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Senofane, Parmenide e la scuola eleatica: testi e frammenti

Il cantore Senofane (circa 570 a.C. – circa 475 a.C) può essere considerato il fondatore della scuola filosofica eleatica, quella che poi ospiterà tra le sue fila Parmenide e Zenone di Elea. Centrale nel pensiero di Senofane (e per certi versi elemento innovativo del suo ragionamento) è la critica serrata condotta contro l’antropocentrismo, soprattutto laddove esso attribuiva alle divinità caratteristiche fisiche, morali ed affettive assai prossime a quelle umane. Dice infatti Senofane, riferendosi ai padri nobili della mitologia greca:

 

Omero ed Esiodo attribuirono agli dèi tutte quelle cose che presso gli uomini provocano onta e biasimo, cioè rubare, commettere adulterio e ingannarsi reciprocamente. (DK fr. B11)*

E poi, con ancor maggiore carica demistificatoria, aggiunge che se “i buoi e i cavalli [...] avessero le mani e potessero dipingere” di sicuro “i cavalli dipingerebbero le figure degli dèi simili a cavalli, i buoi simili a buoi, e modellerebbero i loro corpi a quel modo che è l’aspetto di ciascuno di essi” (DK fr. B15). Se certe affermazioni di Senofane anticipano le riflessioni di Parmenide, è con il filosofo di Elea che la storia della filosofia conosce uno scatto in avanti; il suo poema Sulla Natura, descrivendo un immaginifico viaggio alla ricerca della verità, si apre con la raffigurazione del carro condotto dalle Eliadi (le figlie del Sole), che portano il poeta alla porta che separa la Notte (e cioè, il mondo terreno e mortale) dal Giorno, ovvero il luogo ove gli sarà svelata la alètheia (la verità):

 

Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva desiderare

mi fecero arrivare, poscia che le dee mi portarono sulla via molto celebrata

che per ogni regione guida l’uomo che sa.

La fui condotto: là infatti mi portarono i molti saggi corsieri

che trascinarono il carro, e le fanciulle mostrarono il cammino.

L’asse nei mozzi mandava un suono sibilante,

tutto in fuoco (perché premuto da due rotanti cerchi

da una parte e dall’altra) allorché si slanciarono

le fanciulle figlie del Sole, lasciate le case della Notte.

(Parmenide, Sulla Natura, in I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Bari, Laterza, 1959, con modifiche successive di Pilo Albertelli)

Appresa la verità delle cose, contrapposta alla doxa degli uomini, Parmenide può allora distinguere “ciò che è” da “ciò che non è”, fissando uno dei capisaldi filosofici di tutta la scuole eleatica:

 

Orbene io ti dirò e tu ascolta attentamente le mie parole,

quali vie di ricerca sono le sole pensabili:

l’una [che dice] che è e che non è possibile che non sia

è il sentiero della Persuasione (giacché questa tien dietro alla verità);

l’altra [che dice] che non è e che è necessario che non sia,

questa io ti dichiaro che è un sentiero del tutto inindagabile:

perché il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile),

né lo puoi esprimere.

(ivi)

In seguito, sarà Zenone, sempre originario di Elea ed allievo di Parmenide, a portare ancora oltre i presupposti della filosofia dell’Essere; per contestare l’idea di molteplicità, antitetica all’unità dell’Essere parmenideo, Zenone ricorre spesso alla dimostrazione per assurdo. Tale è il caso della celeberrima gara di corsa tra Achille, il più grande guerriero greco, e la tartaruga, che parte in anticipo. Se lo spazio è infinitamente divisibile in unità sempre più piccole, il più veloce dovrà sempre attraversare spazi che continueranno a separarlo dal suo obiettivo. Per dirla con Zenone stesso:

 

Il più lento non sarà mai raggiunto nella sua corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga in precedenza là dove si mosse chi fugge, di modo che necessariamente il più lento avrà sempre un vantaggio. (DK fr. 29A26)

Ultimo esponente (e in un certo senso figura minore) della scuola eleatica, Melisso di Samo (fine sec. VI a.C – inizio sec. V a.C.) è comunque interessante poiché teorizza l’infinità spaziale dell’Essere, oltre a quella temporale. Da qui deriva, per Melisso, l’ulteriore prova dell’unità e dell’inscindibiità dell’Essere: “se è infinito, deve essere uno. Infatti, se fossero due, non potrebbero essere infiniti, ma uno avrebbe un limite nell’altro” (DK fr. B6).

 

* I rimandi ai frammenti qui presentati seguono la classificazione Diels-Kranz, che suddivide le “testimonianze” (caratterizzate dalla lettera A) e i “frammenti” (lettera B), associando ad ogni autore un numero progressivo.