11'

Sallustio, “Bellum Iugurthinum”: riassunto e commento

Introduzione

 

Il Bellum Iugurthinum (noto anche con i titoli De bello Iugurthino e La guerra contro Giugurta) è la seconda monografia scritta dallo storico romano Gaio Sallustio Crispo dopo il De Catilinae coniuratione; l’argomento è la guerra combattuta contro il re di Numidia Giugurta che impegna Roma dal 111 al 105 a.C. e condotta a termine dal console romano Gaio Mario (112-105 a.C.). L'opera fu composta e pubblicata intorno al 40 a.C.

 

Riassunto

 

Come avvenuto nel proemio del De Catilinae coniuratione, nei primi quattro capitoli del Bellum Iugurthinum troviamo un'introduzione di natura filosofica e metodologica. A detta di Sallustio l'uomo è composto di corpo e anima ma, mentre le azioni compiute dal corpo sono caduche e finite nel tempo e nello spazio, quelle portate a termine dall'anima sono destinate alla gloria eterna oltre la morte. Sallustio - anche per motivazioni autobiografiche - ribadisce che la fama presso i posteri si può conseguire, nel clima di corruzione dilagante della vita pubblica, dedicandosi alle attività intellettuali, come quelle storiografiche (capitoli 1-4).

Dopo una veloce introduzione (capitolo 5) sulla scelta dell’argomento (sempre con il “taglio” monografico dell’opera precedente), Sallustio apre il Bellum Iugurthinum con una descrizione degli eventi precedenti allo scoppio vero e proprio delle ostilità (capitoli 6-16, che coprono gli eventi che vanno dal 120 al 117 a.C.). La Numidia era stata alleata di Roma dai tempi della seconda guerra punica (218-202 a.C.), quando Massinissa si era schierato apertamente contro Cartagine durante la campagna di Scipione in Africa 1. Micipsa, successore di Massinissa, aveva due figli, Aderbale e Iempsale. Insieme a questi aveva educato nella sua reggia anche il nipote Giugurta, figlio di suo fratello Mastanabale. Giugurta, dotato di molte qualità, si guadagna ben presto le simpatie del popolo; Micipsa, temendo per la successione al trono dei figli, manda il nipote a combattere al fianco di Scipione Emiliano nella guerra di Numanzia 2, sperando nella sua morte in combattimento.

Ma le cose vanno diversamente. Giugurta viene apprezzato per le sue qualità dallo stesso Scipione, e il giovane numida scopre pure il carattere corrotto della nobiltà romana, facendosi l'idea che “Romae omnia venalia sunt” 3. Vedendo vicina la morte, Micipsa, non potendo far niente contro la popolarità di Giugurta, decide di dividere in parti uguali il regno tra i due figli e il nipote. Ma Giugurta disattende subito il patto e uccide Iempsale, mentre Aderbale, sconfitto in battaglia, fugge a Roma cercando l'appoggio del senato romano. Roma si pone allora come paciere tra i due re rivali. I problemi sorgono quando gli emissari del senato, corrotti da Giugurta, favoriscono il nipote di Micipsa in ogni modo 4.

Dopo un veloce excursus di natura geografica sulla Numidia (capitoli 17-19), Sallustio riprende la narrazione degli eventi. Giugurta, vedendo che la sua opera di corruzione aveva avuto esito positivo, attacca di nuovo Aderbale, conquista la città di Cirta e uccide il cugino, compiendo anche un massacro indiscriminato dei mercanti italici che avevano aiutato il re sconfitto nella difesa della città. Di fronte a un simile eccidio e alle inevitabili proteste dei tribuni della plebe, il senato è costretto a mandare un esercito in Numidia al comando del luogotenente Aulo Albinio. L'armata romana, corrotta dall'oro di Giugurta, subisce una vergognosa sconfitta e viene addirittura costretta a passare sotto il giogo 5. I capitoli dal 20 al 40 decrivono così gli eventi che vanno al 116 al 110 a.C.

Tra il capitolo 41 e 42 si apre un secondo excursus storico dedicato all'epoca dei Gracchi 6. Secondo una lettura moraleggiante più accentuata che nell’opera precedente, Sallustio vede nel declino dei costumi la causa principale della crisi della Repubblica: al tempo delle origini dello Stato a Roma vigeva la pace sociale, dal momento che non c'erano molte ricchezze e la città era minacciata da nemici potenti (è la teoria del cosiddetto metus hostilis, il “timore del nemico” che stimola il valore). Ma dopo la vittoria nelle guerre puniche e l'afflusso di ingenti ricchezze nelle casse romane, la nobiltà secondo l’autore è caduta preda dell'avidità, mentre il popolo si è impoverito a causa della lunghezza del servizio militare. La ricostruzione del periodo dei Gracchi vuole così rintracciare le radici dello scontro intestino (il mos partium et factionum) che condiziona l’andamneento della guerra contro Giugurta

Dal capitolo 43 riparte la narrazione degli eventi, che occupa ora il periodo che va dal 109 al 108 a.C. (capitoli 43-77) e dal 107 al 104 a.C. (capitoli 80-114), ad eccezione di un ultimo breve inserto geografico (capitoli 78-79). A Roma viene nominato come nuovo console Metello, che ridà disciplina all'esercito sconfitto e riesce a ottenere alcune vittorie minori contro Giugurta. Durante queste azioni militari il luogotenente Gaio Mario (157-86 a.C.) si mette favorevolmente in mostra di fronte all'esercito e al popolo. Originario di Arpino, proveniente da una famiglia di contadini, Mario viene descritto come l’antitesi dei nobili corrotti che hanno prolungato la durata della guerra per i loro guadagni privati. Ottenuto il consolato pur essendo un homo novus 7, Mario è il vero eroe del Bellum Iugurthinum; egli tiene un lungo discorso davanti al popolo, che Sallustio riporta per intero seguendo una tradizione storiografica che trae origine da Tucidide (capitolo 85). In questo discorso Mario critica i nobili, che si reputano importanti solo per il fatto di avere antenati illustri, ma non facendo essi stessi nulla per essere grandi quanto loro. Al contrario è con l’impegno e con imprese nobili che si può ottenere le cariche politiche più elevate 8.

Nel frattempo Giugurta si allea con il re di Mauritania Bocco, mentre Mario arriva in Africa con i rinforzi arruolati a Roma (anche tra le file della plebe meno abbiente). Dopo una vittoria di Mario, il suo luogotenente Silla (il futuro dittatore, di cui Sallustio dà una breve descrizione ai capitoli 95-96) persuade Bocco a tradire Giugurta; il re numida viene così catturato e condotto a Roma in catene durante il trionfo di Mario. Morirà poi strangolato in carcere. L'opera si conclude con la veloce descrizione dell'invasione dell'Italia da parte dei Cimbri e dei Teutoni. In seguito a una pesante sconfitta dell'esercito romano, il senato decide di concedere nuovamente il consolato a Mario, anche se questa è una pratica contro la legge. Il nuovo console sconfigge i Cimbri e i Teutoni, salvando Roma dall'invasione di queste pericolose popolazioni germaniche.

 

Commento

 

Con il Bellum Iugurthinum, stilisticamente affine al De Catilinae coniuratione,Sallustio si prefigge di continuare la propria inchiesta sulle cause della corruzione dello stato romano iniziata nel De Catilinae coniuratione. Per questo, l'autore risale ancora più indietro del tempo, ricostruendo il primo episodio storico in cui la corruzione della nobiltà ha determinato un danno allo stato, cioè prolungando una guerra altrimenti destinata a durare poco. Tutta l'opera è infatti centrata sul tema della corruzione della nobiltà: il tema portante viene infatti esplicitamente dichiarato dall'autore nell'introduzione (capitolo 5):

Bellum scripturus sum, quod populus Romanus cum Iugurtha rege Numidarum gessit, […] quia tunc primum superbiae nobilitatis obviam itum est 9.

Come storico Sallustio non è sempre molto preciso. I fatti storici vengono comunque descritti con un gusto spesso romanzesco e con un certo approfondimento psicologico dei personaggi. Tra i protagonisti della guerra in Numidia troviamo:

  • Giugurta, il giovane dalle ottime virtù ma corrotto dal contatto con la nobiltà romana, ed abile nello sfruttare le proprie ricchezze per corrompere la classe senatoria. Nel “ritratto” del prinicipe numida (capitoli 6-8) emerge una personalità complessa, affascinante nella sua mescolanza di pregi e malvagità, virtù e perdizione. Giugurta è quindi un personaggio affine a Catilina nel suo essere un eroe tragico, am con una sostanziale differenza: se nel nobile romano la corruzione è innata, in Giugurta viene instillata proprio dal contatto con i suoi futuri nemici.
  • Il console Metello, che da un lato è uno dei pochi nobili ancora capaci di agire per il bene della patria, ma che dall’altro si rivelerà meschino nel difendere i propri privilegi dimostrandosi contrario alla candidatura al consolato di Mario.
  • Gaio Mario, figura chiave del racconto, incarna la virtù che ha reso grande Roma e che forse è ancora presente negli strati non aristocratici della popolazione, da cui Mario proviene 10 Egli diventa infatti il vero salvatore della patria non solo in occasione della guerra contro Giugurta, ma soprattutto nell'episodio conclusivo del conflitto contro i Cimbri e i Teutoni, dove non è in gioco solo il controllo degli interessi romani in Africa, ma la sopravvivenza stessa della città.

 

Bibliografia

 

- Gaio Sallustio Crispo, La guerra di Giugurta, a cura di L. Storoni Mazzolani, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli (BUR), 1976.
- Gaio Sallustio Crispo, La guerra giugurtina, a cura di R. Scarcia e G. Garbugino, Milano, Garzanti, 1994.
- G. Pontiggia - M. C. Grandi, Letteratura latina. Storia e testi, vol. II, Dalla tarda repubblica al principato, Milano, Principato, 1996.

1 La campagna che si sarebbe conclusa per Scipione con la vittoria di Zama (203 a.C.) e la fine del conflitto.

2 L'assedio di Numanzia (l’attuale Numancia, in Spagna)  a cui partecipò lo stesso Giugurta è datato tra il 134 e il 133 a.C., ma la guerra contro i celtiberi di Numanzia andava avanti dal 153 a.C.

3 “A Roma tutte le cose sono in vendita”.

4 In realtà, bisogna sottolineare come i veri motivi per cui il senato di Roma non decide di dichiarare immediatamente guerra a Giugurta non si possono cercare solo ed esclusivamente nella corruzione della nobiltà, che è il tema privilegiato da Sallustio. In quegli stessi anni Roma si trova infatti alle prese con la prima invasione germanica della storia (quella dei Cimbri e dei Teutoni nelle regioni a nord) che sconsiglia di allontanare uomini e mezzi dall'Italia per una questione di secondaria importanza come la guerra di successione in Numidia. In aggiunta a questo, all’epoca il senato non ha interessi economici in Africa, a differenza dei commercianti italici, allettati invece dalla possibilità di nuovi traffici e nuovi guadagni.

5 Quella del giogo veneiva considerata come una delle umiliazioni peggiori che un esercito sconfitto poteva subire. I soldati venivano costretti a passare nudi e disarmati al di sotto di un giogo di un aratro, mentre i soldati nemici li sbeffeggiavano e li percuotevano a volte sino alla morte. Prima di allora i romani avevano già subito l'umiliazione del giogo nel 321 a.C., quando nel corso delle guerre sannitiche un intero esercito romano circondato dal generale Ponzio Telesino fu costretto ad arrendersi nella nota battaglia delle Forche Caudine.

6 Tiberio e Gaio Gracco sono due famosi esponenti dei populares che ricoprirono nel 133 a.C. e nel 123 a.C. che, come tribuni della plebe, si impegnarono per l’approvazione di una legge agraria a favore della plebe romana. Osteggiati dalla classe aristocratica e dai ricchi commercianti, i due fratelli furono uccisi nel 133 e nel 121 a.C. nel corso di tumulti tra le diverse fazioni.

7 Per homo novus si intende, nel sistema pubblico e politico romano, il primo all'interno di una famiglia a raggiungere una determinata carica. Nel periodo tardo-repubblicano in cui avvengono gli episodi descritti da Sallustio si era verificata una chiusura nel meccanismo di distribuzione delle cariche politiche, che venivano generalmente ripartite entro un gruppo molto limitato di famiglie (generalmente indicato col termine nobilitas), e per questo motivo gli homines novi come Mario erano una vera rarità. Oltre a Mario un altro homo novus famoso è Cicerone.

8 A fianco di Mario, esponente nell’ottica sallustiana della nuova aristocrazia romana, c’è il tribuno Memmio, anch’egli molto critico della corruzione nobiliare.

9 Intendo scrivere sulla guerra che il popolo romano condusse contro Giugurta […] perché per la prima volta si andò contro l'alterigia dei nobili.

10 [Il trattamento generalmente positivo che Mario riceve all'interno del Bellum Iugurthinum è chiaramente determinata dal fatto che il cesariano Sallustio appartenesse alla cosiddetta fazione dei populares, che si diceva favorevole a riforme sociali (come la redistribuzione delle terre proposta dai Gracchi o la stessa riforma dell'esercito attuata da Mario) e avversa alla nobiltà senatoriale. Bisogna dire che l'appartenenza politica di Sallustio non gli impedisce di parlar bene del nobile Metello e soprattutto di Silla, che pochi anni dopo i fatti narrati nel Bellum iugurthinum sarebbe diventato nemico di Mario e creatore di una dittatura favorevole al senato e responsabile del massacro di innumerevoli populares.