Nietzsche, "La nascita della tragedia" e lo spirito dionisiaco

La “filosofia” di Friedrich Nietzsche (1844-1900) si caratterizza sin dai primi passi per l’originalità rispetto alla grande tradizione del pensiero occidentale; la formazione filologica dei primi studi, oltre che riflettersi nel costante interesse per la classicità, trasmette al filosofo l'impostazione genealogica e lo spirito indagatore nei confronti della cultura occidentale.
 
Il procedimento aforistico e decostruzionista della filosofia nietzschiana rifiuta ogni costrutto teoretico e sistematico proprio per assecondare la sua innata vocazione critica e l’opera di incessante “smascheramento” degli schermi e delle ipocrisie della cultura ufficiale (tanto da essere etichettato con Marx e Freud come uno degli alfieri della “scuola del sospetto”). Per Nietzsche - sulla scorta ma anche in netta divergenza rispetto alla pessimistica proposta schopenhaueriana - la risposta alla vita e alle sue intime contraddizioni dev’essere il “sì”; ed è il dio greco Dioniso ad incarnare quest’entusiasmo per il divenire, che Nietzsche traspone ne La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872), dove si contesta radicalmente l’idea della classicità come mondo dell’armonia ideale ed “apollinea”. La convivenza degli opposti (caos/forma, infinito/finito, divenire/stasi, istinto/ragione e così via...) è allora intrinseca alla nostra stessa esistenza, e il “dionisiaco” diventa inquietudine ed ebbrezza, dolore e gioia al tempo stesso, ponendosi come ciò che riconduce la nostra individualità all’unità originaria. Così è la tragedia, originatasi dal culto di Dioniso, a sintetizzare apollineo e dionisiaco, almeno - per Nietzsche - fino ad Euripide (il cui errore sarà di portare in scena l’uomo, e non l’eroe) e Socrate, che, con la coincidenza di sapere e virtù e l’esaltazione della logica razionale svaluta e “demitizza” la vita.
 
L’arte wagneriana può diventare allora - almeno in questa fase - la fonte di riscatto per la vita stessa: le Considerazioni inattuali si scagliano allora contro quello storicismo ottocentesco, che riduce a sterile nozionismo (o biasima moralisticamente) il “diverso” che emerge dalle epoche storiche passate. Gli atteggiamenti positivi verso la storia sono allora quello monumentale (che suggerisce all’uomo un modello di grandezza), quello antiquario (che ispira la venerazione) e quello critico, che stimola il nostro desiderio di liberazione; ma tutte queste disposizioni d’animo devono essere messe al servizio del presente, perché la Storia serve all’azione e alla vita. E questi “modi di guardare al mondo”, profondamente interiorizzati in tutto il pensiero occidentale e perciò assai difficili da modificare, sono i punti cruciali della ricerca futura di Friedrich Nietzsche.
 
Jacopo Nacci, classe 1975, si è laureato in filosofia a Bologna con una tesi dal titolo Il codice della perplessità: pudore e vergogna nell’etica socratica; a Urbino ha poi conseguito il master "Redattori per l’informazione culturale nei media". Ha pubblicato due libri: Tutti carini (Donzelli, 1997) e Dreadlock (Zona, 2011). Attualmente insegna italiano per stranieri a Pesaro, dove risiede.