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Tasso, "Aminta": riassunto

Aminta venne composta nel 1573 e rappresentata nello stesso anno nei giardini dell'isoletta Belvedere a Ferrara. Ricalca il genere drammatico della favola pastorale che si sviluppa nel secolo XVI dal convergere di diversi modelli: dalla tradizione dell'egloga al più antico dramma satiresco, una delle forme in cui si articolava, insieme a tragedia e commedia, il teatro greco classico. L'Arcadia di Sannazaro, pubblicata nel 1504, aveva diffuso l'immagine di un mitico mondo pastorale, contribuendo così a formare un nuovo gusto di corte. Il teatro cortigiano del tardo Quattrocento tentò forme sceniche ricalcate su questi modelli e alla corte di Ferrara la sperimentazione del genere fu perseguita con determinazione. Si affermò quindi un tipo di favola basata non su figure ed episodi mitologici, ma su vicende amorose a lieto fine tra semplici pastori, ambientate in un'Arcadia indefinita e senza tempo. Questa forma raggiunse un perfetto equilibrio nell'Aminta del Tasso, che utilizzò gli schemi della lirica petrarchistica per rappresentare le forme della vita naturale e si impose subito come modello del nuovo genere. 

Suddivisa secondo i canoni stabiliti da Aristotele nella Poetica (cinque atti preceduti da un prologo con l'aggiunta di un coro), la vicenda, messa in scena attraverso il dialogo tra i personaggi, sfiora e respinge la tragedia, nel gioco convenzionale delle morti apparenti degli amanti: il giovane pastore Aminta è innamorato della ninfa Silvia, ma questa sembra interessata soltanto alla caccia. Inutilmente Dafne esorta Silvia a ricambiare l'amore per il giovane, mentre Aminta comunica a Tirsi il proprio affanno e gli confida il proposito di uccidersi. Arrivati ad una fonte questi ultimi sorprendono un satiro intento a legare Silvia ad un albero per usarle violenza. Messo in fuga il satiro, Aminta libera la ninfa che tuttavia fugge senza mostrargli gratitudine. Dafne, che impedisce ad Aminta di uccidersi, dialoga con lui quando sopraggiunge la ninfa Nerina ad annunciare il ritrovamento dei resti di Silvia, morta sbranata dai lupi durante una battuta di caccia. Aminta corre via per mettere in atto il suicidio, mentre Silvia ricompare viva e scampata al pericolo. Alla notizia del possibile suicidio di Aminta, la ninfa rivela il proprio turbamento, svelando così il suo amore. Nella scena conclusiva il pastore Elpino narra come Aminta si sia salvato cadendo da un burrone su un fascio d'erbe e, raggiunto dalla ninfa, sia ormai tra le sue braccia.

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