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“I fiori del male” di Baudelaire: le poesie “Corrispondenze” e “Albatros”

Introduzione

 

I fiori del male sono una celebre raccolta di poesie di Charles Baudelaire (1821-1867), considerato uno dei padri del Simbolismo e del Decadentismo. L’autore, che conduce un’esistenza inquieta e complessa da bohémien 1, pubblica la prima edizione dei Fiori del male nel 1857, suscitando grande scalpore, principalmente a causa dei contenuti di alcune liriche, considerate indecenti e scabrose per la mentalità dell’epoca. Baudelaire è quindi processato per oltraggio al pudore, esattamente come il romanzo Madame Bovary di Gustave Flaubert, accusato di incitare all’adulterio.

Se l’opera di Flaubert supera indenne la censura, Baudelaire è condannato: la raccolta, che originariamente consta di cento liriche, nell’edizione del 1861 elimina sei testi “condannati” e aggiunge trentacinque nuove poesie. La struttura definitiva dell’opera, è allora la seguente: dopo la lirica introduttiva Al lettore, si apre la sezione Spleen e ideale, composta da 85 liriche, a cui seguono i Quadri di Parigi, con 18 liriche. Vi è poi Il vino, composto da 5 liriche, e la sezione omonima dei Fiori del male (con 9 liriche), cui segue Rivolta (3 liriche) e infine La Morte (6 liriche). Le successive edizioni del 1866 (in cui compaiono anche le 6 liriche espunte dal tribunale, fatto che causa una seconda condanna penale per l’editore di Baudelaire) e del 1868 (postuma) accrescono il numero dei testi fino a centocinquantuno.

L’opera è dedicata al “maestro e amico” Théophile Gautier (1811-1872), riconosciuto da Baudelaire come modello di stile e punto di riferimento per la propria arte, cui l’autore consegna i propri “fleurs maladives” (cioè, “fiori malati”).

 

I fiori del male e la poetica di Baudelaire: Elevazione, Albatros, Correspondances

 

Al di là dell’evento rilevante della condanna per offesa al pubblico pudore, I fiori del male sono un’opera poetica fondamentale non solo per la poesia francese dell’Ottocento ma anche per buona parte della poesia del Novecento, tanto che Baudelaire è spesso indicato come il primo poeta “moderno” 2. Questa qualifica è da contestualizzare all’interno dell’opera di Charles Baudelaire, che rappresenta uno snodo fondamentale tra l’esperienza del Romanticismo e le avanguardie poetiche della seconda metà del secolo e di inizio Novecento, come il Decadentismo, il Simbolismo e il Modernismo. Punto di partenza è proprio Gautier, scrittore e critico d’arte che, dalle iniziali posizioni filoromantiche evolve la propria poetica verso una concezione dell’arte - espressa nella Prefazione al suo romanzo epistolare Mademoiselle de Maupin del 1835 - in cui sono esclusi tutti i motivi morali, filosofici, storici od utilitaristici; l’arte, per Gautier, in quanto inutile e superflua nella società moderna, non deve preoccuparsi che delle questioni estetiche e del bello in sé, perché essa è in se autosufficiente.

Questa concezione, poi formulata nel celebre motto de L’art pour l’art (“l’arte per l’arte”, che ad esempio ritroveremo anche ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde), riavvicina Gautier alle posizioni dei classicisti e fa di lui un precursore del movimento del Parnassianesimo; essa influenza profondamente anche Baudelaire e i suoi Fiori del male, che mescolano ed uniscono alla cura formale e alla raffinatezza dell’espressione - il verso è spesso l’alessandrino, la misura più “alta” e nobile della metrica francese - un contenuto “basso” e volgare, spesso scandoloso o moralmente ambiguo per i costumi borghesi dell’epoca 3. Le ambientazioni e le figure che popolano i Fiori del male spiegano così il giudizio del famoso critico Erich Auerbach, secondo cui Baudelaire:

è stato il primo a dare forma sublime a soggetti appartenenti, secondo l’estetica classica, alla categoria del ridicolo, del basso, del grottesco 4.

Questa commistione esplicita tra alto e basso, tra sublime e volgare, tra raffinatezza e comico è diretta conseguenza di un’antitesi fondamentale per la poesia baudelairiana: quella tra spleen e idéal. Il primo termine 5 definisce quel complesso sentimento di noia, disgusto e malinconia di qualcosa di indefinito e indefinibile che costituisce una “malattia” esistenziale di molti poeti romantici prima e decadenti poi; lo spleen di Baudelaire (che nel 1864 pubblica sulla rivista «Figaro» una serie di prose) è la chiave per descrivere gli scenari urbani della Parigi del XIX secolo, in cui convivono lusso e miseria, squallore e bellezza, gioia e disperazione. La solitudine del poeta, il conflitto con la realtà e con l’ipocrisia borghese, la sua vita sregolata (famosa la relazione di Baudelaire con la ballerina Jeanne Duval) ed autodistruttiva, il rifugio nei paradisi artificiali della droga e dell’alcol hanno nello spleen la loro motivazione principale; sempre nell’appello Al lettore, Baudelaire chiude indicando nella “noia” il “mostro” che tormenta tutti:

Il en est un plus laid, plus méchant, plus immonde!
Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,
il ferait volontiers de la terre un débris
et dans un bâillement avalerait le monde;

C’est l’Ennui! - l’œil chargé d’un pleur involontaire,
il rêve d’échafauds en fumant son houka.
Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
- Hypocrite lecteur, - mon semblable, - mon frère! 6

Se l’esito di questo processo termina nella morte - così si intitola appunto l’ultima sezione dei Fiori del male - tuttavia a fare da contraltare allo spleen c’è la tensione all’idéal, ovvero l’aspirazione ad un mondo puro e incontaminato dalla corruzione e dalle meschinità del mondo. L’idéal è una condizione costante della poesia baudelairiana che, attraverso le risorse dell’immaginazione, supera la superficie delle cose per elevarsi verso una relatà superiore, sconosciuta alla maggior parte degli uomini. Una delle liriche più note e significative in tal senso è appunto Élévation (Elevazione), contenuta nella sezione Spleen et idéal, dopo L’albatros e prima di Correspondances. In questo poesia si descrive, con enfasi ed entusiasmo, l’anelito ad abbandonare le noie del mondo terreno verso “les champs lumineux et sereins”. Come il poeta dice ai vv. 9-20:

Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
va te purifier dans l’air supérieur,
et bois, comme une pure et divine liqueur,
le feu clair qui remplit les espaces limpides.

Derrière les ennuis et les vastes chagrins
qui chargent de leur poids l’existence brumeuse,
heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse
s’élancer vers les champs lumineux et sereins;

celui dont les pensers, comme des alouettes,
vers les cieux le matin prennent un libre essor,
qui plane sur la vie, et comprend sans effort
le langage des fleurs et des choses muettes! 7

Il conflitto tra spleen e idéal definisce la condizione di scissione del poeta e dell’uomo moderno che Baudelaire sviluppa in un altro celebre componimento, ovvero L’albatros. Qui Baudelaire affida il testimone della propria condizione di esule in mezzo ai suoi simili, che non comprendono e accettano i suoi versi, ad un albatro, il maestoso uccello marittimo che, una volta a terra, risulta goffo ed impacciato. Il testo, strutturato in quattro quartine a rime alternate, prende spunto da un episodio a cui Baudelaire ha assistito - probabilmente mentre viaggiava verso l’India nel 1842 - e racconta delle angherie subite dall’uccello dopo essere stato catturato dai marinai di una nave:

Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
qui suivent, indolents compagnons de voyage,
le navire glissant sur les gouffres amers.

À peine les ont-ils déposés sur les planches,
que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
comme des avirons traîner à côté d’eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
l’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!

Le Poëte est semblable au prince des nuées
qui hante la tempête et se rit de l’archer;
exilé sur le sol au milieu des huées,
ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

Spesso, per divertimento, i marinai
catturano degli albatri, maestosi uccelli marini,
che seguono, pigri compagni del viaggio,
la nave che solca gli amari abissi delle acque.

E, non appena li hanno messi sul ponte della nave,
questi re dell'azzurro, impediti e vergognosi,
ripiegano con pietà le grandi ali bianche,
come dei remi senza vita, accanto ai loro fianchi.

Com'è maldestro e goffo l’albatro!
Poco prima così regale, com'è comico e brutto!
Qualcuno gli solletica il becco con la pipa,
l'altro, arrancando, mima l’uccello infermo!

Il Poeta assomiglia al principe delle nuvole
che abita nella tempesta e irride l'arciere;
ma che, esule sulla terra, al centro delle beffe,
non riesce a camminare per le sue ali di gigante.

 

L’albatro, che per sua natura vola maestoso sopra i mari, sul ponte della nave si muove goffamente, impedito dalle grosse ali che in questo contesto risultano solo un peso. I marinai si divertono dei suoi sforzi, lo vestono come un uomo e lo deridono per la sua inadeguatezza. Tale è la condizione esistenziale del poeta, precipitato a terra dalle alte sfere dell’idéal e costretto a vivere in un universo borghese ed ipocrita, che finge di rispettarlo ma in realtà si fa beffe di lui e della sua arte, considerata un lusso superfluo in un’epoca di trionfo dei beni pratici e materiali.

La sensibilità poetica dei Fiori del male e la sua tensione alla “poesia pura” anticipa anche soluzioni e scelte stilistiche di poeti e correnti dei decenni successivi: su tutte, c’è la convinzione radicale che l’arte, per sondare gli aspetti più reconditi dell’inconscio umano, non possa procedere per schemi razionali, ma debba privilegiare le associazioni implicite ed analogiche tra le cose, secondo un procedimento a-razionale (che ritroveremo anche in D’Annunzio e Pascoli, oltre che in Verlaine, Rimbaud e Mallarmé) che sfrutta il potere evocativo delle parole e delle immagini. “Manifesto” di questa poetica è appunto la poesia Corrispondances (Corrispondenze, la quarta della sezione Spleen et idéal), in cui lo sguardo del poeta individua misteriosi punti di contatto tra la Natura e la sua coscienza. Le “corrispondenze” individuate dalla poesia sono così il punto di partenza per l’ascensione verticale dalla realtà concreta ad un mondo ideale e superiore:

La Nature est un temple où de vivants piliers
laissent parfois sortir de confuses paroles;
l’homme y passe à travers des forêts de symboles
qui l’observent avec des regards familiers.

Comme de longs échos qui de loin se confondent
dans une ténébreuse et profonde unité,
vaste comme la nuit et comme la clarté,
les parfums, les couleurs et les sons se répondent.

Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants,
doux comme les hautbois, verts comme les prairies,
- et d’autres, corrompus, riches et triomphants,

ayant l’expansion des choses infinies,
comme l’ambre, le musc, le benjoin et l’encens,
qui chantent les transports de l’esprit et des sens.

La Natura è un tempio dove colonne dotate di vita
lasciano talora uscire parole incerte e confuse;
l’uomo attraversa foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.

Come echi prolungati che si confondono da lontano,
in un’unità oscura e profonda,
vasta come la notte e come la luce,
i profumi, i colori e i suoni si rispondono a vicenda.

Vi sono profumi freschi come carni di bambini,
dolci come gli oboi, verdi come i prati,
- e altri, corrotti, preziosi e in trionfo,

che si espandono comecose infinite, come
l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso,
che cantano le ebbrezze dello spirito e dei sensi.

 

Sonetto in versi alessandrini con schema di rime ABBA CDDC EFE FGG, Corrispondances descrive la Natura (da intendersi come la realtà che ci circonda e di cui con i nostri sensi siamo parte attiva) come una foresta di simboli, un tempio in cui le parole risuonano misteriose e si lasciano scoprire solo da chi sa comprenderle davvero. Tra i suoni, i profumi, i dati sensoriali si instaurano connessioni profonde (v. 8), che il poeta interpreta come all’interno di un dialogo prezioso ed esclusivo con il mondo naturale, da cui l’uomo comune è escluso. Il contenuto della poesia diventa anche la forma della sua espressione: Baudelaire gioca con le corrispondenze fin dal primo verso, costruendo un’atmosfera misteriosa ed evocativa attraverso il sapiente utilizzo dell’analogia (v. 1: “È un tempio la Natura”) e della sinestesia (vv. 9-10: “Profumi freschi...dolci...verdi”). La ricerca del poeta di ciò che vi è di sconosciuto attraversa del resto tutti i Fiori del male fino all’ultimo testo, intitolato Le Voyage (“Il viaggio”), il cui ultimo verso riafferma la funzione della poesia per Baudelaire, ovvero quella di scendere nel fondo dell’ignoto per trovare ciò che non è mai stato detto prima:

Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!

1 Il termine francese è diventato un sinonimo della vita sregolata ed anticonformistica di quegli artisti che, a partire da metà Ottocento, rifiutano le convenzioni sociali della vita borghese per proclamare la superiorità dei valori dell’arte su quelli economici e materiali.

2 Il poeta e critico Mario Luzi, nel suo Dante e Leopardi o della modernità (Roma, Editori Riuniti, 1992), indica in Leopardi e Baudelaire i due anticipatori della visione del mondo del nostro secolo e delle angosce dell’uomo contemporaneo.

3 Ad esempio, nella famosa prefazione Al lettore (Au lecteur) il poeta declama: “C’est le Diable qui tient les fils qui nous remuent! | aux objets répugnants nous trouvons des appas; | chaque jour vers l’Enfer nous descendons d’un pas, | sans horreur, à travers des ténèbres qui puent. || Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange | le sein martyrisé d’une antique catin, | nous volons au passage un plaisir clandestin | que nous pressons bien fort comme une vieille orange” (vv. 16-23); Traduzione (G. Raboni): “È il diavolo che tira i nostri fili! Schifosi | oggetti ci sembrano attraenti | e all’inferno ogni giorno siam più dentro d’un passo, | tranquilli perforando miasmi e buio. || Il depravato in miseria succhia e assapora | il seno martoriato di un’antica puttana: | così noi ci sforziamo di spremere, arancia rinsecchita, | qualche piacere effimero e furtivo”.

4 C. Baudelaire, I fiori del male, traduzione di G.Raboni, Torino, Einaudi, 1987, p. VI.

5 Dall’inglese spleen, cioè “milza”, ritenuta nella fisiologia di Ippocrate la sede in cui è contenuto “l’umor nero”, responsabile dell’ipocondria umana.

6 Traduzione (G. Raboni): “Uno è ancora più brutto e feroce, più immondo! | Uno che anche se non si muove molto e non grida | vorrebbe ridurre la terra a un mucchio di rovine | e in fondo ai suoi sbadigli seppellire il mondo; || È la Noia! Con occhi gravi d’un meccanico pianto | fuma la pipa e sogna impiccagioni. L’hai visto | Anche tu, lettore, quel mostro delicato | - tu, ipocrita lettore che mi somigli, fratello!”.

7 Traduzione (G. Raboni): “Via, via dall’insidioso fetore! | va’ a purificarti nell’aria superiore | e a bere il secco nettare che colma | gli spazi trasparenti puro. || Dietro di sé le noie, i vasti orrori | gravanti sulla brumosa vita, felice | chi con robuste ali saprà | slanciarsi verso campi di luce e sereni; || e ogni mattine, come le allodole, s’alza | nei pensieri con libertà nel cielo | e si libra ben alto sulla vita e non fa | fatica a intendere i fiori e le altre cose mute!”.