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"I promessi sposi", capitolo 33: riassunto e commento

Il capitolo XXXIII dei Promessi Sposi si apre con l’immagine di don Rodrigo che torna a casa con il Griso e i pochi bravi sopravvissuti per ora all’epidemia, dopo una nottata di baldoria. Lungo il cammino don Rodrigo comincia però a sentirsi poco bene e, già temendo la peste, si butta sotto le coperte appena raggiunta la sua dimora. Dopo una nottata di pene e sospiri, animata da sogni terribili affollati da appestati e da un fra Cristoforo accusatore, si sveglia angosciato e si scopre un bubbone sotto l’ascella, segno inconfondibile della peste. Chiede così al Griso di correre a chiamare il chirurgo Chiodo che, dietro pagamento, cura gli ammalati mantenendo il segreto, così da risparmiarsi il lazzaretto. Ma il Griso, avido brigante, tradisce il suo padrone e invece di Chiodo va ad avvertire i monatti affinchè portino don Rodrigo al al lazzaretto, lasciando il campo libero alle sue scorrerie. Mentre si apprestano a portarlo via i monatti e il Griso fanno allora razzia dei beni di don Rodrigo. Il Griso però il giorno seguente, mentre si sta dando nuovamente al saccheggio, sta male e muore mentre i monatti lo trasportano al lazzaretto.

 

Manzoni sposta così la sua attenzione su Renzo che aveva lasciato al filatoio sotto il nome falso di Antonio Rivolta; scopriamo che anche lui ha contratto l'epidemia, ma ne è guarito, e non ha abbandonato i suoi propositi ("Col tornar della vita, risorsero più che mai rigogliose nell’animo suo le memorie, i desidèri, le speranze, i disegni della vita; val a dire che pensò più che mai a Lucia").

Renzo decide dunque di tornare al suo paese per avere notizie della sua amata, approfittando del trambusto e della confusione portati dall’epidemia:

 

Verso sera, scoprì il suo paese. A quella vista, quantunque ci dovesse esser preparato, si sentì dare come una stretta al cuore: fu assalito in un punto da una folla di rimembranze dolorose, e di dolorosi presentimenti: gli pareva d’aver negli orecchi que’ sinistri tocchi a martello che l’avevan come accompagnato, inseguito, quand’era fuggito da que’ luoghi; e insieme sentiva, per dir così, un silenzio di morte che ci regnava attualmente.

Lungo la strada incontra prima Tonio, reso “mezzo scemo” dalla peste, e poi don Abbondio. Quest’ultimo, preoccupato alla vista di Renzo, gli dà contro voglia qualche notizia di Agnese e di Lucia, la prima ricoverata nella Valsassina e la seconda a Milano. Il dialogo tra i due uomini prosegue enumerando i morti che la peste si è portata via lì in paese, compresa Perpetua. Renzo decide di raggiungere la sua casa e, lungo il cammino, vede la sua vigna, spoglia e desolata come tutto il resto. Poi si dirige verso la casa, ormai abbandonata ai topi, e lì incontra un vecchio amico. Dopo essersi ritrovati, si raccontano le proprie vicende e l’amico informa Renzo sulle traversie che ha vissuto Lucia e gli rivela che si trova a casa di don Ferrante. Il mattino seguente dunque Renzo si mette in marcia per raggiungere la sua amata in città, e arriva alle porte di Milano.

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