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"Myricae" di Pascoli: analisi e commento della raccolta

Introduzione Le edizioni dell'opera

Introduzione

Myricae è la prima raccolta di Giovanni Pascoli e viene pubblicata per la prima volta nel 1891, in un’edizione comprendente solo 22 componimenti. Successivamente, il poeta interverrà spesso per rimaneggiare e modificare il testo, che nel 1911 giungerà a raccogliere complessivamente ben 156 poesie.

Il titolo, come indicato anche dall’epigrafe alla prima edizione, è di ascendenza classica: è tratto infatti dalla quarta ecloga di Virgilio (“Sicelides Musae, paulo maiora canamus! | Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae”) ed indica da subito l’ambientazione della raccolta nell’umile realtà del mondo della campagna, che il poeta descrive con sfumature simboliste.

Tematiche

Myricae, pur essendo una raccolta in progress dal 1891 al 1911, presenta alcuni nuclei tematici ben identificabili, che costituiscono anche la linea fondamentale della poetica pascoliana. Innanzitutto, spicca nei testi di Myricae il mondo della natura e della campagna, contemplato nelle sue realtà più “umili” (simboleggiate appunto dalle “tamerici” del titolo) e cariche di implicazioni simboliche. È compito del poeta, che deve farsi “fanciullino” (come Pascoli spiegherà in un importante testo teorico), cogliere il mistero che sta dietro alle cose e trasmetterlo agli altri uomini con gli strumenti della creazione letteraria.

Alla descrizione del mondo naturale (che raggiunge le punte di massima espressività in testi come L’assiuolo o Novembre) e della sua ciclicità, si aggiungono - soprattutto a partire dall’edizione del 1894 - altri temi tipicamente pascoliani, come il dolore per la perdita degli affetti familiari (esemplare in questo senso X Agosto) e in generale il tema della morte e del conflitto tra la purezza del mondo di Natura e le minacce del mondo reale, fino ad arrivare al compito storico-sociale della figura del poeta.

Stile e poetica

Dal punto di vista letterario Myricae si inserisce nella tradizione poetica simbolista, di cui Pascoli è uno dei principali esponenti; in tal senso, il poeta si serve di una serie di strumenti tecnici e di figure retoriche ricorrenti, all’interno di strutture metriche che restano regolari ed ancorate alla tradizione per quanto riguarda le strutture strofiche e il ricorso alla rima o alle forme di assonanza e consonanza.

Innanzitutto, ad essere privilegiate sono le sensazioni e le percezioni indistinte, che riproducono le sensazioni sfumate (e talvolta inquietanti) dell’io poetico di fronte al mistero della natura, come ad esempio in Lavandare. Pascoli così privilegia strutture sintattiche leggere, prevalentemente costruite per paratassi, su cui intervenire per mezzo di figure retoriche caratteristiche (analogie, sinestesie, metonimie e onomatopee). Importantissimo è poi l’aspetto fonosimbolico del testo, per cui la struttura di suoni della poesia deve evocare sulla pagina le sensazioni e le intuizioni provate dal poeta.