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"I promessi sposi", capitolo 1: riassunto e commento

Introduzione

 

Il primo capitolo de I promessi sp​osi di Alessandro Manzoni si apre con una descrizione paesaggistica e con la presentazione del contesto storico: quella del lago di Como, dei suoi monti e della città di Lecco, del 7 novembre 1628. In questo paesaggio viene inserito il primo personaggio della storia Don Abbondio, curato di un paese della zona, che sta tornando a casa dalla sua passeggiata. Purtroppo per lui verrà fermato da due “bravi” di Don Rodrigo.

 

Riassunto

 

Dopo l’Introduzione, la vicenda prende avvio con la celebre descrizione del “ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno” 1 che, presenta prima lo spazio in cui il romanzo è ambientato (Il lago, l’Adda, il Resegone, la città di Lecco, la “stradicciola” del apese) poi - con una specie di “zoom” cinematografico - il personaggio di un modesto curato di paese, Don Abbondio. Quest’ultimo, che passeggia serenamente leggendo il suo breviario, incontra ad un bivio due uomini che stanno aspettando proprio lui:

 

Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto.

 

Sono i “bravi”, uomini armati al servizio del signorotto locale, Don Rodrigo, che hanno il compito di gestire l’ordine e tenere sotto controllo il territorio, eseguendo ovviamente i desideri del loro signore. In questo caso, i bravi sono stati incaricati da Don Rodrigo di impedire il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella (che il nobilotto spagnolo vuole conquistare); matrimonio che don Abbondio avrebbe dovuto appunto celebrare l’indomani. Per rendere più efficace la loro minaccia i due, oltre a pronunciare, “in tono solenne di comando”, la famosa frase “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai” 2, aggiungono il nome di “don Rodrigo”, che gela il sangue al povero curato, che non può che replicare:

 

“... Disposto… disposto sempre all’ubbidienza.”

 

Don Abbondio, sconvolto dall’avvenimento (in una breve digressione, Manzoni illumina la psicologia e lo stile di vita del curato, che ha sempre cercato di tenersi lontano dai guai sapendo di essere “un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro” 3 immagina la reazione del giovane Renzo, noto per arrabbiarsi facilmente se contraddetto, e, giunto a casa, si confida con la serva Perpetua, nonostante i “bravi” gli abbiano intimato il silenzio. La donna, pettegola ma di animo pratico, consiglia a Don Abbondio di rivolgersi al Cardinal Borromeo per denunciare le prepotenze di Don Rodrigo; ma il curato, codardo e spaventatissimo, non accetta il consiglio e anzi le intima il silenzio.

 

Le due digressioni del primo capitolo: le “gride” e la giustizia

 

Il primo capitolo dei Promessi sposi è caratterizzato, oltre che dalla descrizione iniziale e dall’ingresso in scena di don Abbondio e dei “bravi”, anche da due digressioni di carattere storico, in cui il narratore si concede uno spazio d’intervento personale. Si tratta di una tecnica tipica del genere del romanzo storico misto di eventi reali e di invenzione che Manzoni aveva in mente sin dal Fermo e Lucia.

 

La prima, inserita dopo il momento in cui don Abbondio scorge i due “bravi”, è quella sulle “gride”, cioè la serie di inutili provvedimenti legislativi dell’amministrazione spagnola che avevano provato a limitare il fenomeno di questi piccoli eserciti privati al soldo dei potenti dell’epoca. Il narratore manzoniano cita direttamente alcuni di questi provvedimenti per ironicamente mettere in luce - come già aveva fatto nell’Introduzione con lo stile retorico ed ampolloso dell’Anonimo secentesco - come il linguaggio della giustizia sia lontanissimo dalla realtà concreta dei fatti. L’ironia manzoniana sfrutta la tecnica dell’elencazione e dell’accumulo: nessuna delle leggi citate (si va dall’8 aprile del 1583 al 13 febbraio del 1632) è davvero riuscita a risolvere il problema.

 

La dominazione spagnola sull’Italia del XVII secolo (che al lettore di Manzoni doveva ricordare quella austriaca a lui contemporanea) è allora strettamente connessa al problema della giustizia, che attraversa tutto il romanzo, collegandosi a quello della Provvidenza divina. La seconda digressione di questo capitolo parte proprio dalla considerazione che don Abbondio non era “un cuor di leone” 4 e dal fatto che la legge non assicura protezione ai più deboli:

 

La forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui.

La deformazione della Giustizia si estende e si propaga a più livelli: la già menzionata inutilità delle leggi, i privilegi di casta e di corporazione, l’impunità che la Chiesa garantisce a chi ha commesso un delitto ospitandolo in chiese e conventi, la corruzione di chi deve amministrare la legge. Ne consegue, amaramente, che l’unica attività sicura sta “nell’opprimer [...] e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa” 5.

1 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato, 1988, p. 8.

2 Ivi, p. 17.

3 Ivi, p. 21.

4 Ivi, p. 19.

5 Ivi, p. 20.