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Gli “Annales” di Tacito: riassunto e commento

Introduzione

 

Gli Annales sono un’opera storica di Publio Cornelio Tacito (55 d.C. circa - 117 d.C. circa) in cui, dopo l’Agricola e le Historiae, l’autore ripercorre la storia del principato di Roma dal 14 d.C., anno della morte di Augusto, fino alla conclusione del regno di Nerone, nel 68 d.C. 1, così di ricollegarsi con le vicende narrate nelle Historiae. Il titolo che compare sui manoscritti è appunto Ab excessu divi Augusti libri, ossia Libri a partire dalla morte del divo Augusto; il titolo Annales si ricollega alla tradizione annalistica romana, ovvero al modello di narrazione della storia di Roma anno per anno. In realtà, Tacito si distaccherà in più punti da questo proposito, sia per seguire in maniera dettagliata eventi bellici e congiure di palazzo sia per concentrarsi su alcune figure di spicco, come quelle degli imperatori.

 

Riassunto

 

Libri I-VI: dopo un rapido incipit sul funerale di Augusto, che muore il 19 agosto del 19 d.C., si apre il governo di Tiberio, il cui atteggiamento si rivela ben presto tirannico e dispotico. Intanto a nord le popolazioni germaniche dei Catti e dei Cheruschi si ribellano; il valoroso Germanico parte per sottometterle. Germanico poi si sposta in Oriente, per morire presso Antiochia, probabilmente avvelenato da Cneo Pisone per ragioni di invidia personale. A Roma, dopo una digressione sulla natura del diritto, Tacito descrive la progressiva ascesa al potere di Seiano (20 a.C. - 51 d.C.), prefetto del pretorio di Tiberio, che è sempre più diffidente, moltiplica le condanne per lesa maestà e infine si ritira a Capri, dove sprofonda nella depravazione. Tiberio muore nel 37 d.C., a fine del libro sesto.

Libri XI-XVI: la narrazione si sposta alla seconda metà del governo di Claudio. Uomo dallo scarso piglio politico e personale, Claudio condanna a morte la scandalosa Messalina 2 per l’adulterio con Silio, e poi sposa in seconde nozze la figlia di Germanico Agrippina, di cui in breve diviene succube. Agrippina è già madre di Nerone e il filosofo Seneca viene richiamato dall’esilio (cui lei stessa lo aveva destinato) per curarsi dell’educazione del futuro imperatore. Frattanto, il prefetto del pretorio Afranio Burro si guadagna un posto di prestigio alla corte imperiale. Claudio muore avvelenato da Agrippina, che vuole accelerare la salita al trono di Nerone, il cui governo è inizialmente influenzato da Agrippina, da Seneca e da Burro stesso, prefetto del pretorio, che nutrono nei confronti del nuovo imperatore grandi speranze. Tuttavia, Nerone si rivela un despota: elimina Agrippina e il fratellastro Britannico, si libera dalla tutela di Seneca e Afranio Burro e fa trasparire tratti di dissolutezza e sadismo, coltivando al tempo stesso la passione per le arti e gli spettacoli. La depravazione di Nerone, che sposa la bellissima Poppea e poi la ucciderà una volta incinta, non ha più limiti. L’incendio di Roma, da lui ordito, viene fatto ricadere sui cristiani, che per questo vengono perseguitati. Dopo la congiura di Pisone, Nerone costringe i congiurati e molti sospetti a darsi la morte: tra di loro Seneca, Lucano e Petronio. Nerone dà il via alla persecuzione dei senatori favorevoli alle libertà repubblicane, tra cui Trasea Peto, che si suicida.
Qui si interrompe la narrazione.

 

Commento

 

Il panorama politico e sociale di Roma viene dipinto da Tacito nei suoi Annales con tinte fosche e cupe, in cui molti hanno letto, oltre al pessimismo dell’autore, la nostalgia della Roma repubblicana ma, al tempo stesso, l’amara consapevolezza di non poter recuperare quell’età felice uscendo dalla grave crisi del suo tempo. L’opera, lungi dal proporsi come un mero resoconto di fatti, si fa così viva testimonianza della corruzione del principato e del tramonto della potenza politica dell’aristocrazia senatoria.

La decadenza istituzionale si accompagna, nella narrazione degli Annales, a quella etica e morale, particolarmente evidente nelle figure dei tre imperatori-tiranni: Tiberio, cupo e paranoico, Claudio, stupido e inadatto, Nerone, sadico e perverso. L’opposizione al potere imperiale, seguendo la corrente della storiografia filosenatoria, non intacca però in Tacito l’obiettività nella presentazione dei fatti o l’onestà intellettuale nei confronti degli altri attori degli eventi: non a caso, egli guarda con sospetto e scetticismo la pratica del suicidio filosofico (celebre quello di Seneca nei capitoli 62-64 degli Annales) perché lo ritiene un gesto individuale ed isolato, inutile al miglioramento delle sorti collettive. Meglio piuttosto la scelta ironica, anticonvenzionale e coerente di Petronio, che si suicida da dandy ma denuncia senza paura la meschine nefandezze di Nerone e del suo gruppo di potere.

Al tempo stesso, conscio della corruzione dei suoi tempi, Tacito non ripone molte speranze nel ruolo del vulgus, e sottolinea spesso con amarezza l’ambiguità dell’atteggiamento della classe senatoria, scissa tra sterile opposizione al princeps e sua smodata adulazione servile. Alla base dell’operazione storiografica di Tacito si combinano così rigore analitico e necessità morale, che lo porta a presentare i fatti di grandi uomini (sulla scorta del modello di Sallustio nel De Catilinae coniuratione e del Bellum Iugurthinum) per instillare nel lettore la virtus dell’esempio di chi si è speso attivamente per lo Stato.

Tacito privilegia così una narrazione dai toni tragici e drammatici, a cui accompagna l’introspezione nella psicologia dei personaggi, per rintracciare le cause profonde del loro agire. Lo stile è volutamente arcaico e caratterizzato dalla brevitas sintattica e concettuale, che smonta l’impianto armonico ed ordinato della prosa ciceroniana. La pagina si arricchisce così di figure retoriche (antitesi, inversioni, asindeti ed ellissi, iperbati ed espressioni poetiche colte derivate da Virgilio e Lucano) che privilegiano la sintesi e l’espressività ed innalzano il livello della pagina verso uno stile colto ed elitario - talvolta oscuro ed allusivo - come la storiografia tacitiana e i suoi argomenti richiedono.

1 Degli Annales sono giunti sino a i libri dal I al IV, parte del V, il VI e i libri dal XII al XV, oltre a brani dell’XI e del XVI .

2 La figura di Messalina è ricordata in un famoso passo della sesta Satira di Giovenale, dove si ricorda l’abitudine di Messalina di prostituirsi sotto pseudonimo nei bordelli dei quartieri malfamati di Roma.