fila
  276. dei colonnati diroccati il pellegrino
  277. contempla da lontano il Vesuvio
  278. e il monte Somma, e la cresta che fuma,
  279. che ancora minaccia la città distrutta.
  280. E nello scenario orrorifico della notte più
  281. oscura, per teatri abbandonati
  282. e templi crollati e le case devastate,
  283. dove è solito partorire il pipistrello,
  284. come una fiaccola misteriosa
  285. che vaghi cupa per palazzi vuoti,
  286. corre la colata della lava assassina,
  287. che da lontano in mezzo all’ombra
  288. manda rossi bagliori, e si riflette all’intorno.
  289. Così, la natura, del tutto indifferente dell’uomo
  290. e delle ere che questo chiama antiche,
  291. e del corso delle generazioni umane,
  292. rimane sempre giovane e vitale, ed anzi scorre
  293. per un cammino così lungo da parer
  294. immobile. Nel frattempo, crollano i governi,
  295. passano le genti e le culture: ella non se ne
  296. accorge: e l’uomo pretende il diritto all’eternità.
  297. E tu, docile ginestra,
  298. che adorni con cespugli odorosi
  299. queste campagne desertificate,
  300. anche tu presto soccomberai alla potenza
  301. crudele della lava in eruzione,
  302. che ritornando ai luoghi
  303. già colpiti, stenderà sui tuoi molli rami
  304. il suo duro e acre lembo di rocce. E piegherai
  305. sotto la colata mortale il tuo fusto innocente
  306. senza opporre resistenza:
  307. ma il tuo capo non è stato piegato
  308. fino a quel momento, con suppliche inutili
  309. e codarde al futuro oppressore; e il tuo capo
  310. non si è eretto con orgoglio folle contro
  311. le stelle, né sul deserto, dove hai avuto
  312. il luogo di nascita e di residenza
  313. non per scelta ma per gioco del caso;
  314. ma più saggia, e tanto meno debole ed insensata
  315. dell’uomo, poiché non hai mai creduto
  316. che la tua specie fosse stata resa immortale
  317. o dal destino o da te stessa.

1 formidabile monte: Leopardi mantiene qui l’etimologia dal latino formido, -inis (“timore, paura”), sottolineando sin dal secondo verso del canto il carattere minaccioso ed inquietante del vulcano.

2 sterminator Vesevo: è forma latineggiante per il Vesuvio (da Vesevus, -i), cui è subito associato un carattere assai minaccioso per l’uomo (“sterminator”).

3 Costruzione vv. 1-7: “Odorata ginestra, contenta dei deserti [felice di trovarti nei deserti], spargi intorno i tuoi cespi solitari qui su l’arida schiena [sul brullo pendio] del formidabil monte sterminator Vesevo [del Vesuvio, vulcano spaventoso ed assassino], la quale [riferito ad “arida schiena”] null’altro arbor né fiore allegra [che non è resa più lieta da nessun altro albero o fiore]”. Sin dalle prime battute la ginestra, nella sua solitaria resistenza al vulcano e alla Natura, diventa l’interlocutrice privilegiata del discorso del poeta.

4 Leopardi, abbandonandosi al ricordo, torna al tempo del soggiorno romano, sollecitato dalla vista della ginestra, presente anche nelle campagne deserte (“erme contrade”) che circondano quella che era stata la capitale del mondo intero (“donna de’ mortali un tempo”).

5 afflitte fortune: il tema, caro a Leopardi e a buona parte della letteratura italiana tra Sette ed Ottocento, del tramonto dell’antica potenza di Roma si può trovare sia in Petrarca (nella canzone Italia mia, benché il parlar sia indarno, Canzoniere, CXXVII, 59) che nell’Eneide di Virgilio (I, 452).

6 cólti: nel senso di “campi coltivati”.

7 città famose: si allude evidentemente a Pompei, Ercolano e alle altre città distrusse dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

8 In un passo dello Zibaldone dell’11 aprile 1829 gli accenti polemici sono assai simili: “Nemica mortale di tutti gl’individui d’ogni genere e specie, ch’ella dà in luce... comincia a perseguitarli dal punto medesimo in cui li ha prodotti”.

9 le magnifiche sorti e progressive: l’espressione - divenuta sarcasticamente proverbiale - è ricavata da Leopardi dalla Dedica degli Inni Sacri (1832) di Terenzio Mamiani (1799-1885), patriota risorgimentale e cugino dello scrittore, che, confidando nel valore formativo della religione e riferendosi all’Italia del secolo XII e XIII, descrive in tal modo il progresso spirituale dell’umanità. Nelle Note di suo pugno ai Canti, tuttavia l’autore precisa: “Parole di un moderno, al quale è dovuta tutta la loro eleganza”.

10 secol superbo e sciocco: Leopardi, come preciserà più avanti, si riferisce qui al secolo XIX e al Romanticismo, la cui componente irrazional-spiritualistica avrebbe fatto marcia indietro rispetto alle acquisizioni del pensiero razionalistico e scientifico dell’Illuminismo.

11 Costruzione vv. 59-63: “Gl’ingegni tutti, di cui lor sorte rea padre ti fece [di cui un destino infido ti ha fatto loro padre] vanno adulando al tuo pargoleggiare [continuano ad adulare il tuo atteggiamento da bambino, e a quelle illusioni] ancora che [sottointeso: gli ingegni tutti] talora t’abbian fra sé [ti considerino tra di loro] a ludibrio [come cosa di cui ridere]”.

12 Per Leopardi, il contrasto è tra le aspirazioni politico-civili del Risorgimento e le nuove gabbie dogmatiche imposte al pensiero.

13 Leopardi spiega nello Zibaldone (11 marzo 1826): “L’uomo (e così tutti gli altri animali) non nasce per goder della vita, ma solo per perpetuare la vita, per comunicarla ad altri che gli succedano, per conservarla. [...] il vero e solo fine della natura è la conservazione delle specie, e non la conservazione né la felicità degl’individui”.

14 fetido orgoglio: nel senso non solo di “spiacevole” e “fastidioso”, ma anche di “censurabile” e “perverso”.

15 Costruzione vv. 103-110: “[sottointeso “quel che”, v. 100] promettendo eccelsi fati e nove felicità [un destino meraviglioso e straordinarie felicità] quali non pur quest’orbe ma il ciel tutto ignora [sconosciute non solo agli umani ma addirittura al cielo stesso], a popoli che un’onda di mar commosso [un maremoto], un fiato d’aura maligna [un’epidemia], un sotterraneo crollo [un terremoto] distrugge sì che avanza a gran pena la rimembranza di lor”.

16 Espressione modellata sul celebre passo del De rerum natura di Lucrezio in cui si descrive Epicuro e la sua strenua lotta contro la superstizione umana: “mortales tollere contra | est oculos ausus” (De rerum natura, I, 66-67).

17 Nello Zibaldone (2 gennaio 1829) si afferma: “La mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, o se non altro il lamento, a principio più alto. all’origine vera de’ mali de’ viventi”.

18 verace saper: con questa espressione, che identifica in un metodo fondato sulla verità la radice dei valori del vivere collettivo, Leopardi rimanda al movimento scientifico ed ideologico nato tra Seicento e Settecento con Cartesio, Galilei, Newton e Locke, e poi arrivato fino all’Illuminismo.

19 superbe fole: nettamente contrapposte all’amore per la verità sono per Leopardi le credenze e le superstizioni umane, in particola modo quelle di natura finalistica e provvidenziale, che interpretano il mondo come concepito in funzione dell’essere umano, ed ipotizzano un dio che ha in cura le sorti dell’uomo, cui assegna pure una vita dopo la morte.

20 favoleggiar ti piacque: il tema della presunzione umana, che arriva a supporre che gli dei siano scesi sulla Terra per amore degli uomini (“per tua cagion”), è presente anche nel poemetto satirico Paralipomeni della Batracomiomachia (canto VII, 15).

21 i derisi sogni rinovellando: Leopardi si riferisce a credenze, illusioni e dogmi già criticati dal movimento illuministico, e che ora stanno trovando nuova forza.

22 notte e ruina: l’unione dei due soggetti (le tenebre calate improvvisamente per l’oscuramento del sole e la distruzione causata dalla colata lavica) vogliono rendere plasticamente gli effetti devastanti dell’eruzione vulcanica. Nella descrizione dell’eruzione, è poi presente la memoria letteraria di un passo dell’Eneide (III, 571-577), dove Virgilio descrive un’analogo scenario di distruzione.

23 i popolati seggiPompei, Ercolano e Stabia, distrutte nel 79 d.C.

24 La citazione delle bellezze naturali partenopee (il golfo di Capri, il porto, il quartiere Mergellina) stride volutamente con lo scenario di devastazione poco sopra presentato.

25 Gli scavi archeologici nel territorio di Pompei iniziarono appunto nel 1748, per volere di Carlo III di Borbone.

26 il bipartito giogo: si tratta del Vesuvio vero e proprio e del monte Somma, costituito da ciò che resta dell’edificio vulcanico che causò l’eruzione del 79 d.C.

27 minaccia: in questo caso, il verbo regge un complemento di termine (“alla sparsa ruina”) perché si modella sulla costruzione col dativo tipica del verbo latino.

28 In questi versi, il modello stilistico e contenutistico sembra quasi essere quello della poesia ossianica, frutto della “moda letteraria” scaturita dai Canti di Ossian (1760-1765) di James McPherson (1736-1796), fodamentali per fissare alcuni caratteri del movimento preromantico e poi tradotti in Italia da Melchiorre Cesarotti tra il 1762 e il 1772. L’influsso “ossianico” sugli scrittori italiani è assai ampio, da Vittorio Alfieri ad Ugo Foscolo, fino appunto a Leopardi.

29 da te: è l’ultimo accenno polemico contro gli ideali delle “magnifiche sorti e progressive” (v. 51).