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Lettura critica de "I promessi sposi": l'antitesi alto-basso

In effetti il capitolo XXXVIII sembra costituire il momento in cui Manzoni tenta di esprimere quello che aveva rinunciato a comunicare nel capitolo XXXVII in occasione del colloquio fra Agnese e Renzo.

 

Infatti se a prima vista può sembrare un ritorno alle situazioni di paese che erano state oggetto della narrazione nei primi otto capitoli, in realtà, se lo si legge in relazione al complesso dei fatti precedenti ed ai loro significati messi in luce dal narratore - nonché all’assenza sostanziale nel Fermo e Lucia di quanto il capitolo contiene - si comprende come “il sugo di tutta la storia” non sia costituito esclusivamente dalle parole di Lucia, ma, in certo qual modo, da tutto il cap. XXXVIII. Ma perché sia chiaro in che senso, è bene fare alcune premesse.

 

Innanzitutto nell’Introduzione l’Anonimo, dopo aver definito i protagonisti della sua narrazione “gente meccaniche e di piccol affare”, ricorre ad una metafora astronomica in cui il “Re Cattolico” figura come “Sole”, il governatore di Milano come “Luna giamai calante”, i senatori come “Stelle fisse”, i magistrati come “erranti Pianeti”, e tutto il sistema viene definito un “nobilissimo Cielo” che illumina un mondo “tramutato in inferno d’atti tenebrosi, malvagità e sevitie”.
In secondo luogo il celeberrimo incipit del capitolo I offre un’ampia panoramica che, spaziando dalle due catene di monti tra cui scorre “quel ramo del lago di Como volge a mezzogiorno”, si sofferma successivamente, scendendo dall’alto dei rilievi montuosi alla prospettiva del paesaggio più basso, sulle diverse conformazioni e sui diversi aspetti del territorio della zona di Lecco, per appuntarsi poi, ancora più in basso, sui paesi e sulle strade che rendono estremamente variegato il paesaggio e infine focalizzare la prospettiva, al livello del basso più quotidiano, su una “di queste stradicciole” per la quale don Abbondio sta rientrando verso casa. Anche in questa sezione dunque, come nelle parole dell’Anonimo, si presenta l’opposizione di “alto” e “basso” per fornire una prima caratterizzazione dell’ambiente oggetto della narrazione.

 

Nella conclusione del capitolo XXVII infine, un capitolo, come si vede, più volte preso in considerazione, in una prolessi narrativa che sottolinea una svolta all’interno del romanzo, Manzoni si esprime come segue in relazione ai personaggi della vicenda:

 

Finalmente nuovi casi, più generali, più forti, più estremi, arrivarono anche fino a loro, fino agli infimi di loro, secondo la scala del mondo: come un turbine vasto, incalzante, vagabondo, scoscendendo e sbarbando alberi, arruffando tetti, scoprendo campanili, abbattendo muraglie, e sbattendone qua e là i rottami, solleva anche i fuscelli nascosti tra l'erba, va a cercare negli angoli le foglie passe e leggieri, che un minor vento vi aveva confinate, e le porta in giro involte nella sua rapina.

Anche in questo passo viene così confermata quella caratterizzazione dei protagonisti del romanzo come appartenenti ad un mondo “basso”, nascosto, come si dice nell’ultimo passo citato; un mondo quindi caratterizzato da una vita minuta, oscura agli occhi del mondo, umbratile ma al contempo brulicante, complessa, fatta di mille rivoli e mille percorsi, perfettamente emblematizzata dal paesaggio descritto all’inizio del primo capitolo. Un mondo che il “nobilissimo Cielo” dei grandi non arriva a vedere, ma che nell’ultimo capitolo, pur fra contraddizioni e incertezze, fra luci e ombre, è in grado di esprimere “il sugo di tutta la storia”.

 

A questo punto infatti occorre ricordare il significato metafisico che l’elemento del “basso” assume nel mondo concettuale della cultura e della religiosità manzoniana, in quanto contrassegnata non solo dall’ottica del Cristianesimo, ma in particolare dalla prospettiva giansenista che esprimeva una visione della realtà quantomeno analoga a quella prospettiva neoplatonica per la quale lo stare nell’ombra, proprio della condizione umana perduta nell’oscurità materia, poteva assumere un duplice significato. Se infatti l’essere nell’ombra poteva significare lo stare tenebra della materia,  poteva però anche assumere il significato di stare nell’ombra della luce, nel senso di un aspirare alla luce, un partecipare contemporaneamente dell’oscurità della materia e della luce della verità, cioè, in un’ottica cristiana e giansenista, di Dio. Ebbene, è proprio il mondo “basso”, nel senso neoplatonico e giansenista sopra definito, che è oggetto del ritorno alla normalità quotidiana narrata nel trentottesimo capitolo de I promessi sposi del 1840.