Le conseguenze della Rivoluzione industriale: borghesia e proletariato

La Rivoluzione industriale porta con sé una trasformazione radicale di ogni ambito della vita umana: dalla crescita esponenziale della popolazione mondiale all’esplosione dei fenomeni migratori su larga scala (tra 1815 e 1914, ad esempio, abbandonano l’Europa circa 60 milioni di persone), dallo sviluppo della vita urbana ai nuovi rapporti tra città e campagna.

L’industrializzazione non è un fenomeno privo di squilibri e disarmonie: ai boulevards e ai centri cittadini, simboli dell’affermazione della borghesia capitalistica fanno da contraltare le condizioni di vita del proletariato industriale, spesso confinato negli squallidi e degradati slums sorti accanto alle fabbriche. Le prime forme di organizzazione della classe operaia sono così osteggiate dal potere, che interviene con leggi specifiche per arginare proteste e scioperi, o per sedare ribellioni violente quali quelle del movimento luddista in Inghilterra nei primi decenni dell’Ottocento. In tal senso, le Trade Unions e il movimento cartista si faranno portavoci delle richieste della nuova classe lavoratrice.

Anche il pensiero borghese elabora nel frattempo i propri valori e la propria filosofia: Adam Smith (1723-1790) sintetizza ne La ricchezza delle nazioni (1776) i capisaldi del pensiero liberista, cui poi si rifaranno David Ricardo (1772-1823) e Thomas Robert Malthus (1766-1834) e, in generale, tutta l’economia classica. Tra le fondamenta del laissez-faire, c'è la convinzione che lo Stato debba intervenire il meno possibile nelle faccende economiche, per lasciare il maggior grado di libertà possibile all’iniziativa privata.


La lezione è a cura del Laboratorio LAPSUS (Università degli Studi di Milano).

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La Rivoluzione industriale porta con sé una trasformazione radicale in ogni ambito della vita umana. Partendo da un profondo stravolgimento del sistema produttivo, traccia la via per alcuni, fondamentali, cambiamenti in Europa e nel mondo sia a livello economico, con la crescita e la maturazione del capitalismo, sia a livello sociale e politico, con la formazione della borghesia industriale, proprietaria dei mezzi di produzione, e la classe operaia.

La forte crescita demografica in Europa nel corso dell'Ottocento, unita al calo dei prezzi dei trasporti, ha innescato un processo migratorio molto consistente, il quale si può suddividere in due tipologie:

La migrazione internazionale, che tra il 1815 e il 1914 ha portato all'abbandono dell'Europa da parte di circa 60 milioni di persone. La destinazione preferita è l'America del Nord (35 milioni negli Stati Uniti e altri 5 in Canada), ma anche il Sudamerica ha attirato molta della popolazione europea in viaggio (12-15 milioni). Le isole britanniche fornisce il maggior numero di emigranti. La Germania e i Paesi scandinavi registrano un forte numero di partenze. Importante è anche l'emigrazione interna all'Europa, con un progressivo spostamento di popolazioni slave e polacche verso Ovest.La migrazione interna, invece, è ancora più fondamentale della precedente per la Rivoluzione industriale. L'Ottocento vive un forte spostamento di popolazione dalla campagna verso la città, con una conseguente crescita degli abitanti nelle zone urbane: dal 1800 al 1900 in Gran Bretagna la percentuale di persone residente in città passa dal 30% al 75% della popolazione totale. Questo fenomeno si verifica soprattutto nei Paesi che per primi intraprendono la strada dell'industrializzazione.

L'emigrazione, nella maggior parte dei casi, è una decisione dettata dal tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita, cercando occasioni di lavoro nelle grandi città del proprio Paese che si andavano a costruire in quel periodo, oppure tentando l'avventura verso le Americhe, in larga parte ancora disabitate.

Le città, con la fondazione di nuove imprese e un afflusso praticamente continuo di nuova popolazione, sono state il fulcro dello sviluppo industriale, subendo dei cambiamenti notevoli sia in termini di grandezza, sia a livello di architettura. Fino ad allora il principale ostacolo alla crescita delle città è stata l'impossibilità di rifornire così tante persone occupate in attività industriali anziché agricole: questo problema è stato superato grazie alle innovazioni tecnologiche, le quali hanno permesso di liberare moltissima forza lavoro nelle campagne, incrementando allo stesso tempo la produzione agricola. 

La forte migrazione interna dalle campagne alla città ha comportato una crescita del territorio urbano: i nuovi arrivati si stabiliscono nei dintorni delle fabbriche in abitazioni di fortuna, portando alla creazione di veri e propri quartieri che in Gran Bretagna prendono il nome di slums. Questi sobborghi sono però in condizioni molto precarie dal punto di vista igienico-sanitario: molto frequenti ad esempio le epidemie di colera, malattia che si diffonde in luoghi sovraffollati ed inadeguati per la salubrità delle acque. 

Il confronto tra centro e periferia delle città è impietoso: 

Il centro, ampliato con l'abbattimento delle mura difensive ritenute oramai superflue, è composto dai primi quartieri residenziali dedicati alla borghesia industriale, affiancati da uffici, negozi e servizi. Le città più importanti, come Londra, Parigi e Berlino, operano diversi interventi per rendere questa zona della città maggiormente vivibile: abbiamo quindi periodi di grandi lavori pubblici, che trasformano completamente il fulcro del territorio urbano. Un esempio è il Piano portato avanti dal Barone Georges Eugène Haussmann (1809-1891), prefetto del Dipartimento della Senna tra il 1853 e il 1870, che trasforma Parigi dotandola di grandi viali (i famosi boulevards), mezzi di trasporto pubblici, illuminazione stradale e un sistema di fognatura efficiente.Le periferie appaiono in forte degrado, senza interventi di pianificazione rilevanti. I sistemi di fognatura e acque correnti non sono obbligatori, e la vicinanza alle fabbriche rende l'aria malsana e inquinata.

Il passaggio dall'agricoltura alle nuove forme industriali e la crescita delle città determinano la nascita di nuove classi sociali. L'aristocrazia terriera, classe dominante nelle società di Ancien régime basata sulla proprietà della terra come fonte di potere politico ed economico, nel corso dell'Ottocento è messa progressivamente in disparte e poi sostituita dalla nascente borghesia industriale, la quale grazie alla progressiva esplosione della Rivoluzione industriale ottiene una crescente influenza, fino a divenire il nuovo ceto sociale egemone. Contemporaneamente a questo periodo si ha il forte sviluppo delle classi lavoratrici, soprattutto in città, in seguito definite sotto la categoria collettiva di “classe operaia” o “proletariato” da Karl Marx (1818-1883), filosofo, economista, storico e sociologo tedesco. Il proletario, secondo l'accezione di Marx, è colui che presta la propria forza lavoro in cambio di un salario che gli consenta la sopravvivenza. 

A fronte di condizioni di vita, sia nelle abitazioni che nei luoghi di lavoro contraddistinte da un forte degrado, nel corso del secolo si hanno le prime forme di solidarietà e mutua assistenza operaia, le quali avrebbero dovuto garantire una sorta di autodifesa delle classi operaie di fronte al crescente sfruttamento sul lavoro. Il movimento in senso moderno nasce in contemporanea allo sviluppo dell'industria moderna: in generale si possono distinguere tre fasi nell'atteggiamento della maggior parte dei Paesi occidentali riguardo all'associazionismo di stampo operaio:

Una prima fase di repressione, esemplificata dalla legge Le Chapelier in Francia (1791), dai Combinations Acts in Gran Bretagna (1799-1800) e da legislazioni analoghe in altri Paesi.Una seconda fase, nella quale i governi hanno concesso ai sindacati una tolleranza limitata, accettandone la costituzione ma perseguendoli in caso di atti apertamente di conflitto, come ad esempio gli scioperi. In questo periodo può essere presa come esempio l'abrogazione dei Combination Acts in Gran Bretagna dal 1824-25.Una terza fase, limitata però solamente ad alcune realtà nel corso del Novecento, contraddistinta da un'autorizzazione del pieno diritto all'organizzazione per gli operai e le operaie.

In Gran Bretagna si ha una prima forma di lotta politica con il cosiddetto luddismo. Il movimento prende forma a partire dalle proteste che i lavoratori di maglie e calze al telaio (i framework-knitters) a cavallo fra il 1811 e il 1824. Questi operai, che svolgono la loro attività prevalentemente a domicilio, sono stati fortemente penalizzati dalla nascita delle prime fabbriche, dove venne concentrata gran parte della produzione: l'industrializzazione ha infatti comportato, per i framework-knitters, una forte riduzione di lavoro e una crescente difficoltà a guadagnarsi da vivere. La notte del'11 marzo 1811 una folla di lavoratori e disoccupati distruggono più di sessanta telai a Nottingham: le proteste divampano poi in tutta la contea, dove gruppi organizzati procedono a distruggere queste macchine industriali, prese come nemico simbolico della protesta. I tumulti hanno luogo all'urlo di: “È Ned Ludd che ce lo ordina!”, riprendendo la figura, forse mai esistita, un giovane che, come forma di protesta, avrebbe distrutto un telaio nel 1779. Ludd ben presto è preso come simbolo della ribellione violento contro la diffusione dell’industrializzazione e delle sue macchine industriali, e come protettore di tutti i salariati. Durante l'intero 1811 si ripetono degli attacchi da parte dei luddisti, che oltre al Nottinghamshire si allargano al Derbyshire e al Leicestershire: oltre a ciò, il clima generale di favore da parte della popolazione contribuiscono ad alimentare un atteggiamento di omertà. Il governo inglese reagisce nel 1812 con la Frame Breaking Bill, che introduce la pena di morte per coloro trovati a distruggere macchine per produzione industriale.

In questi anni alla lotta luddista si aggiungono anche operai di altri settori, come i lavoratori dell'industria cotoniera e laniera. A seguito poi dell'abrogazione delle leggi contro l'associazione molti luddisti confluiscono nelle nascenti Trade Unions, essenzialmente delle associazioni nazionali di categoria con l'obiettivo di migliorare le condizioni economiche dei lavoratori. In seguito poi si uniscono, in parte, anche alla lotta dei cartisti per ottenere:

Il voto garantito ad ogni maschio di ventuno anni, sano di mente e mai condannato;Il voto segreto per proteggere l'elettore nell'esercizio del suo diritto di voto;Nessun obbligo di proprietà nella qualificazione per concorrere ad essere membro del Parlamento.L'indennità parlamentare, per consentire a tutti i lavoratori di servire lo Stato senza essere penalizzati economicamente;La revisione delle circoscrizioni elettorali, assicurando la stessa quantità di rappresentanti a un pari numero di elettori;Il Parlamento Annuale, che costituiva il metodo più efficace contro il ricatto e le intimidazioni.

Il periodo della Rivoluzione industriale coincide con un profondo cambiamento nell'ambito della politica economica. Si fa sempre più largo l'idea di una necessità di libertà del sistema economico, il quale spogliato dei legacci del passato avrebbe spiegato la propria piena potenza. Il liberismo economico, come è stato poi chiamato, prende le sue origini nel Settecento. Tra il 1760 e 1770 i fisiocrati in Francia esaltano i meriti della libertà economica e della concorrenza. 

Nel 1776 Adam Smith (1723-1790) pubblica La ricchezza delle nazioni, nel quale esplicita come l'abolizione di restrizioni all'iniziativa privata avrebbe portato appunto la ricchezza delle nazioni al massimo grado. Dopo la sua morte, le idee di Smith, arricchite poi dai contributi che Thomas Robert Malthus (1766-1834) e David Ricardo (1772-1823) hanno portato al filone dell'economia classica, iniziano ad essere messe in pratica. Oltre al libero scambio, il liberismo sollecitava un minor intervento del governo nell'economia. La dottrina del laissez-faire - letteralmente “lasciate fare” - puntava proprio a un maggior grado di libertà dell'iniziativa da parte dai privati, senza che l'ingerenza da parte dello Stato la frenasse.

Questi forti cambiamenti indotti dalla Rivoluzione industriale, che intervengono sia nella società che nell'economia del tempo, si tradurranno in seguito anche sul piano filosofico e politico, con l'elaborazione di varie teorie fondamentali per l'Ottocento e il Novecento.