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Tacito, “Annales” (XV, 62-64), la morte di Seneca: traduzione e analisi

Introduzione

 

Tacito non era un grande estimatore di Seneca. Già all’interno dell’Agricola 1aveva infatti criticato quelli che nei confronti dei tiranni si erano irrigiditi in una abrupta contumacia 2, ovvero quanti sembravano animati, al pari di Seneca, da un eccessivo e sterile esibizionismo, che li aveva condotti alla rovina senza portare a risultati concreti 3. Quella di Seneca d’altronde era una figura discutibile, che anche all’interno degli Annales si faceva notare per la sua ambiguità. Il filosofo, arricchitosi oltremodo durante l’incarico di educatore di Nerone, si era infatti reso complice di alcuni dei delitti più odiosi del principe, giungendo addirittura a consigliarlo riguardo l’uccisione della madre Agrippina. La rivalutazione del personaggio avviene solo verso la fine della sua vita: dopo essersi ritirato a vita privata, Seneca viene infatti accusato - probabilmente ingiustamente - di aver partecipato alla congiura di Pisone, un tentativo da parte della nobiltà di eliminare il principe, fallito a causa dell’inettitudine degli stessi congiurati. Il comportamento del filosofo appare in questa situazione improntato alla gravitas (in latino, “autorevolezza”), dal momento che risponde alle accuse con nobiltà, senza mestizia o timore - contrariamente a molti altri appartenenti alla congiura, come il poeta Lucano, che giunse a denunciare la propria madre. Ma la difesa risulta inutile, e Nerone, consigliato dal prefetto del pretorio Tigellino e dalla moglie Poppea, decide di mandare un tribuno a casa di Seneca per imporgli la morte attraverso il suicidio.

La descrizione della morte di Seneca si inserisce all’interno degli exitus illustrium virorum 4, quasi un vero e proprio genere letterario in cui le morti degli uomini famosi vengono posizionate all’interno di un quadro edificante che tendeva a eliminare i dati reali. La stessa morte di Seneca assume infatti molti punti in comune con quella del filosofo Socrate, così come viene descritta da Platone nel Fedone, dove prima di morire il filosofo parla con i suoi amici consolandoli, allontana la moglie, beve la cicuta e offre una libagione alla divinità. Seneca diventa così nella penna di Tacito un saggio, che riscatta con la sua morte le innumerevoli ambiguità della propria esistenza.

Lo stile di questo brano appare tipicamente tacitiano, ovvero basato sull’inconcinnitas (“disarmonia”). Si tratta di un periodare brusco e che procede a balzi, minato dalla frequenza di ablativi assoluti e di infiniti che rendono tortuosa e ingarbugliata la lettura, e “spezzano” la sintassi, modellando su una visione del mondo cupa e pessimistica.

 

Testo

 

(62) Ille interritus 5 poscit testamenti tabulas 6; ac denegante centurione 7 conversus ad amicos, quando meritis eorum referre gratiam 8 prohiberetur, quod unum 9iam et tamen pulcherrimum habeat, imaginem vitae suae relinquere testatur, cuius si memores essent, bonarum artium 10 famam tam constantis amicitiae [pretium] laturos. Simul lacrimas eorum modo sermone, modo intentior in modum coercentis ad firmitudinem revocat, rogitans 11 ubi praecepta sapientiae, ubi tot per annos meditata ratio adversum imminentia 12? Cui enim ignaram fuisse saevitiam Neronis? Neque aliud superesse 13post matrem fratremque interfectos 14, quam ut educatoris praeceptorisque 15 necem adiceret.

(63) Ubi haec atque talia velut in commune 16 disseruit, complectitur uxorem, et paululum aversus praesentem fortitudinem mollitus 17rogat oratque 18 temperaret 19 dolori 20neu aeternum 21susciperet, sed in contemplatione vitae per virtutem actae 22 desiderium mariti solaciis honestis toleraret. Illa contra sibi quoque destinatam mortem adseverat manumque percussoris exposcit. Tum Seneca gloriae eius non adversus, simul amore, ne sibi unice dilectam ad iniuras relinqueret 23, "vitae" inquit "delenimenta monstraveram tibi, tu mortis decus mavis 24: non invidebo 25 exemplo. Sit 26 huius tam fortis exitus constantia penes utrosque par, claritudinis plus 27 in tuo fine 28". Post quae 29 eodem ictu brachia ferro exsolvunt. Seneca, quoniam senile corpus et parco victu 30 tenuatam lenta effugia 31 sanguini praebebat, crurum quoque et poplitum venas abrumpit; saevisque cruciatibus 32 defessus, ne dolore suo animum uxoris infringeret atque ipse visendo eius tormenta ad impatientiam delaberetur, suadet 33 in aliud cubiculum abscedere. Et novissimo quoque momento suppeditante eloquentia 34 advocatis scriptoribus 35pleraque tradidit, quae in vulgus edita eius verbis invertere supersedeo 36.

(64) At Nero nullo in Paulinam proprio odio, ac ne glisceret invidia crudelitatis, [iubet] inhiberi mortem. Hortantibus militibus 37 servi libertique obligant brachia, premunt sanguinem, incertum an ignarae. Nam, ut est vulgus ad deteriora 38promptum, non defuere 39 qui crederent, donec implacabilem 40 Neronem timuerit, famam sociatae cum marito mortis petivisse, deinde oblata mitiore spe 41 blandimentis vitae evictam 42; cui 43 addidit paucos postea annos, laudabili in maritum memoria et ore ac membris in eum 44 pallorem albentibus, ut ostentui esset multum vitalis spiritus egestum. Seneca interim, durante tractu et lentitudine 45 mortis, Statium Annaeum, diu sibi amicitiae fide et arte medicinae probatum, orat provisum pridem venenum 46, quo d[am]nati publico Atheniensium iudicio exstinguerentur, promeret 47; adlatumque 48 hausit frustra, frigidus iam artus 49 et cluso corpore 50 adversum vim veneni. Postremo stagnum calidae aquae introiit 51, respergens proximos servorum addita voce 52 libare 53 se liquorem illum Iovi liberatori. Exim balneo inlatus et vapore eius exanimatus, sine ullo funeris sollemni 54 crematur. Ita codicillis praescripserat, cum etiam tum praedives et praepotens 55 supremis suis 56 consuleret.

 

Traduzione

 

(62) Quello impavido chiede le tavolette del testamento; ma poiché il centurione lo negava, egli, voltatosi verso gli amici, dal momento che gli veniva proibito di ringraziarli per i loro meriti, diceva di lasciare in eredità la sola cosa che aveva, per quanto bellissima, l’esempio della propria vita, di cui se fossero stati memori, avrebbero portato come premio per una amicizia tanto costante, la gloria delle buone arti. Nello stesso momento trattiene le loro lacrime, ora con il discorso, ora più forte, alla maniera di uno che guida alla fermezza, chiedendo continuamente dove si trovassero gli insegnamenti della sapienza, dove il comportamento meditato per tanti anni contro le minacce incombenti. A chi infatti era stata ignota la crudeltà di Nerone? E dopo l’uccisione della madre e del fratello non gli restava altro che aggiungere la morte dell’educatore e del precettore.

(63) Come disse queste e altre cose come rivolto a tutti, abbraccia la moglie, ed essendosi un po’ intenerito contro la presente forza d’animo, chiede e prega di dominare il dolore e di non addossarselo in eterno, ma di sopportare il desiderio del marito con conforti onesti all’interno della contemplazione di una vita vissuta per mezzo della virtù. Quella al contrario afferma con certezza che la morte era destinata anche a lei e chiede la mano del boia. Allora Seneca, non rifiutandole la gloria, sia per amore, sia per non lasciare esposta alle offese la donna amata in maniera unica da lui, disse: “Io ti avevo mostrato i sollievi della vita, tu preferisci l’onore della morte: non mi opporrò a questo gesto esemplare. Sia pure pari per entrambi la fermezza di questa morte tanto coraggiosa, ma c’è più fama nella tua fine.” Dopo queste cose con lo stesso colpo si taglia le braccia con il ferro. Seneca, poiché il corpo vecchio e indebolito dalla scarsa alimentazione offriva una lenta uscita al sangue, tagliò anche le vene delle gambe e delle ginocchia; stanco per i crudeli tormenti, per non infrangere con il proprio dolore l’animo della moglie e non essere lui stesso preda dell’impazienza vedendo i tormenti di lei, la convince ad allontanarsi in un’altra stanza. E anche nell’ultimissimo istante, dal momento che c’era in lui abbastanza eloquenza, chiamati gli scrivani, dettò molte parole, che essendo state pubblicate con le sue parole, evito di parafrasare.

(64) Ma Nerone, non essendoci nessun odio personale nei confronti di Paolina, e affinché non si accrescesse l’odio per la sua crudeltà, ordina che sia  fermata la morte. Dal momento che i soldati li esortavano, i servi e i liberti bendano le braccia, tamponano il sangue a lei che non si sa se fosse ignara. Infatti, poiché il popolo è incline alle versioni peggiori, non mancarono quelli che credettero che, fintanto che temette che Nerone fosse implacabile, abbia cercato la gloria di una morte unita al marito, poi, essendole stata offerta una speranza più mite, sia stata vinta dai piaceri della vita; a questa lei aggiunse poi pochi anni, con una lodevole memoria verso il marito e con il volto e le membra bianche di un pallore tale da rivelare che molto spirito vitale le era stato sottratto. Intanto Seneca, persistendo il periodo di tempo e la lentezza della morte, prega Anneo Stazio, apprezzato da lungo tempo per la fedeltà dell’amicizia e per l’arte della medicina, di consegnargli il veleno predisposto da tempo, con cui venivano uccisi quelli che erano stati condatti da un pubblico giudizio degli ateniesi; e bevve invano il veleno che gli era stato consegnato, freddo negli arti ed essendo serrato il corpo alla potenza del veleno. Infine entrò in una vasca d’acqua calda, aspergendo i più vicini tra i servi, essendo stata aggiunta da lui l’affermazione che quel liquido fosse una libagione per Giove liberatore. Essendo finalmente portato in un bagno caldo ed essendo stato ucciso dal vapore di quello, viene cremato senza alcun funerale solenne. Così aveva precedentemente scritto nelle disposizioni testamentarie, quando, ancora molto ricco e potente, pensava alla sua fine.

1 Il De vita et moribus Iulii Agricolae, composto intorno al 98 d.C., era una biografia di Agricola, suocero di Tacito e generale dell’imperatore Domiziano. L’opera, che si sofferma a descrivere la repressione dei moti dei Caledoni in Britannia, appare insieme una biografia, una monografia storica e un’opera etnografica sugli usi e i costumi dei Britanni.

2 Cioè, la spavalderia che conduce alla rovina.

3 Tacito aveva criticato sia i fautori di questo inconcludente esibizionismo, sia quelli che si erano abbassati in un umiliante servilismo nei confronti del tiranno. Il modello da imitare era invece il suocero di Tacito, Agricola, che pur vivendo sotto il tiranno Domiziano (che alla fine l’avrebbe addirittura fatto avvelenare), servì lo stato come poteva, stando in silenzio e senza farsi notare.

4 Ovvero: “morte degli uomini illustri”.

5 interritus: è un aggettivo, composto dal prefisso in- (con significato negativo) e da territus, participio perfetto del vebo terreo, terres, terrui, territum, terrere (“terrorizzare”). Il suo significato letterale è dunque “non terrorizzato”, quindi “impavido”.

6 poscit testamenti tabulas: il fine di Seneca era ovviamente quello di modificare il proprio testamento a favore dei suoi amici.

7 denegante centurione: ablativo assoluto. Il Centurione, esecutore del volere di Nerone, non concede a Seneca la possibilità di modificare il proprio testamento perché probabilmente non aveva avuto ordini precisi al riguardo. In epoca imperiale - e soprattutto sotto imperatori considerati dagli storici come “pazzi” - il testamento era un atto molto importante, con cui una persona odiata dal sovrano e costretta a darsi la morte per questo poteva lasciare almeno una parte del proprio patrimonio ai discendenti nominando come co-erede proprio il dittatore che stava decretando la sua morte.

8 referre gratiam: letteralmente “riportare il ringraziamento”, quindi, più semplicemente, “ringraziare”.

9 quod unum: si tratta di una relativa prolettica dipendente da “relinquere”.

10 bonarum artium: probabilmente Seneca si sta riferendo alla filosofia stoica.

11 rogitans: participio presente del verbo rogito, rogitas, rogitavi, rogitatum, rogitare. Si tratta della forma frequentativa del verbo rogo, rogas, rogavi, rogatum, rogare, che indica la ripetizione frequente dell’azione che viene espressa del verbo nella sua forma normale. In italiano questo tipo di verbi  non esiste, per questo conviene tradurlo con forme perifrastiche; in questo caso: “chiedendo continuamente”.

12 Uno dei precetti della filosofia stoica (seguita anche dallo stesso Seneca) consisteva nell’immaginare continuamente le disgrazie che possono capitarci all’interno della vita, per fare in modo che quando poi arrivano sul serio, non siamo colti impreparati e possiamo resistere meglio al dolore. Vedi a esempio la senechiana Consolatio ad Marciam.

13 superesse: è sottinteso il dativo “Neroni”.

14 post matrem fratremque interfectos: ci troviamo in questo caso di fronte al tipico uso latino del concreto per l’astratto: invece che usare un termine astratto (“l’uccisione della madre e del fratello”) Seneca preferisce usare il dato concreto della madre e del fratello ucciso. Nerone aveva fatto uccidere la madre Agrippina e il fratello adottivo Britannico, figlio del precedente imperatore Claudio.

15 educatoris praeceptorisque: si tratta dello stesso Seneca, che era stato chiamato da Agrippina alla corte di Claudio come educatore del figlio.

16 in commune: le parole precedenti erano rivolte ai suoi amici in generale. Da questo punto si apre una sezione in cui viene descritto il difficile commiato dalla moglie Pompea Paolina.

17 mollitus: participio perfetto del verbo mōlĭor, mōlīris, molitus sum, mōlīri. Di fronte alla moglie il filosofo presenta l’unico cedimento e cade - anche se poco, “paululum” - in preda alla passione. Ma le passioni sono considerate negativamente dalla filosofia stoica, che prevede la loro completa eliminazione. Anche per questo motivo (oltre al parallelismo con la figura di Socrate) Seneca, alla fine, allontana la moglie, che rischiava di far cedere la sua imperturbabilità.

18 rogat oratque: si tratta di due presenti storici, che possono essere tradotti anche come passati.

19 temperaret: è retto da un ut completivo sottinteso, esattamente come il successivo“toleraret”. Il congiuntivo si trova all’imperfetto anche se retto due verbi presenti (“rogat oratque”) che richiederebbero un congiuntivo presente nella subordinata secondo la consecutio temporum. Ma i due verbi reggenti sono infiniti storici (vedi nota precedente) e si comportano quindi come tempi storici.

20 temperaret dolori: il verbo tempero, temperas, temperavi, temperatum, temperare regge il dativo, assumendo il significato di “moderare”, “dominare”.

21 Aeternum: aggettivo riferito al sostantivo sottinteso “dolorem”.

22 vitae per virtutem actae: quello del “vivere secondo virtù” era il fine principale della filosofia stoica. Con le sue parole finali Seneca, con una punta di orgoglio, dice di aver raggiunto il fine della propria filosofia, cosa che nelle sue opere aveva invece definito come impossibile da raggiungere, definendo sé stesso un proficens, ovvero una persona che sapeva quale era il bene, si era messo in cammino per raggiungerlo (non a caso proficens è il participio presente del verbo proficiscor e si può tradurre come “colui che è partito”), ma non aveva ancora abbastanza forze per toccarlo.

23 simul amore, ne… relinqueret: “amore” è un ablativo di causa. “Ne… relinqueret” è una subordinata finale. Da notare la variatio usata da Seneca in questo caso.

24 mavis: indicativo presente di seconda persona singolare del verbo malo, mavis, malui, malle, composto del verbo irregolare volo.

25 invidebo: indicativo futuro semplice del verbo invideo, invides, invidi, invisum, invidere. Si tratta di un verbo composto, formato dal prefisso in- (con valore negativo) e il verbo video. Il suo significato originale doveva dunque essere quello di “guardare male”, “guardare di cattivo occhio” (basti pernsare all’italiano “invidiare”, che mantiene una connotazione chiaramente negativa) e passò poi a rendere anche il significato di “opporsi” (se uno guarda male a un progetto, necessariamente si oppone a esso). Il verbo invideo regge di norma il dativo (in questo caso“exemplo”, col significato di “gesto esemplare”).

26 Sit: si tratta di un congiuntivo concessivo, che andrà tradotto in italiano con l’aggiunta dell’avverbio “pure”.

27 claritudinis plus: claritudinis è un genitivo partitivo retto dal successivo “plus”. Nella frase è sottinteso un “est”.

28 La maggiore gloria riservata alla moglie Paolina sta anche nel fatto che non fosse stata costretta come Seneca alla morte. Un gesto così virile doveva inoltre destare naturale ammirazione nel mondo classico. Basti pensare all’ode I. 37 di Orazio, in cui persino la regina Cleopatra, odiata dal poeta, si guadagna una parziale rivalutazione a causa del suo eroico suicidio.

29 Post quae: “quae” è un nesso relativo, riferito agli eventi descritti nelle frasi precedenti.

30 parco victu: con questa puntualizzazione si vuole ulteriormente evidenziare la moderazione del filosofo anche in ambito alimentare. Seneca era stato sempre molto parco nel mangiare. Da giovane aveva seguito la scuola pitagorica dei Sesti e aveva praticato una dieta strettamente vegetariana.

31 effugia: neutro plurale di effugium. Si tratta di un plurale poetico.

32 saevisque cruciatibus: ablativo di causa.

33 suadet: regge il dativo sottinteso “uxori”(cioè: “convince la moglie”) e il successivo infinito “abscedere”.

34 suppeditante eloquentia: ablativo assoluto.

35 Advocatis scriptoribus: ablativo assoluto.

36 Gli ultimi atti di Seneca appaiono come troppo teatrali. Probabilmente lo stesso Tacito ne doveva essere infastidito, tanto che evita di descrivere le ultime parole del filosofo.

37 hortantibus militibus: ablativo assoluto.

38 Ad deteriora:  si tratta di un comparativo irregolare dell’aggettivo *deter o *deterus, che però non esiste nel latino da noi studiato. L’aggettivo era comunque composto dal prefisso de- (con significato di “discesa” o “diminuzione”) e il verbo tero, teris, trivi, tritum, terere (“sfregare”). Indica dunque un qualcosa che è diventato peggiore per via dell’uso continuo, quindi “peggiore” in generale. In questo contesto “deteriora” è un aggettivo sostantivato (la tradizione letterale sarebbe dunque “alle cose peggiori”). Ma in questo caso il riferimento è chiaramente alle versioni che giravano sulla mancata morte di Paolina.

39 defuere: forma sincopata per defuerunt.

40 C’è un esse sottinteso.

41 oblata meliore spe: ablativo assoluto.

42 Evictam: sottinteso esse. Si tratta di un infinito perfetto passivo.

43 cui: si tratta di un nesso relativo, riferito a “vitae” nella frase precedente.

44 eum: Is, ea, id, quando ha valore di aggettivo, può assumere - come il questo caso - il valore di antecedente di una subordinata consecutiva, col valore di “tale”.

45 durante tractu et lentitudine: ablativo assoluto.

46 venenum: si tratta della cicuta, la stessa sostanza che aveva condotto il filosofo Socrate alla morte.

47 promeret: congiuntivo imperfetto del verbo promo, promis, prompsi, promptum, promere, retto da un ut sottinteso.

48 adlatumque: participio perfetto del verbo adfero, adfers, attuli, adlatum, adferre concordato a venenum sottinteso.

49 artus: si tratta di un accusativo di relazione.

50 cluso corpore: ablativo assoluto. “Cluso” è forma irregolare per clauso, molto presente in Tacito.

51 introiit: indicativo presente del verbo introeo, introiis, introivi, introitum, introire, composto del verbo eo, che regge l’accusativo del luogo dentro cui si deve entrare (in questo caso“stagnum”). Entrare in una vasca d’acqua bollente serviva a stimolare la circolazione del sangue, provocandone un’uscita maggiore dalla veen recise e quindi la morte.

52 addita voce: ablativo assoluto

53 libare: La libagione era un rituale molto frequente nel mondo classico e consisteva nel versare per terra un liquido (il sangue di una vittima sacrificata o più semplicemente del vino o una mescolanza di latte e miele). Poteva essere usata per chiudere o aprire un rituale più complesso, ma frequentemente bastava da sola come sacrificio incruento, usato spesso per sancire un giuramento o anche solo per aprire un banchetto. L’atto del versamento serviva ovviamente a offrire il liquido in sacrificio agli dei sotterranei, spesso da identificare con le anime dei morti; non a caso la libagione veniva frequentemente compiuta sopra le tombe. Essendo di poco precedente alla morte di Seneca, questo rituale sembra proprio avere una valenza funebre. Il fatto che la libagione sia fatta per Giove Liberatore rende la morte del filosofo simile a una festa che i greci celebravano in onore di Giove Salvatore.

54 sine ullo funeris solemni: il disprezzo per il funerale era caratteristica propria di molti filosofi, che lamentavano il lusso eccessivo che veniva dilapidato per una cosa ritenuta inutile come la cura per il corpo oramai privo di anima.

55 praedives et praepotens: il prefisso prae-, posto prima di un aggettivo, ha una valenza molto simile a quella del superlativo e serve a rafforzare il significato dell’aggettivo.

56 Supremis suis: letteralmente “ai suoi estremi (momenti)”.