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Il protestantesimo: dalla vendita delle indulgenze alla riforma luterana

Introduzione

 

Tra la fine del Medioevo e la prima metà del XVII secolo l’Europa cristiana fu attraversata da un impetuoso vento di riforma i cui esiti sconvolsero per sempre la sua fisionomia. Era convinzione diffusa che la Chiesa e le sue strutture, così come la dottrina e la pratica religiosa, dovessero essere riformate, e anche che il clero andasse moralizzato. Dobbiamo però capire cosa si intendeva esattamente a quei tempi con il termine “riforma”. Al giorno d’oggi “riforma” è sinonimo di modernizzazione; riformare significa progredire, andare avanti. Tra XV e XVI secolo con il termine “riforma” si intendeva tutt’altro: era un “ritorno all’antica forma”. Riformare significava sì migliorare, ma purificando, sfrondando il Cristianesimo da tutte quelle incrostazioni che nel corso dei secoli l’avevano modificato e reso quasi irriconoscibile.

Era con lo sguardo rivolto al passato, a quell’antica forma di purezza e perfezione che era il Cristianesimo delle origini, l’età apostolica, che i “riformatori” chiedevano a gran voce una palingenesi 1 della Chiesa di Roma. È d’altro canto lo stesso atteggiamento culturale che caratterizzò l’Umanesimo: il ritorno ai classici, latini e greci, altro non era se non l’idealizzazione di un modello di perfezione perduta a cui ci si sarebbe dovuti ispirare e che si sarebbe potuto eventualmente eguagliare, ma mai superare. Fu solo con il XVIII secolo e l’Illuminismo che il “mito delle origini” fu definitivamente soppiantato dal mito del progresso e da una diversa concezione dello sviluppo storico, lineare e progressivo.

 

La riforma protestante in Europa

 

La Chiesa medievale aveva dovuto gestire il problema dei suoi rapporti con le potenze politiche. Nel quadro della lotta per le investiture, il papa Gregorio VII (1020-1085) era giunto a formulare una compiuta teorizzazione della supremazia del potere universale del papa rispetto a quello dell’imperatore (ovvero, una teocrazia), ma il successivo tentativo della Monarchia francese di porre sotto tutela la Chiesa portò al grande Scisma d’occidente (1378-1417).

Immagine:Riunione di teologi, vescovi, cardinali e dell’antipapa Giovanni XXIII nella Cattedrale di Costanza, Uhlich Richental, 1460-1465.

I concili di Costanza (1414-1417) e di Basilea (1430) furono convocati proprio per porre fine ad una intollerabile situazione di compresenza di centri di potere e di istituzioni ecclesiastiche, ciascuna delle quali si poneva come l’unica legittima. In tale condizione di debolezza istituzionale il Concilio - ovvero una riunione solenne di tutti i vescovi della Cristianità - riuscì ad imporsi come organo decisionale supremo della Chiesa, superiore al papa e alle chiese nazionali 2, e anche ad ottenere la sua convocazione a scadenze regolari 3. Ciò nonostante il Papato riuscì a risalire la china e a recuperare le posizioni perdute rispetto al conciliarismo. Ciò soprattutto grazie alla sovranità temporale esercitata su un vasto territorio dell’Italia centrale - lo Stato della Chiesa - e ad una politica di accordi concordati con le maggiori monarchie europee: in cambio di sostanziose concessioni, soprattutto in materia di diritto di presentazione e nomina dei vescovi e di utilizzazione dei benefici ecclesiastici, i principali stati europei avrebbero fornito il loro incondizionato appoggio alla suprema autorità papale sulla Chiesa.

L’apparato burocratico e finanziario-fiscale della Chiesa era andato crescendo a dismisura, e con esso il numero e la mole dei dicasteri dello Stato, che globalmente danno vita alla Curia romana. I cardinali erano a capo di sfarzose e opulente corti principesche, mentre mali endemici del corpo ecclesiastico si andavano consolidando, minando irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra clero e fedeli. Da una parte la separazione tra ufficio e beneficio: succedeva sempre più spesso che chi era investito di un ufficio (di vescovo, di parroco o di abate) godeva di una determinata rendita (ovvero, il “beneficio”) senza però svolgere le mansioni che tale ufficio prevedeva, come la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti, in generale la cura d’anime. I vescovi erano spesso assenteisti, mentre i parroci non erano preparati e conducevano una vita immorale. Dall’altra bisogna considerare il grande sviluppo dei meccanismi giudiziari e fiscali della Curia, conseguenza diretta del decremento di entrate causato dalla politica dei concordati. Pur di incamerare denaro si era consolidata la prassi di sanare con versamenti in denaro (come le odierne multe) qualsiasi irregolarità canonica come censure o addirittura scomuniche. In pratica si vendevano benefici spirituali, come ad esempio le famose indulgenze per i peccati commessi. La vendita delle indulgenze, contro cui si scagliò Martin Lutero nel 1517, non era un episodico abuso perpetrato da una Chiesa corrotta, bensì un fenomeno strutturale della Chiesa medievale, sostenuto dalla dottrina teologica e canonistica così come si era andata delineando nel corso del medioevo.

I problemi della Chiesa di Roma non furono certamente l’unico fattore scatenante della Riforma protestante. Bisogna infatti considerare l’aspetto più propriamente teologico e dottrinale, specchio di un diverso modo di vivere il rapporto tra l’uomo e Dio e spiegare il mistero della salvezza eterna. La dottrina luterana non nacque dal nulla. Essa fu il corollario di un atteggiamento che era andato maturando in varie parti dell’Europa e che poneva al centro della riflessione teologica un rapporto più diretto del cristiano con Dio. Nell’Inghilterra del Trecento il teologo John Wycliffe (1320-1384), professore a Oxford, aveva predicato il ritorno della Chiesa alla povertà evangelica, negato la transustanziazione 4, rifiutato alcuni sacramenti, negato il libero arbitrio in nome della onnipotenza della grazia divina e della predestinazione, tradotto la Bibbia in lingua inglese per renderla fruibile a tutti.

 

Immagine: John Wycliffe.

I punti salienti della dottrina luterana erano tutti perfettamente anticipati nel movimento dei lollardi, come vennero chiamati i seguaci di John Wycliffe. Al Concilio di Costanza le sue dottrine furono ufficialmente riconosciute come eretiche e fonte di ispirazione di un altro grande riformatore, il boemo Jan Hus (1371 ca. - 1415).

Immagine: Jan Hus al Concilio di Costanza, Václav Brožík (1851-1901).

Nel 1517 papa Leone X aveva concesso l’indulgenza plenaria a quanti, confessi e penitenti, avessero versato una somma di denaro commisurata alla propria condizione. In Germania Alberto di Brandeburgo aveva ottenuto dal papa l’appalto della predicazione della bolla leonina: il nobile tedesco aveva bisogno di denaro da versare a Roma al fine di ottenere la dispensa per il cumulo dei due benefici, formalmente vietati dal diritto canonico, in quanto egli era contemporaneamente arcivescovo di Magonza e di Magdeburgo. Alberto si fece anticipare la somma dai banchieri tedeschi, e l’appalto dell’indulgenza funzionò come garanzia: i banchieri sapevano che l’arcivescovo sarebbe stato in grado di restituire la somma proprio in quanto avrebbe incassato le indulgenze dai fedeli tedeschi.

Contro questa pratica, e contro l’ennesima e più vistosa sua manifestazione, si scagliò Martin Lutero attraverso la diffusione delle sue 95 tesi. Quale fu la reazione di Roma e dei suoi teologi a questa sfida aperta all’autorità della Chiesa? All’epoca esisteva una istituzione che aveva il compito di vigilare sull’ortodossia cattolica, ed era l’Inquisizione, uno strumento in quel momento ancora non centralizzato - come sarebbe stato a partire dal 1542, a seguito della bolla Licet ab initio di papa Paolo III - e gestito dagli ordini mendicanti. In Germania, però, l’Inquisizione aveva scarsissima reputazione e capacità di azione, avversata dai teologi tedeschi, fortemente antiromani e influenzati dall’Umanesimo cristiano. Venne istruito comunque un processo romano per eresia ai danni di Lutero e fu inviato a Wittemberg il più celebre teologo romano dell’epoca, il domenicano Tommaso de Vio, detto il Caietano, per cercare di riportare l’agostiniano sulla retta via. L’incontro si risolse in un nulla di fatto. Il 15 giugno del 1520 arrivò dunque la scomunica per mezzo della bolla Exsurge domine, con la quale si ordinava la distruzione degli scritti di Lutero e si intimava al monaco di abiurare. Lutero non solo non abiurò, ma cominciò a redigere una serie di scritti che erano un attacco frontale alla Chiesa di Roma e una chiamata a raccolta del popolo tedesco (e in particolare della nobiltà) contro la prepotenza papale. Ricevuta la bolla, Lutero non esitò a bruciarla insieme a tutti i volumi del Corpus Iuris Canonici: tutta la tradizione ecclesiastica del Cristianesimo medievale veniva così simbolicamente rigettata.

Nell’inverno del 1521 fu convocata una Dieta imperiale 5 a Worms (Renania-Palatinato), chiamata tra le altre cose a pronunciarsi sull’applicazione della condanna papale delle 95 tesi. Lutero si recò a Worms e incontrò sia l’imperatore, sia il rappresentante papale. Le sue dottrine furono duramente contestate e fu invitato a ritrattarle. Lutero si rifiutò, e immediatamente venne tratto in salvo per ordine del principe elettore di Sassonia, Federico il Savio. Protetto nel castello della Wartburg, in Turingia, Lutero poté dedicarsi alla traduzione della Bibbia in lingua tedesca: la Sacra Scrittura, unica fonte di Verità, doveva essere portata alla fruizione diretta di tutti, senza l’intermediazione ecclesiastica.

Le idee luterane ebbero un successo inaspettato. Non fu la dottrina della giustificazione per sola fede a scatenare l’entusiasmo delle folle; non furono le inquietudini spirituali del monaco agostiniano, angosciato dall’esperienza del dolore e del male e tutto proteso alla perfezione celeste, ad eccitare lo spirito del popolo tedesco. La lettura popolare delle idee luterane fu di taglio decisamente nazionalistico e antiromano e, in taluni casi, democratico e sovversivo dell’ordine sociale, così come nazionalistico fu il sostegno che una parte dell’alta nobiltà tedesca diede a Lutero. Lo stesso Federico il Savio aveva una fede da un certo punto di vista molto vicina a quella che il riformatore tedesco stava tentando di combattere, fatta di devozioni e reliquie. Ma i principi tedeschi avevano tutto l’interesse a limitare da una parte le intromissioni dell’imperatore, dall’altra le invadenze del fiscalismo pontificio. Alla base del suo successo ci fu un’alleanza, decisiva, tra le ragioni della Riforma e le esigenze dei nascenti stati territoriali tedeschi: in ultima analisi, un’alleanza tra la Riforma protestante e il processo di consolidamento dello Stato moderno.

Una frangia “radicale” della Riforma, procedette all’abolizione immediata di ogni distinzione tra chierici e laici, delle immagini sacre e persino della messa. Andrea Carlostadio e Giovanni Ecolampadio, seguaci di Lutero, si prodigarono in questa spinta rivoluzionaria, ma si giunse alle più estreme conseguenze con Thomas Müntzer, un pastore della Turingia che interpretò il pensiero luterano nel modo più democratico che si potesse immaginare: il popolo degli illetterati (illuminati e scelti da Dio) era il vero e unico interprete della Scrittura e bisognava agire affinché l’ordine sociale fosse completamente trasformato dando il potere ai contadini e ai braccianti e combattendo l’arroganza dei ricchi feudatari. Ricercato dalle autorità politiche in quanto riconosciuto come sovversivo, fuggì e diede manforte alle rivendicazioni dei contadini che lottavano contro lo sfruttamento perpetrato dai signori feudali. Müntzer diede vita ad un movimento che inneggiava all’uguaglianza sociale, all’abolizione della proprietà privata e alla nascita di un nuovo ordine sociale. Tra il 1524 e il 1525 una vera e propria rivolta si scatenò in ampie zone della Sassonia, della Turingia, della Renania, della Svevia e del Tirolo. Ma Lutero sconfessò in maniera inappellabile il movimento, componendo uno scritto dal titolo Contro le bande brigantesche e assassine dei contadini, attraverso il quale l’ex monaco invitava le autorità a soffocare nel sangue la rivolta. Ancora una volta Lutero sposava le ragioni della nobiltà tedesca, e dietro questa scelta c’era una precisa concezione del potere politico, che al pari delle gerarchie sociali è voluto da Dio, e quindi non può essere sovvertito o abbattuto.  Con la battaglia di Frankenhausen, in Turingia (maggio 1525) l’esercito dei principi sbaragliò le armate dei contadini. L’anima democratica e rivoluzionaria della Riforma fu soffocata sul nascere con il beneplacito di Lutero.

1 Il termine palingenesi (dal greco palin-, “di nuovo”, e génesis, “generazione”), indica appunto in campo filosofico la rigenerazione o il rinnovamento del singolo individuo o dell’intero cosmo. È un concetto che attraversa molte filosofie antiche (il platonismo, il pitagorismo, l’orfismo) e che si ritrova in parte nel Nuovo Testamento. Affine all’idea di palingenesi è l’eterno ritorno della filosofia nietzschiana in Così parlò Zarathustra.

2 Si tratta del decreto Sacrosancta o Haec Sancta al Concilio di Costanza nel 1415.

3 Grazie al decreto Frequens promulgato sempre a Costanza nel 1417.

4 In teologia si dice “transustanziazione” l’atto di trasformazione del pane in corpo e del vino in sangue di Cristo al momento della celebrazione eucaristica. Tale dottrina fu sostenuta dalla Chiesa cattolica in opposizione alla “consustanziazione”, portata avanti invece dai luterani, secondo la quale nel pane e nel vino c’è sì presenza reale del corpo e del sangue di Cristo, ma non la trasformazione di queste due sostanze al momento della Eucarestia.

5 La Dieta imperiale o Reichstag era l’assemblea degli ordini (detti anche “ceti”) del Sacro Romano Impero.