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Alfieri, "Uom, di sensi, e di cor, libero nato": testo e analisi

Nella Rime posteriori al 1789 Alfieri mostra una differente concezione dell'arte e della vita. La Rivoluzione segna infatti un progressivo ripiegamento dell'autore su posizioni reazionarie e l'abbandono dell'illuminismo moderato su cui aveva costruito il suo pensiero antitirannico. Il sonetto Uom, di sensi, e di cor, libero nato, datato 29 ottobre 1795, presenta il ritratto (in realtà un autoritratto) di un eroe ormai muto, il quale, lontano dall'esternare la sua rabbia, propone la propria figura come esempio e testimonianza della condotta dell'uomo libero nella tirannide.

L'uomo che per natura nutre sentimenti ("di sensi, e di cor") di libertà, non evita necessariamente di mostrare il suo modo di essere. Combatte fiero i vizi e la tirannia e, senza coprirsi il volto (e quindi con coraggio), è pronto a subirne i colpi: pieno di nobili silenziosi pensieri, si ritira senza paura in solitudine. Il verbo "s'inchiostra" si presta a una doppia interpretazione: può venire inteso come “si ritira in un chiostro”, e quindi in un luogo e una dimora solitari, oppure come “scrive”, cioè “esprime con l'inchiostro i suoi pensieri”. La codardia dei servi sottomessi al tiranno lo indigna, ("la di lui guancia innostra") e mai presta i suoi servizi ai potenti. Talvolta può assumere una condotta moderata, ma mai a tal punto da diventare servitore del regime. La sua figura è detestata e temuta da chi sta al potere e non meno da coloro che, superbi, sono servilmente schierati con la tirannia: "abborrito e temuto da chi regna, | non men che dalle schiave alme proterve" (vv. 10-11). Consapevole del proprio valore e quindi sereno nella sua coscienza, non manifesta esteriormente l'ira che gli ribolle nell'animo, ma basta il suo aspetto a dare un esempio e a insegnare agli uomini a non essere servi.

La solitudine dell'animo, descritta anche nei ritratti dei sonetti CLXVII e CLXXIII, acquista qui il valore di emblema dell'uomo libero: nella seconda maturità dell'autore la figura dell'uomo libero nella tirannide perde progressivamente l'impeto degli esordi per acquisire un carattere maggiormente silenzioso ed austero: "non degna | l'ira esalar che pura in cor gli ferve" (vv. 12-13). Colui che ricercava la selva come luogo di serenità lontano dai sistemi della tirannia (CLXXIII), la ritrova ora all'interno del suo animo ed è perciò pronto a rendere la propria figura una vivida testimonianza di libertà.

 

Metrica: sonetto con schema ABBA ABBA CDC DCD

 

Uom, di sensi, e di cor, libero nato

fa di sé tosto indubitabil mostra.

Or co' i vizj e i Tiranni ardito ei giostra

ignudo il volto, e tutto il resto armato:

 

Or, pregno in suo tacer d'alto dettato

sdegnosamente impavido s'inchiostra;

L'altrui viltà la di lui guancia innostra;

Né visto è mai dei dominanti a lato.

 

Cede ei talor, ma ai tempi rei non serve;

aborrito e temuto da chi regna,

non men che dalle schiave alme proterve.

 

Conscio a sé di se stesso, uom tal non degna

l'ira esalar che pur in cor gli ferve;

ma il suo sol aspetto a non servire insegna.