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Giovanni Verga: "Eva", "Tigre reale", "Eros": trama e commento

Se già Storia di una capinera aveva fatto intravedere alcune risorse tipiche della narrazione verghiana del primo periodo, i romanzi successivi dello scrittore catanese (pur rimanendo anch’essi confinati in una fase creativa distinta da quella, più nota, della produzione verista) costituiscono uno sviluppo coerente di queste premesse.

 

Il modello narrativo di riferimento (già sperimentato del resto in Una peccatrice del 1866) è sempre quello del romanzo psicologico borghese di ambientazione contemporanea, in cui lo sguardo del narratore indaga le inquietudini sentimentali di protagonisti che si distinguono, per connotati sociali o per finezza d’animo, dalla massa della gente comune. Questa struttura, ricorrente fino alla “svolta” verista, permette al giovane autore di mettere in campo i temi a lui più cari: la rappresentazione di una società moderna, letta attraverso gli strumenti di un “metodo” realista in divenire, la centralità della passione amorosa (spesso fonte di rovina per chi vi cede), un certo autobiografismo soffuso e mascherato che, oltre che dall’eredità romantica, dipende anche dalla situazione personale di Verga, che tenta la carriera letteraria in “un’atmosfera di Banche e di Imprese industriali”, per dirla con le parole della Prefazione ad Eva.
Non sarà un caso, allora, che i protagonisti siano giovani borghesi od aristocratici, a volte artisti (come l’Enrico Lanti di Eva) al centro di turbinose vicende sentimentali; mentre Eva è il romanzo della passione distruttiva tra un artista e una ballerina di successoTigre reale racconta il rapporto tumultuoso tra Giorgio La Ferlita, giovane diplomatico superficiale e vanesio, e una contessa russa, Nata, languida e sdegnosa ma condannata a morte dalla tisi. In Eros (ultimo romanzo di questo apprendistato tra tardoromanticismo e suggestioni scapigliate, che vuole descrivere le cosiddette “esuberanze patologiche” della società contemporanea dell’autore) il protagonista è invece il marchese Alberto Alberti, che, diviso tra l’amore per la pura e semplice cugina Adele, che poi sposerà, e la bella e fatale Valleda, si rivela infine incapace di provare sentimenti autentici per l’una o per l’altra. Il suo atteggiamento vacuo ed oscillante avrà però conseguenze drammatiche; alla morte di Adele per consunzione, Alberto farà seguire il suo suicidio:

 

Il letto era intatto, la coperta liscia e distesa, il guanciale non aveva una piega. Ei stette ritto dinanzi a quel letto lunga pezza, guardandolo con occhi astratti; mise la mano con un gesto malfermo sulla rimboccatura della coperta, esitò, colle dita increspate e contratte, e ad un tratto, bruscamente, risolutamente, tirò in giù la coperta, e cadde pesantemente ai piedi del letto col capo sul cuscino.

Si udì un colpo di pistola.

Se è fuori di dubbio che l’impostazione narrativa e lo stile di Eva, Tigre reale ed Eros restano ancora ben legati alla tradizione (anche per la ricerca da parte di Verga del consenso da parte del pubblico), possiamo già notare, come in un embrione, alcune caratteristiche del narratore verista: su tutte, la progressiva apertura, da Storia di una capinera in poi, del quadro della rappresentazione sociale e il parallelo rifiuto del narratore (che si avvicina al criterio naturalistico dell’impersonalità, e cioè lo sforzo per evitare giudizi o punti di vista soggettivi, come teorizzerà con cura la Prefazione all'Amante di Gramigna) di intervenire direttamente nelle vicende narrate. Al tempo stesso, si sviluppano da qui quell’atteggiamento critico e disincantato contro le ipocrisie e le storture della società mondana e quella riflessione amara sulla vanità di ogni passione amorosa che torneranno anche nelle opere a venire di Giovanni Verga.