14'

Giuseppe Mazzini e la “Giovine Italia”

Introduzione

 

La figura di Giuseppe Mazzini, fondatore della Giovine Italia e della Giovine Europa, è certamente la più rappresentativa dell’ala repubblicana e democratica del Risorgimento italiano. Sebbene il sistema politico da lui ideato non si riveli sempre coerente e, soprattutto, l’azione dei suoi seguaci consegua raramente risultati concreti ed efficaci, il mazzinianesimo è una componente fondamentale della storia politica dell’Ottocento tanto da rimanere vitale ben oltre la morte della sua figura cardine.

 

La gioventù e l’affiliazione carbonara

 

Giuseppe Mazzini nasce a Genova il 22 giugno 1805 1 nella famiglia di un noto medico e professore universitario. L’inizio della sua educazione avviene in famiglia ed è una fase destinata ad avere un grande peso nello sviluppo futuro del suo pensiero: alle lezioni di precettori giansenisti, si aggiungono quelle della madre, persona estremamente religiosa e sensibile, e quelle del padre, che aveva partecipato alla politica genovese durante il triennio repubblicano (1796-1799) e non è immune da nostalgie per il periodo rivoluzionario. Durante gli anni della formazione universitaria, Mazzini esprime fastidio per il conformismo politico e religioso dell’ateneo ligure, partecipa alle manifestazioni costituzionali del 1821 senza dare ancora forma alle proprie aspirazioni politiche e consegue la laurea in giurisprudenza nel 1827.

Negli anni successivi, tuttavia, si disinteressa completamente al diritto, preferendo il mondo della letteratura, cui si dedica scrivendo recensioni per alcuni giornali liguri: questo lo avvicina al romanzo storico, al Romanticismo anti-tirannico di Alfieri e all’opera di Dante Alighieri, naturalmente visto come esempio di poesia civile e patriottica. Nel 1827, introdotto da uno studente di medicina chiamato Torre, Mazzini si fa iniziare alla Carboneria e, almeno per i primi mesi, si dedica appassionatamente all’attività settaria facendo nuovi proseliti e perfino alcuni viaggi per visitare “vendite” in altri Stati italiani.

La notizia della rivoluzione parigina del luglio 1830, che in tre giorni di combattimenti - le cosiddette trois glorieuses - aveva abbattuto il trono assoluto dei Borbone per innalzare quello costituzionale di Luigi Filippo d’Orléans, mostra al giovane genovese tutta l’inconcludenza e l’inefficacia della politica carbonica, con i suoi misteriosi rituali che tuttavia raramente si traducono in azioni politiche e militari decisive. Alla fine dello stesso anno, tuttavia, Mazzini è arrestato proprio per la sua affiliazione alla società segreta e, dopo un breve processo, è prosciolto per insufficienza di prove ma costretto con una misura di polizia a lasciare il Regno di Sardegna per recarsi in esilio, nel gennaio successivo, dapprima in Svizzera e poi in Francia.

 

La fondazione della Giovine Italia

 

Giunto a Marsiglia, il giovane esule, riunendo alcuni elementi dell’ala più radicale della Carboneria, decide di dar vita ad una nuova formazione politica che non sia, però, l’ennesima società segreta del tipo di quelle che avevano caratterizzato i primi trenta anni del secolo. La Giovine Italia - questo il nome del nuovo “partito” - si differenzia infatti dalla Carboneria e dalle società simili principalmente per due caratteristiche:

  • i suoi obiettivi politici sono pubblici: benché la società agisca in clandestinità, tutti sanno che essa persegue l’indipendenza e l’unità della penisola, riunita sotto un governo repubblicano;
  • i suoi mezzi sono dichiarati: la Giovine Italia persegue i propri scopi tramite l’educazione (o “apostolato”) e l’insurrezione. La formazione di Mazzini punta sulla diffusione delle proprie idee per coinvolgere il maggior numero di individui possibile e conta di perseguire la cacciata degli stranieri tramite l’azione violenta, da conseguirsi tramite la guerra per bande 2.

Queste caratteristiche implicano che Mazzini intende rinunciare a qualsiasi contributo straniero e confidare unicamente sulla forza del popolo armato. A differenza di molte formazioni clandestine coeve, il patriota genovese diffida dell’intervento di altre potenze, in particolare della Francia, nella quale invece sperano altri cospiratori come il neo-giacobino Filippo Buonarroti.

La teorizzazione mazziniana inoltre distingue, al livello teorico, il momento dell’indipendenza nazionale da quello della rivoluzione politica: subito dopo la cacciata degli stranieri il governo sarebbe stato retto temporaneamente da un’autorità dittatoriale composta da pochi individui dalla riconosciuta moralità in rappresentanza delle diverse zone del paese per dare il tempo al popolo, unico depositario della sovranità, di decidere quale sia la miglior forma di governo. Nonostante infatti Mazzini ritenga che la repubblica sia l’unico governo accettabile per la penisola italiana, pensa che essa debba essere il frutto della libera volontà popolare e non imposta dall’élite rivoluzionaria. Mazzini, inoltre, è contrario a qualsiasi tipo di federalismo, visto come fautore di discordie e di campanilismi, propendendo invece per un governo centrale espressione della volontà dell’insieme del popolo sovrano.

Un altro punto caratteristico del programma della Giovine Italia è quello che riguarda la religione: i mazziniani rifiutano qualsiasi concezione materialistica, tipica invece di gran parte delle formazioni derivanti dalla Rivoluzione francese e, in un’ottica tipicamente romantica, identificano Dio con il popolo e con il principio stesso del progresso umano. Il popolo, di conseguenza, non è visto come semplice massa di manovra per fare la rivoluzione (come invece da alcuni settori della Carboneria) ma come il soggetto principale del mutamento politico. Nonostante ciò Mazzini rifiuta decisamente qualsiasi redistribuzione della ricchezza e, soprattutto, ogni ipotesi di legge agraria, cari invece a quelle formazioni che traevano origine dall’insegnamento di François Noël “Graccus” Babeuf.

 

I tentativi insurrezionali della Giovine Italia

 

Le prime azioni della nuova formazione, progettate da Mazzini in esilio, prevedono sollevazioni repubblicane programmate per il 1833 a Genova e Alessandria: l’organizzazione però è subito infiltrata da agenti in incognito della polizia piemontese ed i principali congiurati vengono arrestati prima che possa scoppiare l’insurrezione. Per evitare di rivelare i nomi dei complici, il giovane Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini, si uccide nelle carceri sabaude. Questo episodio scuote profondamente il cospiratore genovese e lo spinge a progettare una sorta di “vendetta” per l’amico, consistente in altre due sollevazioni che, nel 1834, scoppiano in Savoiae, ancora una volta, a Genova.

Anche questa volta, nonostante la partecipazione di esuli liberali tedeschi e polacchi, i due moti falliscono poiché la Giovine Italia, chiusa nel proprio intransigentismo politico, si è isolata dalle altre formazioni e non ha le forze per resistere agli attacchi della polizia né per far fronte all’esercito durante i moti.

Il 1834 è anche l’anno di fondazione, a Ginevra, della Giovine Europa, promossa dallo stesso Mazzini e tesa a federare i popoli oppressi del continente per opporre “una Santa Alleanza dei popoli alla Santa Alleanza dei re”. Il progetto della formazione è molto ambizioso, poiché prevede l’instaurazione di una repubblica - stavolta federale - che abbracci tutto il continente: la sua azione tuttavia non riesce mai a espandersi oltre lo stadio dei contatti personali e dei rapporti di sincera amicizia tra i delegati italiani, polacchi e ungheresi.

Per Mazzini, tuttavia, è inevitabile constatare il completo fallimento di questa prima stagione insurrezionale messa in atto dalla sua formazione: non solo non è stato conseguito nessun vantaggio politico ma i tentativi, mal concepiti e velleitari, sono costati il sangue di patrioti, alcuni dei quali a lui personalmente molto vicini. Trasferitosi a Londra per sfuggire alle polizie europee, Mazzini vive così un periodo di profonda depressione sia politica che personale che lui definisce “tempesta del dubbio” circa l’inutilità di opporsi a forze tanto superiori, al punto da mettere in dubbio il senso della sua stessa esistenza. Da un simile baratro il patriota riesce a uscire solo grazie al profondo sentimento religioso che, in lui, ha sempre una valenza politica. Negli anni successivi, dunque, si consacra completamente alla causa insurrezionale e assume uno stile di vita profondamente ascetico. In Inghilterra, nel frattempo, dopo alcuni fallimentari tentativi di commerciare in prodotti alimentari italiani, si sostenta tramite la collaborazione con alcune riviste letterarie per le quali analizza il Romanticismo letterario.

Pur non prendendo parte personalmente, in questo periodo, all’attività politica in senso stretto, Mazzini si trova al centro di roventi polemiche nel 1844. In quell’anno Attilio ed Emilio Bandiera, due fratelli veneziani che avevano disertato dalla marina austriaca e avevano aderito agli ideali mazziniani, organizzano una spedizione per sollevare la Calabria contro Ferdinando II di Borbone. Secondo le informazioni ricevute, speravano di trovare Cosenza in rivolta ma, appena arrivati, non solo si rendono conto che la rivolta era già stata sedata ma vengono traditi e denunciati alle autorità da uno dei loro compagni. Presto sopraffatti dall’esercito borbonico, i fratelli Bandiera sono fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.

Nonostante Mazzini avesse sconsigliato una spedizione tanto avventata, dopo la morte dei due fratelli diversi altri esponenti del democratismo italiano (come Ferrari e D’Azeglio) lo accusano di mandare sconsideratamente alla morte i suoi giovani adepti, facendo così indirettamente il gioco dei liberali moderati e della monarchia sabauda, sempre pronti ad additare i democratici come degli avventuristi senza alcuna speranza concreta ed ottime possibilità di finire davanti ad un plotone di esecuzione.

 

Il 1848 milanese e la Repubblica Romana

 

Allo scoppio dei moti del 1848, Mazzini decide di rientrare in Italia: arriva nella Milano liberata dagli austriaci dove è coinvolto in vivaci polemiche che lo vedono contrapposto a Carlo Cattaneo, che gli rinfaccia di aver abbandonato l’intransigentismo repubblicano. Segue quindi il destino della città dopo il rifiuto di Carlo Alberto di difenderla e fugge di nuovo in esilio mentre Radetzky sta per rientrarvi.

Riparato di nuovo a Marsiglia, l’anno successivo Mazzini è al centro dell’esperienza della Repubblica Romana. A seguito dei sanguinosi moti del 1848, dovuti sostanzialmente al ritiro del contingente papale dalla prima guerra d’indipendenza, Pio IX aveva lasciato la città eterna per rifugiarsi a Gaeta sotto la protezione del re delle Due Sicilie. A Roma, rimasta senza governo, il 9 febbraio 1849 viene proclamata la Repubblica e, nell’assemblea costituente, che per avere un carattere nazionale accoglieva anche cittadini di altri Stati italiani, vengono eletti tra gli altri Mazzini e Garibaldi. A presiedere la neonata Repubblica, che si ispira ai principi della democrazia pura, è nominato un triunvirato composto dallo stesso Mazzini (che vi siede in posizione preminente), Carlo Armellini e Aurelio Saffi. L’ex capitale del potere oscurantista dei papi diventa in quei mesi un centro di avanzata sperimentazione politica: gli ideali democratici si concretizzano tramite l’istituzione del suffragio universale maschile, della abolizione della pena di morte e della libertà di culto.

Per difendere il nuovo Stato, accorrono a Roma lo stesso Garibaldi e molti di coloro che avevano combattuto in Lombardia come volontari al seguito di Carlo Alberto, tra cui il giovane poeta Goffredo Mameli, destinato a trovare la morte proprio in questa occasione. A porre fine all’esperienza repubblicana è il contingente francese mandato da Luigi Napoleone Bonaparte (il futuro Napoleone III) e guidato dal generale Oudinot. Nonostante l’eroica resistenza guidata da Garibaldi, la Repubblica cade il 3 luglio 1849 e Mazzini è costretto a riprendere la via dell’esilio, dapprima a Losanna, poi a Parigi, infine di nuovo a Londra.

 

L’unità d’Italia e l’emarginazione

 

La Repubblica Romana aveva costituito un banco di prova pratico per le idee mazziniane, poiché il repubblicano genovese ne aveva diretto il governo praticamente senza contrasti. Anche la fine dell’esperienza, avvenuta per mano di truppe della Repubblica francese, davano ragione al pessimismo di Mazzini verso quella nazione e verso la sua sinistra parlamentare.

Negli anni successivi, quindi, Mazzini gode di credito e rispetto soprattutto all’estero, dove continua il suo apostolato, descrivendo il problema italiano come parte di una più grande causa europea. In patria egli è invece oggetto degli attacchi di settori dello schieramento democratico che, come Ferrari e Cattaneo, lo accusano di verticismo e di mandare giovani patrioti al massacro; altri, come il napoletano Carlo Pisacane, rilevano la natura esclusivamente politica della rivoluzione mazziniana e la sua scarsa sensibilità per la questione sociale. Altri moti organizzati dai suoi seguaci falliscono in Lunigiana, in Valtellina e in Tirolo, dimostrando come la borghesia italiana non lo riconosca più come un leader politico; le sue campagne contro la guerra di Crimea nel 1854 gli alienano le simpatie di coloro che pongono al primo posto l’obiettivo dell’unità nazionale 3.

Proprio alla vigilia della spedizione che Carlo Pisacane prepara per lo sbarco in Cilento nell’estate 1857, Mazzini si riavvicina al collega patriota, malgrado le permanenti divergenze in merito alla problematica sociale e alle concezioni materialistiche di quest’ultimo. il tragico fallimento della stessa ed il suicidio di Pisacane di fronte all’ostilità delle masse popolari rurali su cui contava per una sollevazione repubblicana e “socialista” contribuiscono alla definitiva emarginazione di Mazzini nello scacchiere politico italiano. Il ciclo unitario che si conclude nel 1860 vede trionfare sì l’ipotesi unitaria, ma sotto l’egida monarchica ed autoritaria della monarchia sabauda, contro la quale Mazzini si era battuto senza sosta. A riprova di tutto questo, un suo tentativo di dettare una linea politica a Garibaldi alla vigilia della sua partenza da Quarto viene accolto dal generale con estrema freddezza.

Perfino a Napoli, dove il genovese si reca dopo la vittoria dei Mille, una grande manifestazione, probabilmente aizzata da Cavour, sfila per le strade al grido di “Morte a Mazzini!”.

 

Il movimento operaio e gli ultimi anni

 

Gli anni successivi all’unità d’Italia vedono Mazzini - privo di qualsiasi credito presso la classe dirigente italiana, anche e soprattutto per quanto riguarda coloro che in gioventù lo avevano seguito fedelmente per passare poi a posizioni più moderate e “realiste” - dedicarsi allo sviluppo delle formazioni operaie ispirate alle sue idee. Anche su questo terreno, tuttavia, Mazzini finisce per trovarsi in minoranza e addirittura “in ritardo” rispetto ai fermenti che covano in Europa, tanto che la sua idea di emancipazione delle classi subalterne tramite l’educazione e l’apostolato risulta non solo vaga ed inefficace ma addirittura, per alcuni versi, reazionaria: ad esempio, egli considera “immorale” lo sciopero, in quanto contrario all’universale diritto al lavoro.

Nel 1864 Giuseppe Mazzini partecipa alle riunioni per la creazione della Prima Internazionale ma a prevalere è la linea di Karl Marx, avente come cardini il materialismo storico e la lotta di classe, che invece Mazzini considera innaturale e lesiva dell’unità nazionale. In Italia, sebbene Mazzini riesca a mantenere l’egemonia nelle società operaie del centro-nord, è insidiato dal diffondersi delle idee anarchiche di Michail Bakunin, trasferitosi a Napoli nel 1865.

L’anno della definitiva rottura è però il 1871 quando, dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, Parigi rifiuta di cedere all’assedio prussiano e al governo conservatore stabilitosi a Versailles e proclama la Comune rivoluzionaria. Si tratta del primo esperimento di governo operaio e socialista della storia e la sua resistenza contro l’esercito “versagliese” chiama alla solidarietà le società operaie di tutto il continente. Giuseppe Garibaldi (che già aveva combattuto a Tolone contro i prussiani) si dichiara internazionalista e tenta, senza riuscirci, di raggiungere Parigi per collaborare alla sua difesa. Mazzini, al contrario, lancia veri e propri anatemi contro il governo socialista poiché in esso vedeva la fine della Nazione e la minaccia di uno smembramento della Francia. Una simile presa di posizione determina la defezione di molte società operaie, che da mazziniane diventano garibaldine e, quindi, socialiste e internazionaliste. Ormai completamente isolato, Mazzini muore a Pisa il 10 marzo 1872.

1 Al momento della nascita, egli è dunque cittadino francese, vista l’occupazione napoleonica della Liguria e l’annessione all’Impero.

2 Così come teorizzata dall’aristocratico, cospiratore e militare piemontese Carlo Bianco di Saint-Jorioz che, consapevole dell’impossibilità di concentrare in un solo punto della penisola grandi masse di armati e di servirsi degli eserciti degli Stati preunitari, suggerisce di sviluppare piccole formazioni mobili, sul tipo di quelle createsi in Spagna e in Calabria contro le truppe napoleoniche, e di concertare una serie di azioni di guerriglia per logorare le forze degli occupanti fino a costringerli ad abbandonare il territorio.

3 La partecipazione, al fianco di Francia e Inghilterra, di alcuni reparti piemontesi al conflitto contro l’Impero Russo era stata fortemente voluta dal ministro piemontese Camillo Benso conte di Cavour per creare le condizioni di un’alleanza, anche militare, con Napoleone III, che avrebbe poi dato i suoi frutti nella seconda guerra d’indipendenza.