7'

“Purgatorio”, canto 28: analisi e commento

Introduzione

 

Nel ventottesimo canto del Purgatorio, Dante si trova, alla fine del suo lungo pellegrinaggio e della sua penitenza, sulla vetta della montagna, nel Paradiso terrestre. Qui compiono la loro ultima purificazione le anime che hanno meritato di giungere, un giorno, al Paradiso. Virgilio, la guida del viaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio, non può più accompagnare oltre il poeta, poiché, essendo pagano, non ha meritato di vedere Dio; egli dunque scomparirà non appena sarà giunto lo spirito di Beatrice, che prende il suo posto. Nella foresta dell’Eden, lungo le sponde del fiume Lete, Dante incontra Matelda, incarnazione della serenità primaverile, al contempo una novella Proserpina ovidiana e un’immagine dal gusto stilnovistico.

 

Riassunto

 

Dante, giunto sulla cima della montagna del Purgatorio insieme a Virgilio e a Stazio, che ha concluso il suo periodo di purificazione, si trova infine nel Paradiso terrestre, che viene rappresentato secondo le caratteristiche tipiche del locus amoenus, come una foresta bellissima ed ospitale, in netta contrapposizione con la selva oscura del primo Canto dell’Inferno: l’aria è fresca e leggera, ricca di profumi, spira una gradevole brezza, che non impedisce agli uccellini di cinguettare in perfetta armonia. Per il resto tutto è pace e silenzio. Inoltrandosi nel bosco, Dante arriva presso un fiume, la cui limpidezza ne rivela la natura ultraterrena e divina. Sulla sponda opposta a quella su cui si trova Dante, cammina una donna di incredibile bellezza e serenità, Matelda, che canta e raccoglie fiori. Il poeta paragona le movenze di Matelda a quelle di Proserpina, nel pieno trionfo della natura, appena prima che lei fosse rapita e trascinata nell’Ade. Dante le chiede di avvicinarsi, in modo da poter ascoltare e comprendere meglio il suo canto. La donna accoglie la richiesta del poeta e si accosta al corso d’acqua; spiega dunque ai due nuovi arrivati l’origine della sua evidente gioia, legata all’apprezzamento del creato e delle sue bellezze. Incoraggiato dagli inviti della stessa Matelda, il poeta le chiede come sia possibile che nel Purgatorio, dove non esistono perturbazioni - come gli aveva spiegato Stazio -  si avverta il vento e scorra dell’acqua. Matelda risponde che, al momento della Creazione, Dio donò all’uomo quel luogo che preannuncia la beatitudine eterna, ma con la sua colpa l’uomo trasformò la beatitudine in dolore, e non meritò di restare in quel Paradiso. Quindi Matelda fornisce a Dante una spiegazione teologica delle condizioni climatiche, nonché della flora e della fauna del Paradiso terrestre. Nella foresta scorrono due fiumi, il Lete, le cui acque hanno la facoltà di cancellare la memoria del peccato, e l’Eunoè che invece restituisce il ricordo del bene compiuto in vita. Entrambi nascono dalla medesima fonte, voluta e creata da Dio. Il vento invece proviene dal movimento dei nove celi del Paradiso, che girano molto vicini all’Eden. Matelda conclude il proprio discorso sottolineando come il Paradiso terrestre corrisponda nella realtà a quella età dell’oro che poeti di ogni epoca hanno immaginato con la loro fantasia.

 

Analisi e commento

 

Il Canto XXVIII appare nettamente staccato dal precedente, con una delle fratture più evidenti di tutta la Divina Commedia: infatti, il Canto XXVII si conclude con il solenne commiato di Virgilio, che è il simbolo del cammino cui l’uomo può essere guidato dalla ragione verso il controllo e la sopressione degli istinti (e dei peccati cui spesso essi conduconoI. Questa è la condizione migliore, di massima perfezione e felicità, cui l’uomo può giungere nella sua dimensione terrena, con le proprie forze; ora però è giunto il momento della fede. In ciò si vede quindi il valore simbolico del Paradiso terrestre. Perciò, con tono ormai idillico e sereno, nell’attesa del Paradiso e di Beatrice, Dante si avvia nel bosco e avanza da solo, con Virgilio e Stazio alle spalle, i quali lo accompagnano ancora ma non hanno più niente da insegnargli. La foresta dell’Eden, luogo di pace e contemplazione, è descritta come il tipico locus amoenus medievale e inoltre come bosco folto e ricco; la contrapposizione con la “selva oscura” è evidente e voluta. I modelli letterari in gioco sono però molto più numerosi: i classici, e soprattutto Ovidio - sia per il mito dell’età dell’oro sia per quello del rapimento di Proserpina, citato in modo esplicito -, poi i Padri del cristianesimo, in particolare Agostino, cui rimandano l’idea dell’armonia nel segno di Dio (il movimento degli alberi, il canto degli uccelli) e il senso di moderazione anche nella felicità, simboleggiato dalla luce e dal vento. Infine, i modelli più recenti: lo Stilnovo, quello dello stesso Dante, che spesso recupera e riusa esperienze poetiche già note, come avviene più volte soprattutto nelle prime due Cantiche, e quello di Cavalcanti, che aveva lasciato più spazio alle immagini naturalistiche. Troviamo quindi gli occhi splendenti, la bellezza luminosa ed angelica di Matelda, e soprattutto il senso dell’amore, che Dante richiama anche nel paragone con la dea Venere; qui però il sentimento non più quello passionale e terreno, ma è tutto rivolto alla creazione divina.

Questi elementi sono particolarmente significativi nella rappresentazione diMatelda, figura molto complessa sul cui significato storico e simbolico la critica si è a lungo interrogata. Le identificazioni storiche proposte sono state numerose; va menzionata almeno quella con Matilde di Canossa (1046-1115). In tutti i casi, e a maggior ragione in quello appena citato, la fisicità dei personaggi - che manca assolutamente nel Canto - è stata la ragione principale per obiezioni molto convincenti. Piuttosto, per una coerente e corretta interpretazione del canto ventottesimo, bisogna ricordare che quale siano la storia e la funzione del Purgatorio. Il monte è nato per accogliere i primi uomini nell’Eden, che per i loro peccati hanno perduto tale privilegio; poi ha acquisito la funzione di far purgare le anime pentite finché non fossero pronte a passare al Paradiso, dopo un atto di ultima purificazione, presso i fiumi Leté ed Eunoé, patrocinato dalla stessa Matelda. Ciò significa nell’ordine che: non è possibile che uomini vivi meritino di entrarvi, perché l’intero genere umano ne è stato cacciato per colpa di Adamo ed Eva; non è possibile che le anime vi restino perché una volta purificate hanno diritto di passare al Paradiso e se così non fosse, Matelda sarebbe l’unica beata esclusa dal cielo; infine, Matelda non può essere al pari delle anime che purifica, perché ha nei loro confronti una funzione istituzionale e costante.

Matelda è dunque un personaggio simbolico: ella incarna la felicità perfetta, ed è lei stessa dolce e felice, poiché innocente, in armonia con Dio, immersa nella sua creazione. In quanto perfettamente felice, è al contempo creatura attiva e contemplativa, cioè completa: in lei si assomano perciò i due personaggi biblici di Lia e Rachele che Dante ha introdotto nel Canto precedente, attraverso il racconto di un suo sogno. Come la prima, Matelda cammina e raccoglie fiori, come la seconda intona il salmo e contempla la natura. Si noti infine la sua pervasiva dolcezza, che rimane anche quando le viene affidato il compito di dare spiegazioni tecniche e scientifiche.

Anche i due fiumi, il Lete e l’Eunoé, sono simboli della pace raggiunta: rispettivamente, bevendo le loro acque, si cancella ogni ricordo del male compiuto e si vivifica il ricordo del bene operato. Basterebbe il ricordo del dolore, quindi, a contaminare l’innocenza e la serenità interiore delle anime pacificate. Il paesaggio stesso si fa portavoce di questa pace, il monte del Purgatorio svetta sopra ai mutevoli turbamenti terrestri e, sulla sua cima, la luce del sole è mitigata dalle fronde della foresta, mentre il vento e il corso dell’acqua non mutano mai per intensità o direzione, in un quadro di perenne perfezione.