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Primo Levi, "Se questo è un uomo": analisi e commento della "Prefazione"

Introduzione

 

Se questo è un uomo è un romanzo scritto da Primo Levi immediatamente dopo essere tornato in Italia dalla tremenda esperienza di reclusione nel campo di concentramento nazista di Buna-Monowitz, all’interno del complesso di Auschwitz, nel 1945.

Questo libro, in cui conflusicono elementi storici, letterari ed antropologici, si apre con la poesia Shemà di Levi stesso e con un’importante Prefazione, in cui l’autore chiarisce le motivazioni profonde che l’hanno portato a scrivere il romanzo e le finalità ch egli si è prefissato. Se questo è un uomo nasce infatti come un preciso compito di testimonianza sulla tragedia dei campi di sterminio della Germania nazista e sull’inumana vita nei lager. L’opera descrive così circa un anno di permanenza di Levi nel campo di Auschwitz, procedendo non in maniera cronologica ma dedicando ogni capitolo ad un argomento o ad un tema specifici (come nel celebre episodio del Canto di Ulisse). Ad oggi, Se questo è un uomo è considerato una delle principali testimonianze sull’eccidio di milioni di persone nei campi di sterminio nazisti 1, a fianco de Il diario di Anna Frank (1929-1945) e de La notte di Elie Wiesel.

 

La Prefazione di Se questo è un uomo

 

Se la poesia Shemà costituisce l’appello morale al lettore e il perentorio invito a non dimenticare l’orrore della Shoah, la Prefazione riveste un ruolo altrettanto importante per mettere a fuoco le finalità del testo. Significativamente, il breve testo si apre con la parola “fortuna”, in quanto per Levi il dramma del lager sta appunto nel fatto che la distinzione tra “salvati” e “sommersi” (ovvero, tra la vita e la morte) si riduce il più delle volte ad una mera casualità:

Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli.

La “fortuna” di Levi è insomma quasi paradossale: l’essere giunto ad Auschwitz in un periodo relativamente favorevole per i detenuti, le cui possibilità di sopravvivenza quindi sono poco più alte della media. A questa constatazione, segue il proposito di Levi; lo scrittore non si prefigge l’obiettivo di sconvolgere l’animo del lettore con la descrizione minuziosa delle atrocità del lager (“Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull’inquietante argomento dei campi di distruzione”) né egli vuole “formulare nuovi capi d’accusa”. Piuttosto, con l’atteggiamento tipico dello scienziato (si pensi anche ad un’opera come Il sistema periodico del 1975), Levi vuole “fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”. Per l’autore infatti l’odio razziale per il “diverso” è una “infezione latente” che giace nel fondo dell’animo umano. Quando questa convinzione  diventa un “dogma” e un sillogismo per cui ogni straniero in quanto tale è da eliminare, allora nascono i campi di sterminio, che è per Levi “il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza”.

Di fronte a questo rischio per l’umanità, il valore della testimonianza è irrinunciabile 2, ed è tale da condizionare in profondità la struttura e la natura stessa del libro:

Se non di fatto, come intenzione e come concezione esso è nato fin dai giorni del Lager. Il bisogno di raccontare agli “altri”, di fare gli “altri” partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore.

La scrittura di getto del libro - “in una specie di trance”, come dirà Levi in un’intervista del 1984 - spiega il “carattere frammentario” della sua struttura, poiché “i capitoli sono stati scritti non in successione logica, ma per ordine di urgenza”. La necessità della testimonianza si unisce insomma in Se questo è un uomo con il valore inestimabile di ciò che si vuole raccontare. Levi lo specifica anche nell’ultima riga della Prefazione, dove, a scanso di equivoci, precisa che:

Mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti è inventato.

1 Nonostante la fama del libro, Se questo è un uomo venne inizialmente rifiutato dall’editore Einaudi e pubblicato nel 1947 da De Silva. Solo nel 1958 - dopo che l’autore rivide il testo, arricchendolo in più parti - fu pubblicato dalla casa editrice torinese.

2 Levi infatti afferma che: “La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”.